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Fondazione Gianfranco Ferré – Pagina 6 – Archivio online della Fondazione Gianfranco Ferré

Accessorio

“Elemento fondamentale a complemento dell’abito e a decoro del corpo: secondo questa ottica l’accessorio è da sempre oggetto privilegiato della mia attenzione creativa e di una passione speciale che negli anni è cresciuta e maturata. Necessaria e inscindibile è per me la relazione che lega l’abito all’accessorio. Nascono da una comune ispirazione, vivono in sintonia sin dal primo momento in cui nella mia mente prende corpo una collezione, rimandano alle stesse suggestioni, anche se elaborate in forme e materie differenti. E soprattutto, traducono la stessa idea di qualità e di unicità. Di bellezza e di eleganza. Abito e accessorio: l’uno è lo specchio dell’altro, l’uno aiuta a comprendere l’altro. Meglio ancora, il secondo è uno strumento per l’interpretazione del primo, per una lettura soggettiva del capo. Consente a chiunque di ritrovarsi senza difficoltà in uno stile, sfumandolo ed adattandolo a sé”.

Archivio

La nostalgia è quanto di più lontano esista rispetto al mio modo di essere e di creare. La storia invece è formazione, esempio, analisi, confronto con esperienze già compiute, con traguardi già raggiunti da cui partire per nuove imprese creative. In quest’ottica l’archivio è una never ending story proiettata verso il domani. Un mosaico che si completa e si arricchisce ogni giorno, in cui ogni tessera è realmente essenziale. Più o meno, è così che io “sento” il mio archivio: la raccolta dei capi più significativi – nell’ordine dei seimila pezzi – delle tante collezioni che ho disegnato in trent’anni: il Prêt-à-Porter, l’Alta Moda, l’Uomo, gli accessori… Ogni abito, dicevo, è la tessera di un mosaico. E per ogni abito c’è un perché, una ragione che spiega la sua presenza in archivio. Ragioni emozionali o “tecniche”: un sogno, un ricordo, una suggestione assolutamente fondamentale nel mio immaginario, ma anche una sfumatura di colore ottenuta dopo mille tentativi, la resa speciale di un materiale, una lavorazione particolarmente sofisticata, un taglio eccezionalmente ardito. In questo archivio vive di fatto un cumulo di esperienze che serve per andare avanti, per continuare ad inventare, anche per migliorarsi sempre. E’ la memoria per il futuro.

Camicia bianca

“E’ fin troppo facile raccontare la mia camicia bianca. E’ fin troppo facile dichiarare un amore che si snoda come un filo rosso lungo tutto il mio percorso creativo. Un segno – forse “il” segno – del mio stile, che dichiara una costante ricerca di novità ed un non meno costante amore per la tradizione.

Tradizione e novità sono infatti gli elementi da cui prende il via la storia della camicia bianca Ferré. La tradizione, il dato di partenza, è quella della camicia maschile, presenza codificata e immancabile nel guardaroba, che ha fornito uno stimolo incredibile al mio desiderio di inventare, alla mia propensione a rileggere i canoni dell’eleganza e dello stile, giocando tra progetto e fantasia. Letta con glamour e poesia, con libertà e slancio, la compassata e quasi immutabile camicia bianca si è rivelata dotata di mille identità, capace di infinite modulazioni. Sino a divenire, credo, un must della femminilità di oggi…

Questo processo di elaborazione rivela sempre un intervento ragionato sulle forme. Mai uguale a se stessa eppure inconfondibile nella sua identità, la blusa candida sa essere leggera e fluttuante, impeccabile e severa quando conserva il taglio maschile, sontuosa ed avvolgente come una nuvola, aderente e strizzata come un body. E’ enfatizzata in alcune sue parti, il collo ed i polsi innanzitutto, oppure ridotta ed intenzionalmente privata di alcune sue parti: la schiena, le spalle, le maniche. Si impreziosisce di pizzi e ricami, è resa sexy dalle trasparenze, oppure incredibilmente ricca ed importante da ruches e volants. Si gonfia e lievita con il movimento, quasi in assenza di gravità. Svetta come una corolla incorniciando il viso. Scolpisce il corpo per trasformarsi in una seconda pelle. E’ la versatile interprete delle più svariate valenze materiche: dell’organza impalpabile, del taffettà croccante, del raso lucente, della duchesse, del popeline, della georgette, dello chiffon…

Non credo di sbagliare affermando che la blusa bianca esercita un appeal speciale ed è vissuta come un’espressione di femminilità naturale e raffinata. Soprattutto, ritengo che la blusa candida, così come l’ho interpretata e proposta alle donne, sia emblematica di un modo assolutamente attuale di intendere la moda ed il vestire, proprio per la sua versatilità. Si adatta al pantalone grigio da giorno, alla gonna nera e diritta, al jeans, al pullover, al blouson di pelle. Può essere protagonista assoluta di un look oppure complemento discreto, magari sotto la giacca del tailleur. E’ un capo da giorno e da sera.

E’ “il” pezzo quasi per antonomasia di un guardaroba vissuto in libertà, composto da elementi che si possono accostare tra loro in infinite varianti sulla base di scelte e desideri del tutto personali. Nel lessico contemporaneo dell’eleganza, mi piace pensare che la mia camicia bianca sia un termine di uso universale. Che però ognuno pronuncia come vuole…”

Christian Dior

Il mio primissimo impegno da Dior è stato quello di coglierne lo spirito, per comprendere in che misura poteva appartenermi, in che orizzonti potevo muovermi.

In questo mi ha aiutato la mia determinazione, ma anche la serie di affinità profonde con Monsieur Dior nel concepire l’eleganza: per esempio nella percezione della silhouette femminile, svelta e scattante anche quando si trova ad animare volumi enfatici, nell’amore speciale per i materiali nobili e di grande prestanza, nella cura sacrale riservata al taglio e a tutti i processi di costruzione dell’abito, nell’accento posto sempre e comunque sulla raffinatezza e sul lusso. Una singolare e felice comunanza di vedute, e direi anche di passioni, che ha reso la mia avventura decisamente straordinaria, la mia sfida infinitamente avvincente. 

Così, da Dior, per otto anni, ho “respirato” quotidianamente la lezione dell’atelier: cura assoluta per l’abito in tutti suoi dettagli, somma di abilità diverse e tutte eccezionali, discrezione massima, servizio personalizzato alla clientela. Dal disegno alla realizzazione “fisica”, i modelli di Haute Couture, di fatto, non lasciano mai l’atelier. 

Ogni abito è un’entità a sé, con una sua storia. Non solo, persino ogni dettaglio, ogni finitura, ogni cucitura costituiscono qualcosa di unico perché vengono effettuati “ad hoc” per ogni singola cliente sulla base delle sue richieste e della sua figura. 

Questo stato di cose pone il creatore nella condizione di confrontarsi “step by step” con l’abilità e l’esperienza dei suoi collaboratori in atelier. Ed è qui che, a parere mio, si coglie la vera magia della couture: nella somma di tante abilità e nell’altissima qualificazione di tanti artigiani a cui il couturier deve dare un’impronta, una guida, una compiutezza, un po’ come il direttore d’orchestra sul podio…

Cina

“Magia e realtà: nel corso degli anni trascorsi in India, ho conosciuto l’Oriente in profondo, raggiungendo anche mete dove allora non era così facile arrivare. Sono approdato a Cina nel 1973, in piena Rivoluzione Culturale, in Vietnam e Laos poco dopo, appena conclusa la guerra, nel Nord remoto dell’India, in Bangladesh appena dopo il distacco dal Pakistan… Ho visto la fatica quotidiana del vivere, le cadenze rituali di certe abitudini, l’imperturbabilità di certi ritmi, anche l’implacabilità di certe manifestazioni naturali e la rassegnazione con cui vengono accolte dagli uomini. Se le emozioni e le suggestioni che l’Oriente mi ha regalato in quantità impressionante si sono poi tradotte in un lessico di eleganza, di raffinatezza, di bellezza, la chiave autentica di lettura che dà coerenza a tutto ciò è il principio dell’essenzialità, innanzitutto nell’individuazione delle forme e nella loro costruzione. Osservando le donne indiane drappeggiate nei sari – ma anche le donne cinesi in casacca e pantaloni o le laotiane nel sarong – le ho viste svolgere i lavori più umili e faticosi conservando una regalità assoluta. Questo mi ha insegnato quello che io chiamo “il senso del corpo”, ovvero la sua fisicità ed i suoi movimenti come elementi di riferimento a cui concedo priorità assoluta nel processo di costruzione dell’abito. La “lezione” dell’Oriente mi ha permesso di ricalibrare il principio del lusso e dell’opulenza, non negandole, ma puntando invece ad eliminare il superfluo, l’orpello, la ridondanza. E il “mal d’Oriente” ritorna nell’amore per i colori caldi decisi ed i materiali puri. Ocra, arancio, fucsia e sete croccanti dell’India, rosso e broccati della Cina imperiale…”

“La Cina ha il “sapore” dei padiglioni di ferro della Fiera Internazionale di Canton che ho visitato ormai venticinque anni fa, il cielo azzurro e rosa, le figure in movimento vestite in blu copiativo, in grigio, in verde militare. Immagini che vivono dentro di me insieme all’eterna immagine della Cina aulica, del fasto, del rosso, nella lettura fantastica e fantasiosa di un passato che, attraverso ricordi e sovrapposizioni, mi porta al cuore dell’Oriente. Poi c’è la Cina di oggi, che ho conosciuto solo qualche anno fa: l’attualità di un paese che non cessa mai di stupire per la sua energia, le sue potenzialità, i suoi entusiasmi. Un paese nuovo e giovane, indaffarato che raccoglie e centuplica la sfida tecnologica dell’Occidente…”

Il Colore. Emozioni e colori – I colori delle emozioni

“Nella mia ottica creativa, accanto alla forma e alla materia, il colore rappresenta una categoria inscindibile rispetto all’idea stessa dell’abito, sin dal suo primissimo abbozzo….”

“Io sogno emozioni forti, incontri totali con acqua, vento, sabbia.”

“Immagino l’abito come macchia di colore, come bagliore di luce.”

“Ancor più della materia e della forma, i colori sono per me lo strumento-chiave per esprimere e trasmettere le emozioni, condividendole con chi sceglie i miei abiti…

Perché è del tutto naturale che nel colore di un abito ognuno di noi rifletta i suoi gusti e la sua personalità, il suo umore momentaneo e le sue aspirazioni, il suo desiderio di piacere e piacersi….”

“In un orizzonte ideale che abbraccia paesaggi misteriosi, culture ed epoche lontane, nelle mie collezioni si susseguono, si alternano e si confondono tra loro i bagliori dei metalli e il pallore delle giade, i riflessi intensi delle pietre dure, i lampi dei colori energetici e dei colori fluo, la delicatezza delle sfumature dell’alba e dei fiori, i toni densi del fogliame equatoriale e le fantasie incredibili dei mantelli animali…”

“La mia fantasia è sempre in technicolor…”.

“Non ci sono colori che non amo…”

“Ci sono semmai gli amori di una vita e gli amori di una stagione…”

“Nelle mie collezioni però si scorgono ogni anno sfumature e tonalità inedite…

“Sono toni e nuances che formano a loro volta un linguaggio più sfaccettato, per esprimere di volta in volta energia, poesia, magia, seduzione, purezza, opulenza…”

“I colori sono un elemento fondamentale del mio lessico di stile. Ritornano con coerenza stagione dopo stagione, anche se sono capaci di infinite modulazioni…”

“Non è difficile individuare i miei colori di sempre: il bianco, il nero, il rosso, i neutrali, il grigio, l’oro…”

Dettagli

“Condividendo pienamente l’affermazione di Le Corbusier, secondo cui “Dio è nei dettagli”, ho sempre prestato grande attenzione ai dettagli, da quelli “strutturali” – le cuciture sartoriali, per esempio – a quelli “decorativi”, come i ricami, oppure i bottoni-gioiello. In verità, la mia passione più grande e sentita riguarda i dettagli che creano l’effetto, che rendono unico e speciale anche il capo più lineare e semplice per forma e costruzione. In quest’ottica il dettaglio che “fa la differenza” è spesso parte stessa del capo: il collo, i polsi, la cintura, un fiocco, che amo ingigantire, enfatizzare, “sproporzionare” rispetto alla configurazione dell’insieme”.

Eleganza

Cito voci più autorevoli della mia:

L’eleganza è solo un simbolo della superiorità aristocratica dello spirito (Charles Baudelaire)

L’eleganza non esiste sino a che non arriva alla strada. L’eleganza che rimane nei saloni dei couturier non ha maggiore significato di un ballo in costume (Coco Chanel)

La vera eleganza non si può ottenere se non attraverso la personalità (Eduardo de Filippo)

La cultura è come l’eleganza, è buona solo quella che non si vede (Indro Montanelli)

“Aggiungo: l’eleganza è assolutamente innata. E’ una rispondenza. Un’espressione diretta tra il sentimento e la mente. Un modo di porsi agli altri. Può essere elegante una donna grassa o chi ha fretta. Ho visto donne indiane poverissime che erano straordinariamente eleganti nella linea del collo, nel disegno del volto, nella scelta dei colori e delle stoffe che indossavano, nel portamento. Il gesto, il movimento, le proporzioni rendono elegante una donna”.

Emozione

In principio c’è l’emozione. Ogni mio abito ne traduce una, cento, mille, intrecciate in un unico incanto da cui mi lascio conquistare. È vero, ogni mio abito ha un padre nobile: il progetto, che è metodo e logica, intervento ragionato sulle forme, elaborazione ardita di materie. Ma ha anche una madre appassionata: la folgorazione che deriva dall’amore a prima vista per un paesaggio appena scoperto, dal fascino di un viaggio compiuto soltanto con la fantasia, dalla tenacia con cui restano impresse nella memoria la grazia di un movimento, l’abbaglio di un sorriso o di uno sguardo, il profumo di un giardino, il riverbero e il fruscio di una stoffa.

Le emozioni si sedimentano. Si sovrappongono l’una sull’altra, si rincorrono e si compenetrano. Così, io non sento i miei abiti come monadi, ma come tessere di un mosaico, trame sottili di un arazzo. Come elementi di un progetto globale di stile e tappe di un percorso professionale – e umano – di crescita e di maturazione.

Le emozioni si ritrovano. Rivisti nella prospettiva offerta dal tempo, i miei abiti riescono sempre ad incantarmi, ma in modo diverso. Li sento sempre miei, ma li vivo in una luce differente. Mi regalano altre emozioni. Risvegliano ricordi e memorie, ma stimolano anche sensazioni mai vissute. Le tappe di un percorso già compiuto possono segnare già anche gli itinerari di un nuovo viaggio, in cui suggestioni ed impressioni si rimescolano e creano un orizzonte inedito. Dinanzi al quale io stesso mi ritrovo a provare lo stupore più grande, la curiosità più viva, il piacere infinito della scoperta.

Le emozioni che provengono da un abito nascono per essere condivise. Per essere di tutti, sin dal momento in cui l’abito stesso debutta in passerella, viene interpretato nelle immagini, proposto nelle vetrine, indossato per la strada. Anche per questo ho sempre nutrito il desiderio che le testimonianze più vere del mio lavoro non rimanessero inesorabilmente chiuse in un forziere soltanto mio. Se poi le emozioni regalate dall’abito giungono in un museo, diventano realmente di tutti. Diventano patrimonio collettivo e possibile strumento di crescita comune.

Le emozioni devono restare vive e vibranti. Anche se accolto in un museo, vorrei che ogni mio abito continuasse ad essere inteso come un prodotto del nostro tempo che assolve desideri non meno che funzioni concrete, date da assetti culturali e da dinamiche sociali, da ritmi e consuetudini reali. Per questo sono orgoglioso che gli abiti da me donati alla Galleria del Costume di Palazzo Pitti possano continuare a raccontare la vita…

Femminilità

Curiosamente le mie ricerche nell’ambito dell’abbigliamento maschile mi hanno aiutato a ridefinire e ad arricchire l’immagine che ho della femminilità e dell’eleganza. Disegnare collezioni per uomo mi ha aiutato a capire meglio la moda femminile. L’eleganza maschile si è manifestata in termini di regole, canoni, codici nel concetto tradizionale dell’”uniforme”:una giacca, un pantalone ed eventualmente un gilet. Concetti che ho voluto rivedere e, quando l’ho ritenuto possibile, adattare al gusto femminile. Ritengo di aver ottenuto risultati spettacolari, se non addirittura innovatori in diversi casi, giocando con gli opposti, unendo il desiderio maschile di comodità e solidità alla sobrietà di una femminilità sempre raffinata: camicie impeccabili, dal taglio maschile ma realizzate con tessuti preziosi, femminili. La giacca da smoking addolcita dalla trasparenza del tulle. Tessuti dei pastrani militari usati per cappotti e redingotes avvitate. L’uniforme militare di una volta, la sua ricchezza, la sua opulenza, la ripetizione degli elementi decorativi, le astuzie tecniche e i valori simbolici che la contraddistinguono, è stata una fonte preziosa e un punto di riferimento per l’eleganza femminile d’oggi.

Figure di riferimento

Balenciaga, Dior, Chanel: sono queste – insieme a Worth che per me è il reale fondatore della moda in senso “moderno” – le grandi figure di riferimento per l’eleganza contemporanea e, in particolare, per il mio modo di concepirla e di realizzarla sulla base di quelle che considero vere e proprie affinità, in particolare nei confronti di Balenciaga e di Dior. Con Balenciaga per l’assoluta perfezione delle sue forme e dei suoi volumi – anche di quelli eccentrici, esasperati, irregolari in modo sublime. E con Christian Dior per il suo senso del lusso e dell’opulenza, per la sua ricerca costante nel segno di una femminilità sublime, fatta di silhouettes donanti, di dettagli preziosi, di interpretazioni materiche inusitate. Mentre ammiro Mademoiselle Chanel quale formidabile artefice della liberazione e dell’emancipazione della donna nell’ambito della moda, con le sue linee semplici, i suoi materiali “poveri”, il nitore delle sue fogge”.

Forme

“La primissima definizione formale di un’idea di abito si concretizza nel disegno, un punto d’arrivo nella dimensione della realtà ed insieme un punto di partenza per un progetto. Nello specifico, il disegno per me è necessità e passione insieme. Mi è indispensabile per fermare le impressioni e dar loro un abbozzo di consistenza, in uno schizzo veloce, fatto di pochi tratti a matita, precisi e sintetici. La silhouette fissata nei suoi punti essenziali – le spalle, la vita, le gambe che si allungano sul foglio – consta di poche linee, ma è già una figura. Non potrei mai concepire un abito immobile sulla gruccia: per me ogni embrione di abito è già qualcosa di vivo, perché “lo sento” dotato sin dall’inizio dell’animazione che danno il passo ed il movimento. E come in un normale processo di crescita, questa sorta di essenza dell’abito acquista ben presto forza ed identità quando le poche linee del mio bozzetto vengono sviluppate secondo i principi della geometria in un disegno tecnico, nel quale le forme, le componenti ed i particolari dell’abito vengono analizzati, scomposti e ridefiniti da codici, numeri, misure, elementi di riferimento universalmente comprensibili e condivisibili”.

Grafiche & Fantasie

“Tra rigore e fantasia, le righe rappresentano un elemento che stimola moltissimo la mia fantasia ed appaga il mio senso estetico, nella moda non meno che nel decor della casa, dimensione in cui le righe per me hanno veramente un ruolo primario anche perché hanno sempre “segnato” in modo speciale gli ambienti in cui sono cresciuto e tuttora connotano la dimensione domestica della mia esistenza. Amo le righe per la loro essenzialità grafica che sa essere, allo stesso tempo, potenzialità espressiva, per la ricchezza di variazioni sul tema che consentono, dal gessato più classico ai motivi “bajadère” più vivaci…”.

Il ’68

“Nella cultura di quegli anni ho trovato e messo a fuoco la mia attitudine professionale: lavorare sulla materia, dalle prime spille pop alle sperimentazioni sulla gomma. In seguito avrei scoperto quanto mi fossero congeniali le forme religiose e non violente degli abiti indiani, mentre quelle della cultura occidentale, mutuate dalle armature, sono aggressive. Del resto sono figlio della poesia e della geometria, le mie materie preferite al liceo. Ancora oggi, sono felice quando mi commuovo.”

Il mio percorso creativo

“Il primo ad essere sedotto da quello che faccio sono io stesso. Finché non sono sedotto e convinto non mi ritengo appagato: è il contenuto che cerco, il concetto; se non riesco a trovare un equilibrio tra quello che ho in mente e il risultato finale non sono soddisfatto.”

“In fondo penso che bisogna saper inventare delle storie e raccontarsele: il primo a cui le racconto è a me stesso, quindi, finché non ho il ‘la’ per una storia, che sia fatta di una memoria, di una scia, di una visione, la seduzione non c’è; anzi, lo chiamo ‘pedissequo lavoro manuale’. Poi c’è la voglia del femminile, del tondo: sono dei segni che nascono dalla testa, dalla mano. Se per esempio reputo che la donna vestita da maschietto sia finita, non sono più capace di vederla con la spalla dritta come quella di un blazer da uomo. Se c’è, la spalla deve essere piccola, magari tonda, quindi il disegno mi porta a fare un kimono. Però lo sforzo è fare in modo che il kimono sia nuovo, che vesta, che non abbia quegli ‘impasse’ del tassello o altro. Poi si passa alla materia, agli elasticizzati; i tasselli diventano dei fianchetti che salgono la manica…”

“La mia paura più grande è stata, tanti anni fa, quella di non riuscire a liberarmi dalla necessità del creare per creare, di non riuscire ad avere una libertà anche dal segno, dalla struttura dell’architetto. Sai che sei architetto, sai che conosci la geometria, sai che puoi trovare delle soluzioni nuove, però di fatto non è quello il primo problema. Quello che mi deve convincere è la proporzione, la dimensione o l’’umore’ del vestito.”

“Il genio è stato quello di applicare al mio lavoro l’educazione formale dell’architetto, associata anche a una concezione di vita di qualità. Sono cose che ho trovato in me, che mi sono state insegnate dai miei genitori, dalla mia famiglia… E poi dare spazio a questi gesti ampi, che nascono anche dalla voglia di farsi notare. Non per far notare me stesso, ma chi indossa i miei abiti; la grandiosità, il lusso agli estremi; che poi sono ancora delle matrici, ma vissute in maniera diversa. Però sono stati momenti determinanti del mio far moda: se non avessi avuto tutto questo, non avrei saputo affrontare l’esperienza di dirigere l’atelier Christian Dior a Parigi.”

India

“E’ stata la prima vera esperienza lontano da ambienti consueti, la necessità di calarsi in un realtà completamente diversa rispetto a quelle conosciute. Ci sono arrivato per la prima volta nel 1973, praticamente da solo, sapendo benino l’inglese ma ovviamente senza la minima conoscenza di hindi o di altre lingue indiane, e mi sono ritrovato alle prese con i problemi contingenti di una quotidianità che, a casa, mi sembravano non esistere neppure. Con la necessità di adattarsi al clima, all’alimentazione, ai ritmi. Le impressioni sono state così forti che si conservano perfettamente nitide ancora oggi. Al mio arrivo a Bombay, per un disguido non ho trovato le persone che dovevano accogliermi e che sarebbero arrivati soltanto due giorni più tardi. Mi sono trovato catapultato in una città immensa, brulicante, rumorosa, tumultuante dove è quasi impossibile orientarsi. I cartelloni dei film, coloratissimi e altri come gli edifici con i volti ammiccanti dei divi più conosciuti e l’intreccio misterioso delle lettere dell’alfabeto hindi, gli animali liberi per la strada, uomini e donne che arrancavano portando sulla testa, sulle spalle sui carretti ogni genere di mercanzia e di pesi. Per sottrarmi alla valanga di suggestioni, trascorrevo le ore libere davanti all’Oceano, leggendo e disegnando. A Delhi, una sera, sono capitato davanti al Red Fort, nel pieno di un ritrovo di Sikhs, uomini altissimi, a torso nudo, il corpo lucido di unguenti, che cantavano e danzavano agitando le armi. Nel buio della notte vedevo i fuochi, i pugnali lucenti, le pupille dilatate e incendiate dagli stupefacenti, di cui si sentiva l’odore acre. E poi mi hanno conquistato le donne indiane: le mille sfumature della pelle, i mille colori dei sari, i mille modi di drappeggiarli, ogni piega con un suo significato, una sua accuratezza. Il valore simbolico dei monili, i segni di identificazione con la propria casta: una dignità assoluta nei sorrisi, negli sguardi, nei gesti. Una lezione fondamentale di vita e di stile, senza la quale, probabilmente il mio percorso sarebbe stato profondamente diverso”.

Lessico

“La storia del mio stile si fonda su una sorta di alfabeto, di lessico stilistico che può manifestarsi in infinite varianti, evolversi nel tempo, arricchirsi, assimilare nuovi segni, restando però coerente. La mia esperienza creativa di tutti questi anni – in termini tanto di atteggiamento operativo quanto di impostazione di metodo – altro non è se non l’applicazione in concreto di questo lessico ed il suo costante aggiornamento che si compie nella perizia con cui si attuano tutti gli interventi di realizzazione di ogni singolo oggetto (sia esso un abito da gran sera, un impeccabile completo maschile, un jeans, un accessorio…), e che si concretizza nel rigore delle forme e delle costruzioni, nella perfezione delle proporzioni, nella sintonia totale con il corpo. Il lessico Gianfranco Ferré si individua, per esempio, nel ricorso sistematico a materiali importanti e spesso esclusivi arricchiti sempre da lavorazioni all’avanguardia, nella cura sacrale riservata ai particolari ed alle finiture, nel gioco appassionato tra formale ed informale che si compie come semplificazione del primo e nobilitazione del secondo, nell’intenzionale commistione di generi, funzioni e tipologie che produce grande originalità. Applicare il mio lessico porta al piacere ed alla certezza di ritrovare in ogni collezione presenze che non hanno tempo (la camicia iperfemminile, il tailleur perfetto, la sera sontuosa, lo sportswear raffinato) e danno un senso preciso di continuità, di linearità, di fedeltà ad un’idea di bellezza”.

Lusso

In tempi di edonismo mi sono sempre sforzato di proporre il lusso della sostanza, un lusso di contenuti e di qualità. In tempi di minimalismo ho continuato a sostenere le ragioni del lusso. Ragioni in cui credo fortemente. Perché il lusso è un grande, innegabile piacere senza tempo.

Maschile/Femminile

“Si deve giocare con il guardaroba, maschile o femminile che sia. Interpretarlo, adattarlo a sé, “percorrerlo” in libertà, per mettere il trench da Humprey Bogart sopra il tubino da Audrey Hepburn, il piumino “tecnico” (che magari è in taffettà lucente) sull’abito da sera, il body-guepiere mozzafiato sotto il tailleur gessato, eventualmente evitando questo accostamento per l’appuntamento di lavoro alle dieci del mattino. Giocare con il guardaroba è espressione di personalità e identità. E per lo stile di oggi è quasi un must. La realtà del nostro tempo è fluida, articolata, multiculturale, in continuo movimento. Deve esserlo anche la moda. E, soprattutto, deve esserlo il nostro modo di vivere la moda. Anche per questo, il tailleur “a uomo” non è più il power suit degli anni Ottanta. Può essere in tessuto maschile, secco e funzionale, può essere definito da dettagli tecnici, ma segue nella costruzione la logica naturale del corpo, rispetta il bisogno di comfort e le forme della femminilità: ha le spalle ammorbidite ed appena imbottite, ha la vita segnata ma non strizzata, i revers misurati; può mutare d’aspetto, grazie a tagli ed accorgimenti strategici, così che la giacca, che cade diritta e impeccabile, può anche drappeggiarsi come una stola; se c’è l’effetto gessato, può essere il risultato di impunture da alta sartoria o persino di ricami. Nel Terzo Millennio, il senso del “maschile al femminile” è proprio questo: mischiare, interpretare, applicare le logiche dello stile maschile alle tipologie del vestire femminile, scambiare materiali, tecniche di costruzione, scelte di colore, fogge, finiture, funzioni d’uso… Così, se la camicia ha un taglio perfetto a uomo, è in raso lucente e candido, se è in Oxford, è drappeggiata e sontuosa.

Il jeans è asciutto e scattante, ma è in raso jacquard o in broccato. Lo smoking diventa abito da sera anche per la donna, ma perde le maniche, oppure è costruito in certe sue parti in tulle nude-look. Il pastrano militare è severo, ma ha il bordo in visone, come la jeans jacket. Il piumino è caldissimo e iperfunzionale, ma ha le imbottiture calibrate in sintonia con la silhouette”.

Materie

“Io amo i materiali puri, pregiati come la seta, duttili come la pelle, leggeri e naturali come il lino, caldi ed avvolgenti come la pelliccia. Della seta in particolare, amo le tipologie più preziose: l’organza iperfemminile, il taffettà corposo, che su un corpo in movimento produce un fruscio ultrasensuale. Ma con eguale entusiasmo sono un sostenitore della sperimentazione e della ricerca applicata ai materiali che per la moda di oggi è una necessità. La fornisce di nuove sostanze, consente usi inediti di materie tradizionali, amplia i limiti della creatività, la proietta verso il futuro. Per me la ricerca è anche passione, un filo rosso che spiega moltissimo della mia creatività e la percorre senza mai interrompersi. Io amo il rapporto diretto con la materia, amo toccarla, maneggiarla, inventarla, reinventarla, cambiarla. Tentativi su tentativi, progressi che si sommano, avvicinamento progressivo al risultato desiderato: ricerca e sperimentazione diventano alchimia. Con tantissime sfide vinte: il primo tulle elasticizzato e “rivelatore”, il pizzo gommato, il costume da bagno in lattice, il jeans che sembra carta, la maglia che sembra pelliccia, gli “animal prints”, la pelle resa duttile come il tessuto, la pelle accoppiata al pizzo, la seta stropicciata come la carta…”

Per me è normale associare il concetto di materia al concetto di alchimia. Ritengo che questo termine descriva in modo illuminante come il creatore di moda possa essere anche artefice di elaborazioni materiche mirate ad ottenere effetti a sorpresa, a sfumare il confine che separa la realtà della materia dal piacere che danno i richiami fantastici, le suggestioni e gli echi derivati dalle dimensioni più disparate, dal mondo della natura e degli animali in particolare. Questo “gioco” si esprime, nelle mie collezioni, nel ricorso alla pratica del tromp-l’oeil, ovvero nel trattamento di materiali che ne riproducono otticamente altri, completamente differenti per peso, consistenza ed origine. La ricerca dell’effetto come ragione intrinseca di un abito e l’applicazione del principio per cui “nulla è ciò che sembra” sono per me fra gli stimoli creativi più accattivanti. E’ un “gioco” di fantasia, ma anche una sfida continua alla sperimentazione, alla ricerca, all’esaltazione di tutte le potenzialità della materia”.

Milano

”Di Milano amo lo spirito concreto, la dimensione privata che garantisce privacy, discrezione, concentrazione per il lavoro. Milano è una città piccola, che vive “in interno”. Un tempo, nei quartieri alti, i palazzi si proiettavano nei giardini bellissimi rinchiusi dai portoni, mentre in quelli popolari l’animazione era nei cortili, sui ballatoi delle case di ringhiera. E’ la forza e la debolezza di Milano: ciò che è di tutti non è sempre curato, la città non è tanto brava a vivere e pensare “in pubblico”; il suo progresso spesso nasce dall’individualità. Un difetto che si traduce oggi in infrastrutture carenti, nella mancanza di una politica globale della città e di una pianificazione del vivere urbano, nell’assenza di risposte alle necessità collettive. Qui vorrei che Milano migliorasse… Intanto prendo delle boccate d’aria altrove. Parigi, New York, Londra mi offrono ciò che Milano non mi dà. Ampio respiro, senso della metropoli e del mondo, orizzonti multiculturali e multirazziali, uno stimolo indispensabile per il mio lavoro. Poi torno a casa, a Milano…”

Moda e Architettura

“La mia idea di moda si fonda sul principio di un intervento ragionato sulle forme come punto di partenza per la creazione dell’abito, che è sempre il risultato di un processo di costruzione e di un progetto. Vestire una donna o un uomo significa dunque ragionare in termini di linee, volumi, proporzioni. Esattamente come “vestire” uno spazio. La differenza, importantissima, risiede nel fatto che per il fashion designer l’elemento di riferimento primario è il corpo umano, ovvero un’entità in movimento che come tale va considerato sin dal primissimo abbozzo d’idea per un abito. Inoltre, in entrambe le situazioni non può e non deve mancare anche un approccio emozionale, dettato dalla fantasia e dalla sensibilità.”

“Credo si debba sempre ricercare un equilibrio tra l’approccio “cerebrale” all’abito – inteso cioè come risultato di un processo di elaborazione creativa ragionato e pianificato – e l’approccio emozionale che fa dell’abito il risultato di un’intuizione di pura fantasia. Ciò vale per il creatore non meno che per i potenziali fruitori che intendono e vivono l’abito come oggetto ad alta definizione funzionale, ma dal potenziale emozionale non meno intenso. Un oggetto d’uso dunque: che si butta facilmente in valigia, ma che non si butta via dopo una stagione; che si presta ad un utilizzo versatile, ad un consumo magari veloce, ma sempre ragionato e realistico; che vale perché è “fatto bene”, perché è bello e confortevole insieme. E poi c’è la valenza espressiva dell’abito, che in una dimensione di vita omologata ha il potere di rendere individuo ogni uomo e ogni donna, di dar corpo e visibilità a desideri, sogni, emozioni, volontà, slanci. L’abito è un mezzo, uno strumento, attraverso il quale si compie il contatto tra vita interiore e vita reale”.

Moda e Arte

“E’ determinante la mia passione per le arti figurative della contemporaneità, che mi affascinano per la loro energia, per la carica espressiva riassunta quasi sempre in tratti intensi, vibranti di velocità e di immediatezza. Credo che la chiave di lettura di tutta la nostra epoca – in tutte le sue espressioni, i modi di vivere, le manifestazioni del pensiero, dell’arte e della cultura – sia infatti una concezione del tempo, dello spazio e del movimento molto diversa rispetto al passato perché fortemente incentrata sulle valenze della velocità, dell’energia, del dinamismo. Valenze essenziali anche nella quotidianità della nostra vita che è fatta di viaggi, spostamenti, comunicazioni che si compiono in tempo reale, ritmi produttivi sempre più accelerati, flusso costante e rapissimo di notizie, informazioni e dati, flusso tale da annullare i limiti sino ad ora imposti all’agire umano dalla concretezza delle dimensioni spazio-temporali. Questa credo sia realmente una delle “cifre” primarie della nostra epoca che, come tale, non può non permeare la moda. E nella mia moda, nel mio stile c’è ed è sicuramente forte il senso del movimento, che connota l’oggetto-abito sin dal suo nascere sotto forma di schizzo: pochi “segni” tracciati sul foglio bianco in velocità – appunto – ma che già esprimono un rapporto immediato, diretto – direi naturale e necessario – con il corpo e la sua fisiologica necessità di muoversi, in sintonia con ciò che lo ricopre, lo protegge, lo abbellisce. Un senso del movimento e della velocità che connota, nondimeno, anche il prodotto-abito che nasce pur in un contesto di esclusività e di originalità per una fruizione comunque agile, veloce, libera, anche se consapevole e ponderata”.

“Il mio interesse per le arti figurative viene prima del mio lavoro. Si può dire che sia un po’ parte delle mie radici, come frutto di un certo tipo di educazione e di consuetudine alla qualità che ho “respirato” in famiglia e che fa dell’arte un ambito di riferimento irrinunciabile, accanto alla musica o alla lettura, ma anche all’eleganza nel vestire, alla cura per la casa o al piacere della buona cucina. Detto questo, è assolutamente vero che nel mio lavoro ho “collezionato” grandi esperienze e emozioni ispirate ai protagonisti dell’arte di tutti i tempi e di ogni latitudine: la delicata severità dei volti di Utamaro, le cromie energetiche alla Warhol, le pulsioni avanguardistiche del cubismo e del dadaismo, l’evanescenza di certe figure di Giacometti o di Modigliani, l’espressività immediata della tattoo art etnica. Sino ad un collezione Donna tra le più recenti, per la quale mi sono lasciato conquistare dall’esperienza artistica di Vittorio Zecchin, uno straordinario italiano che ha assorbito in forme assolutamente personali la lezione della Secessione viennese. Le sue opere sono caratterizzate da moduli grafico-pittorici ripetuti serialmente, quasi ossessivamente, secondo un modo molto moderno di intendere la pittura e il decoro. Io li ho voluti in dimensioni e proporzioni differenti. Li ho resi con mezzi diversi per animare forme e materie, giocando tra geometrie elementari – quella del cerchio e del rettangolo in particolare – e costruzioni accurate. In un rapporto con l’opera di “riferimento” che, come sempre, non è e non può mai essere immediato, poiché, al contrario, si colora di sfumature, apporti personalissimi di interpretazione, ridefinizioni nel segno dell’originalità…”

“Ferma restando la mia ammirazione per l’arte della contemporaneità, ritengo che un altro momento sublime per la storia dell’arte – e dell’umanità in generale – sia il Rinascimento, epoca di grandi uomini, di grandi idee e di grandi slanci. Un‘epoca il cui segno determinante è la ricerca di perfezione e di armonia, riportate però, per la prima volta dalla fine dell’era classica, a dimensione d’uomo. E’ un’epoca di ragione e di passione, di utopie e di metodo, di equilibrio tra inventiva e sperimentazione già moderna. Un’epoca in cui il motore irrinunciabile è l’intelligenza umana, l’apporto fatto di attenzione, di amore, di abilità, che rendono unico il risultato del creare. Nel nome di una visione positiva dell’esistenza”.

Moda e giovani

“Io sono convinto che l’istruzione finalizzata alla moda, al pari di ogni altro specifico sbocco professionale, abbia un senso ed una funzione se si crea un legame, un interscambio direi, tra scuola e dimensione del lavoro vero e proprio, tra dimensione dell’apprendimento e dimensione della verifica in concreto degli insegnamenti. Un legame che dovrebbe tra l’altro essere premiante per entrambe le parti. Un legame che in Italia può contare su una normativa ancora insufficiente che ne stabilisca con chiarezza forme e modi, come altrove avviene invece da tempo. In Francia, per esempio, tutte le Maison de Couture devono attenersi alla regola della Chambre Syndicale (vera e propria emanazione dello Stato con potere decisionale che orienta tutto il settore) che impone di accogliere negli atelier, un certo numero di allievi delle scuole di moda in qualità di apprendisti. In altre parole, io non credo che esista un problema di discrepanza qualitativa tra l’insegnamento impartito nelle scuole di moda italiane e quello offerto all’estero. Il problema è semmai di strutture e di infrastrutture, di mezzi e, come ho detto, di normativa. Una normativa che in generale ponga la dimensione della formazione e quella del lavoro in un rapporto proficuo e al passo con i tempi”.

“La scuola deve segnare percorsi, aprire orizzonti, essere “avanti”, fornendo a chi la frequenta strumenti e valori. Ed operando non come corpus separato, ma come parte integrante della realtà, cogliendone dinamiche, fermenti, stimoli. Sicuramente ci sono ancora carenze nell’apparato scolastico – soprattutto pubblico – che in Italia non privilegia la formazione specifica in ambito moda, e neppure, in verità, quella professionale in generale. Inoltre non è neppure particolarmente agevole, quantomeno in relazione ad altri paesi, la normativa che regola l’attuazione degli stages nelle aziende, anche se va riconosciuto che in proposito molto è stato fatto negli ultimi tempi, né l’attuale normativa aiuta ad assicurare un futuro alla creatività. Persiste insomma una sorta di scollamento tra mondo della scuola e mondo del lavoro, che impedisce alla moda di disporre di professionalità adeguate alle reali esigenze, né aiuta ad assicurare un futuro alla creatività. Di fronte a questo stato di cose, diventa più facile per la moda italiana attingere nuove forze dalla scuole di altri paesi, in cui – per tradizioni culturali, impostazioni didattiche, assetti legislativi – la creatività dei giovani viene stimolata e plasmata con una rispondenza maggiore rispetto ai bisogni effettivi del mondo professionale”.

“Fortunatamente con i giovani io ho un ottimale punto d’incontro nel mio atelier, dove mi affiancano assistenti e stagisti; non solo sono tutti giovani, ma sono anche ben mescolati in fatto di provenienza, nazionalità, lingua, perché credo che il principio del melting pot sia stimolante e vantaggioso per tutti quelli che ne sono parte. In questo contesto i miei consigli si leggono in termini di esempio: determinazione, volontà, abnegazione, anche sacrificio. La moda è logica, metodo, sistema. E’ lavoro. Anzi, la moda sono tanti lavori: quello del disegnatore, quello del sarto, dell’artigiano, del tecnico… E un lavoro tale non può non presupporre entusiasmo, dedizione, curiosità intesa come capacità e volontà di guardarsi intorno per ricavare stimoli, cultura intesa come conoscenza delle esperienze altrui, delle espressioni del sapere umano, di altri orizzonti ed altre realtà di vita. Un consiglio in sintesi? Conoscere e sperimentare, lavorare e sapere quello che si vuole”.

Politecnico ‘68

“Mi sono laureato in Architettura al Politecnico di Milano nel 1969, con Franco Albini, scrivendo una tesi sulla “Metodologia dell’approccio alla composizione”. Il progetto architettonico che ho presentato riguardava un insediamento urbano nella periferia. Erano gli anni della contestazione studentesca ma anche di grande fermento e di entusiasmo. Il livello dell’insegnamento era altissimo in quel periodo. Il Preside di Facoltà era Carlo de Carlo prima e Paolo Portoghesi nell’anno della mia laurea. Molti dei miei docenti – Franco Albini, Ernesto Rogers e Marco Zanuso innanzitutto – hanno “firmato” con i loro progetti la rinascita di Milano dopo la guerra. Ed alcuni dei più grandi architetti o artisti italiani di oggi – come Aldo Rossi, Gae Aulenti, Renzo Piano e Corrado Levi – allora erano presenti in Facoltà come assistenti o docenti ordinari.

Radici e Valori

“Il mio rapporto con Legnano è fondamentale. Semplicemente perché a Legnano ci sono le radici. Io che amo infinitamente viaggiare – nella realtà non meno che con la fantasia, per lavoro e per piacere – non potrei vivere senza la certezza di un luogo, di una dimensione in cui ci si sente naturalmente a casa, in cui naturalmente si ritorna e ci si ritrova. Una dimensione tanto necessaria ed indispensabile quanto forte ed irresistibile è il desiderio di scoprirne e conoscerne altre. E’ la “certezza delle certezze” che in qualche modo aiuta anche a comprendere e a “decifrare” ciò che la vita, con le sue diverse realtà, ci pone dinanzi. Con la mia città ho un rapporto vivo, tutt’altro che nostalgico. Lì sono nato e cresciuto; lì non c’è solo la mia casa, ci sono soprattutto la mia famiglia ed i miei amici più cari; lì ritorno ogni sera da Milano per cenare con mio fratello, mia cognata e qualche amico. E’ una città piccola, discreta, solida, vivibile. E’ “provincia”, senza dubbio. Ma lo è nel senso migliore del termine”.

“Il bagaglio di valori e di certezze che mi vengono dal mio vissuto, dal mio ambiente di origine e dalla mia famiglia in particolare hanno giocato e continuano a giocare un ruolo determinante nel mio percorso creativo, non meno nella mia vita personale. I cosiddetti “solidi valori borghesi”, l’educazione, il senso del dovere e della misura, la discrezione, la disciplina sono stati, io credo, il migliore punto di partenza, il migliore “trampolino” che io potessi augurarmi. Mi hanno consentito di affrontare tutte le prove e tutte le sfide che il mio lavoro un po’ speciale mi ha posto dinanzi anno dopo anno con grande determinazione ed altrettanto rigore, nella convinzione che ogni traguardo, ogni successo fossero da meritare con il massimo dell’impegno e con il massimo della responsabilità. I “solidi valori borghesi” sono parte del mio essere e del mio vivere. Ciò vale per le grandi decisioni, per la visione complessiva della vita e del lavoro che mi sforzo di esprimere in ogni cosa che faccio. E vale in egual misura per le piccole, “normali” cose della quotidianità. Nell’importanza che dò agli affetti, ai legami consolidati nel tempo, al ruolo della fedeltà, dell’onestà e della sincerità con cui vanno vissuti, necessariamente i rapporti interpersonali. E ancora, nell’attaccamento che ho per i piccoli-grandi riti di un vivere “normale “e sereno, equilibrato e, soprattutto, umano: i giorni di festa trascorsi in famiglia, gli affetti saldi e fedeli, i rapporti di amicizia che durano nel tempo…”

Rêverie

È una parola che ben esprime quel sentimento a metà tra il sonno e la veglia, quel rincorrersi di sensazioni che ancora non sono pensieri ma immagini e frammenti, da cui nasce l’ispirazione. Il sogno che si trasforma in meditazione, la meditazione che trascolora sulla spinta delle emozioni. È in questo procedere vagabondo, per scene – direi per appunti – che si forma il terreno su cui mette radici l’immaginario come un paesaggio fantastico cui approdo per vie del tutto naturali.

Valori

La creatività: intesa come capacità di interpretare l’eleganza in un’ottica fortemente individuale, elaborando soluzioni costantemente nuove ed originali ed integrando la conoscenza ed il rispetto profondo per le regole e per la tradizione dello stile – non meno che per la metodologia del design di moda – con un’appassionata volontà “in progress” di ricerca e di sperimentazione.

La qualità: come risultato di un’attenzione massima per il pregio intrinseco del prodotto, che nasce dal rigore dello studio delle sue forme, dalla scelta accurata dei materiali e soprattutto dal ricorso a trattamenti e lavorazioni che integrano il meglio della tradizione artigianale con le più avanzate espressioni della tecnologia e del know how industriale. La somma di tutti questi attributi conferisce al prodotto Gianfranco Ferré una sorta di valenza al di là delle stagioni, facendone qualcosa che è “di moda” ma che, allo stesso tempo, è al di sopra delle “mode”.

L’unicità: obiettivo che connota sempre l’iter progettuale di Gianfranco Ferré, indipendentemente dall’oggetto del creare. E’ l’obiettivo di una ricerca appassionata e costante nel segno dell’esclusività e della bellezza, che esprime un concetto moderno di lusso fortemente calibrato sul valore intrinseco del prodotto non meno che sulla sua valenza emozionale. In questa logica il prodotto Gianfranco Ferré viene concepito tanto come oggetto d’uso quanto come oggetto del desiderio calibrato sul bisogno di individualità e di espressione di sé, che sempre più regola l’approccio alla moda. In risposta a questa esigenza, l’unicità di un abito Gianfranco Ferré si concretizza in particolare nelle forti connotazioni di poesia, di “magia” e di sogno che vi sono intenzionalmente incorporate.

La coerenza: ovvero l’identità forte di uno stile versatile ed articolato, ma costantemente fedele a se stesso, perché capace, stagione dopo stagione, di declinazioni inedite e di espressioni su molteplici livelli, tutte sempre ed immediatamente riconducibili a principi estetici che non cambiano nel tempo, ad un lessico di segni e di espressioni che possono variare, arricchirsi, assumere nuove sfumature conservando comunque un inconfondibile “inprinting”.

La cultura: vissuta come capacità di elaborare soluzioni di stile, attingendo non solo ad uno specifico e personale back ground formativo, ma anche facendo riferimento alle tante espressioni della vita del nostro tempo – le arti figurative, il design, il cinema, la letteratura – così come alle tante “culture” del mondo ed alle più svariate epoche storiche. Lo stile Gianfranco Ferré si può intendere dunque anche come risultato di una lettura approfondita, critica, volutamente soggettiva ed originale di tutti questi apporti.

Vestire Donna e Uomo

L’uomo di oggi, la donna di oggi. Uguali tra loro nel senso di libertà, nell’indipendenza del carattere, nell’autonomia del gusto. E profondamente diversi. Nei miei abiti io amo sottolineare le differenze che li oppongono e li rendono complementari uno all’altro. Amo le dolcezze del corpo femminile, amo sottolinearle e svelarle, per dare una forza moderna alla seduzione. All’uomo concedo invece il lusso della disobbedienza, della disinvoltura con cui rileggere il principio consolidato dell’abito-uniforme…

Walter Albini

“Di Walter Albini conservo moltissimi ricordi: per più di una stagione, agli inizi della mia carriera, ho collaborato con lui disegnando accessori per le sue collezioni. Del suo stile conservo un’impressione indelebile di fantasia assoluta, di propensione dandy e volutamente pignola al coordinamento a tutto campo, dall’abito alla sciarpa, alla pochette nel taschino. Un coordinamento operato a priori, già a livello di primo abbozzo del capo… Lui era così: l’estro allo stato puro, la fantasia capace di valicare e quasi di annullare la realtà, l’approccio puramente estetico al concetto di eleganza. Ma soprattutto conservo un ricordo personalissimo, un’immagine precisa, una specie di flash che ancora riesce a sorprendermi quando riaffiora nella memoria. Era la prima volta che lo incontravo. Io indossavo un abito di gabardine beige, rigorosamente borghese, ed avevo raccolto i bozzetti che intendevo mostrargli in una cartella di pelle ancora più borghese. Lui mi ha accolto in un completo di lino bianco, accecante, totale, quasi irreale. Non potevamo apparire, ed essere, più diversi l’uno dall’altro…”

Introduzione

In questa sezione del sito sono raccolti i titoli e gli argomenti di una serie di lezioni di Gianfranco Ferré, fatte in un arco di tempo che va dal 1996 fino al 2007. L’ultima è del 14 giugno 2007, pochi giorni prima della sua scomparsa.

Il luogo in cui avvengono queste conferenze è il mondo: si svolgono infatti da Londra a Tokyo, da Milano a Istanbul, passando per Shanghai, oppure Torino o Firenze. Il pubblico è sempre diverso: formato dagli studenti del Politecnico di Milano o della Central Saint Martin’s di Londra, oppure dal gotha della moda, come ad Istanbul per una delle Luxury Conference coordinate da Suzy Menkes per l’International Herald Tribune, o ancora sono i partecipanti del Forum Internazionale Tessile organizzato dalla Fondazione Ratti a Villa d’Este a Cernobbio.

Le lezioni (una sola fa eccezione) sono accompagnate da molte immagini in diapositiva che possono essere lette anche come racconto autonomo. E registrano, nelle parole e nelle riflessioni del Maestro, non solo la sua poetica, il suo modo di lavorare e di rapportarsi alla moda, ma anche la sua storia, tassello fondamentale nel racconto di quel Made in Italy, di quel carattere italiano del fashion che si è imposto con prepotenza nel mondo, dalla fine degli anni Settanta.

I testi integrali e le diapositive sono visibili presso la Fondazione Gianfranco Ferré.

Sono inoltre contenuti nel libro “Gianfranco Ferré. Lezioni di Moda”.

Edizioni Marsilio Mode, in collaborazione con Fondazione Pitti Discovery.

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Impressioni romane. Terrazze al tramonto. Vimini e sdraio a righe colorate, l’oro chiaro della paglia e il biondo trionfante del granoturco. A sera il vento soffia leggero sulle crinoline, spumeggianti velette da cappello point d’esprit. Tintinnano le perline sopra il vestito sottile a disegni cashmere. Volano le organze dall’ anima di seta e dal peso piuma. “C’è nell’ aria una sensualità istintiva”, dice Gianfranco Ferré. “Come se l’ambiente intorno accrescesse il talento per la seduzione”.

Nella luce morbida della città, i vestiti diventano colori. I colori vibrano di un’intensità pastosa che rimanda al De Chirico del periodo neo-greco e alle sue figure vitali, immerse in una sinfonia di ocra e rosso. Mentre il beige si declina nelle sfumature spiga, paglia di Vienna e midollino. O nel rosa legno che ha la buccia del lychis.

Spiccano le trasparenze del pizzo, usato per foderare gli interni o, come un cammeo, incrostato nei parei lievissimi e quasi trasparenti. Ancora pizzo, ma di pesante cordoncino, per le casacche lunghe da portare sopra la gonna e i pantaloni. Pizzo di Bruxelles per il vestito pareo. Come se fosse un mazzo di fiori, il nastro di paglia, con i fiori di paglia, serra il vestito a pois. Le strisce bajadère delle sedie tripoline corrono sullo chemisier di organza alla caviglia. O sulla giacca iridescente e ricamata, che accompagna la gonna plissé di georgette. Le giacche hanno le curve sinuose delle sedie Thonet e le volute della rafia. Anche il tailleur di grisaglia ha la delicatezza di un fiore, con imprevedibili maniche che si gonfiano verso il fondo.

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Parlando di impressioni, emozioni, suggestioni, ispirazioni…

“Mi ha mosso la voglia di freschezza, il desiderio dell’enfasi tropicale, letti e declinati secondo i canoni classici dell’ haute couture. Senza censure e fraintendimenti”, dice Gianfranco Ferré. “Il prêt-à-porter, anche quando è lussuoso e ha un taglio sartoriale, rimane prêt-à-porter, quindi più generico e indifferenziato. Mentre l’alta moda risponde soltanto a esigenze particolari, ai momenti di volontà e ai desideri delle donne a cui è destinato”.

Parlando di umori, correnti segrete…

“C’è un tocco di dandismo coloniale, c’è lo scintillio dei colori che fissa immagini alla Josephine Beauharnais. Ci sono le righe bianche e nere, com’ è necessario. Ma anche rosso bouganville e turchese Martinica. Ci sono i tartan spaesati dalla forza del sole delle isole, con righe azzurre e verde acqua”.

Parlando della forma, della linea, del movimento…

“Ho voluto dare un senso di lievità, come se soffiasse una brezza tiepida e ogni tanto un mulinello d’aria vincesse la forza di gravità. Così le gonne si proiettano avanti oppure fanno perno su grandi volant e sulla vita segnata. Ma ricorre anche la silhouette stilizzata di ispirazione maschile: giacca da uomo importante con spacchi sul dorso, però di raso a righe bianche e nere e dal colletto alto a camicia. Giacca da giorno lunga, vagamente marsina, o lunghissima e completamente aperta davanti. Giacca breve e accostata sui fianchi”.

Parlando di tessuti, materia, sostanza che genera la forma…

“Niente georgette, nessuna mollezza, ma stoffe corpose che assumono con naturalezza i volumi suggeriti dal taglio. Tessuti lucidi come il raso di lana e cotone, opachi come i gazar, prestanti come duchesse, shantung di seta, taffetà doppiato di lana e faille. Il piquet per accentuare gli effetti tridimensionali di certe lavorazioni. I tessuti leggeri, che respirano e assecondano i colori infondendo trasparenza al turchese, brillantezza al rosso”.

Parlando di piccole passioni, amori stagionali, dettagli che segnano il tempo…

“Mi è piaciuta l’idea di rendere più sottili i nastri trasformandoli in steli che sorreggono orchidee lussureggianti, enormi fiori dei tropici. Fiori che sbocciano dalle falde della giacca, che si mimetizzano nel disegno scozzese, si frantumano nel pizzo filet bianco. Fiori applicati e ricamati con paillettes. Stampati e trasformati in macramé. Fiori che sbocciano dalle maniche aperte in fondo come un calice”.

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Un soffio di nuovo, una brezza fresca e pulita, una traccia leggera di fiori, forse ricordi forse promesse. Un sentimento: la discrezione. Un comportamento: la quiete vibrante dei gesti e dei movimenti, delle parole. La padronanza interiore che viene dalle buone abitudini lungamente praticate. Un vestire sorprendente, che ha lo slancio del futuro e la conoscenza del passato: le cappe si dilatano, le sete si gonfiano, le pieghe sprizzano, ricordando Boucher e le sue incantate eleganze. I volumi richiamano la solennità della tradizione, ma posseggono una impensabile levità, ottenuta con la sapienza del taglio e l’esaltazione del tessuto, shantung e gazar doppiati, ottoman e picchè. Un fremito di georgette: la gonna lunga e diritta si apre su un’altra gonna pieghettata, che dà al passo un ritmo di danza. Una predilezione: il blu, che il rigore dell’alta moda contrappone al bianco del picchè. Un’emozione: il rosa intenso delle azalee. Un’illusione: coriandoli di colori che sembrano scomposti da un vortice di vento (e due stampati, l’uno sovrapposto all’altro, aumentano questo effetto di toni che si sfaldano. Omaggio al divisionismo?). Un’eccentricità spontanea di segnali contrapposti: il colletto all’impiedi, sfuggente come quello di una camicia da uomo, e le rose ottocento di picchè, che arrivano a coprire un’intera giacca di organza a pois bianchi e neri. I bottoni fitti, patinati d’argento, e le cinture che lusingano il punto vita. Un dinamismo delle forme, percorse da una folata improvvisa: la gonna si incolla dietro e ondeggia davanti, grazie all’astuzia calcolata dei pannelli a godet. Un disegno sinuoso del corpo, che sboccia dagli abiti-bustier, dalle gonne elementari. O da eccitanti giacche scolpite e scollate. Nella più pura tradizione Ferré.

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“Mi affascina il romanticismo sensuale e misterioso dell’Ottocento”, dice Gianfranco Ferré. “La ricchezza esotica dello scialle paisley e la pienezza delicata della rosa, che si sfa, diventa una pioggia di petali…”

Per affinità segrete e contrasti apparenti, gli opposti si toccano: stampato su organza con una tecnica che dà i riflessi della madreperla, lo scialle paisley accoglie una rosa di velluto bordò… Rose sparse a effetti tridimensionali si mutano in petali e tornano in fiore sull’abito da sera… Colori di polvere e rose essiccate… Leggerezze impalpabili: le gonne da ballo di tulle a cento strati con sfrangiature infinitesimali. La volpe argentata che vola leggera come una sciarpa di marabù. Posata sul cappotto da gran sartoria maschile …

Le forme si avvolgono naturalmente intorno al corpo come in un quadro di Jean-Baptiste Camille Corot: la mantella tonda diventa abito, lo scialle diventa camicia, lo scialle morbido e fitto si lega in vita e diventa cappotto, secondo quello che Baudelaire aveva definito “l’infallibile rigore dell’armonia”… Correnti di amorosi sensi tra forme e materiali: morbidezza del cincilla naturale. Levigatezza del velluto in ciniglia di seta, molle e doppiato di satin. Ricchezza della flanella di cashmere grigia… Benessere del tailleur che la cintura stringe alla vita, con le canne sciolte che ondeggiano davanti… Noncuranza delle maniche che paiono rimboccate con un gesto frettoloso… Un balenio d’oro nelle cuciture a graffa delle giacche. Il caldo splendore del vino nei granati che ricamano il top scollatissimo a sottoveste… Intensità delle sfumature di tartaruga e topazio scuro fino all’ebano …

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“Mi sono innamorato”, dice Ferré, “del velluto e dei suoi riflessi, che si ritrovano, in natura, nella viola pansé. L’ho sposata a forme tonde, esuberanti, che da un lato hanno la pienezza della femminilità, dall’altro il guizzo dell’eccentricità. Ma le ho legate a nastri e cadenzate con fiocchi: per offrire allo sguardo il più sontuoso dei bouquet”.

Tutto fiorisce, tutto ondeggia… i colletti sbocciano simili a pansé giganti. Le gonne si avvolgono intorno ai fianchi, un nastro sull’altro. Le cappe sprizzano di fiocchi e ruban.
Tutto si arrotonda, tutto si dilata… i cappotti di alpaca prendono enfasi sul dorso per i grandi carré interni di taffetà arricciato. I vestiti da sera, lunghi oppure corti, ondeggiano in una ruota quasi conica. Le nuove texture, che partono dalle lavorazioni tipiche della couture Ferrè (faille trapunta e matelassé) arrivano a imbottire il pizzo e a disegnare scaglie di tartaruga sul tessuto.
Tutto si arrotonda, tutto si intreccia, tra illusione e allusione… I nastri si rincorrono intorno al cappotto e si mescolano alle viole, alle foglie di vite, alle mimose. Stringhe infinitesimali di pelle serrano la figura. Fiocchi in un misterioso equilibrio semisfatto incorniciano la gola. I colori hanno la sensualità poetica e il virtuosismo di Honoré Fragonard: viole, lilla e ribes ; il marrone dal tête-de-négre fino a una regale sfumatura prugna; il bianco e il nero.
Tutto si avvolge voluttuoso, tutto adorna sontuoso… le pellicce ultramorbide di castoro sono foderate di taffetà cangiante matelassé. Il breitschwantz ha la vita mutevole di un tessuto: decorato, ricamato, intarsiato. Gli zibellini sono usati a cascata, a pelle intera. Le pellicce si trasformano in stole, sciarpe, cappe. Da buttarsi indosso sulla camicia di organza bianca o sulla t-shirt.

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Parole insolite per concetti inconsueti: la disinvoltura dell’abito diritto di jersey grigio, riscaldato dal cappotto di faille e jersey (un tessuto doppiato che assume aspetti plastici e nuovi). La serietà del tailleur da passeggio in lana gessata secca e brillante: una silhouette asciutta, senza colletto, segnata in vita, che però non cancella la femminilità. Esaltata da un mantello a ruota di faille impermeabile nera. La sensualità della sciarpa bianca che ha la funzione ambigua di manica, e del jersey che fodera il cappotto di petit-gris. La fastosità controllata delle paillettes metalliche che imitano la grana irregolare del tweed, e del tweed impreziosito dai cristalli. La naturalezza degli chemisiers di faille a due colori, con la gonna a pannelli che fascia il dietro e prende volume davanti, ma senza rigidità o sostegni: semplicemente piegando e ripiegando il tessuto. La noncuranza nel trasformare le paillettes in squame ultra morbide di rettile accostate alla martora nei cappotti, nel posare le spirali a occhio di pernice sopra i pantaloni di grisaglia. La sicurezza nel riaffermare i temi tipici di Gianfranco Ferrè: le spirali, il mezzo nodo rigido, le palette di toni dal grigio fino al bianco e nero, il neutro e neutrale, che corrisponde a certi schemi di ufficialità. Il bisogno di un gesto che segni la collezione: stringersi, per esempio. Portare la sciarpa, o avvolgersi la sciarpa-manica intorno al braccio, per una morbidezza insistita dei movimenti.

L’ATELIER GIANFRANCO FERRÉ

C’è chi segue la strada canonica, il percorso logico di sempre, e chi, con altrettanto rigore, sovverte i termini della questione: Gianfranco Ferré, stilista eccentrico, dopo otto anni di prêt-à-porter che qualcuno ha definito “il più intellettuale e sofisticato del made in Italy” arriva all’alta moda.

E subito ci si domanda: non è una contraddizione?

“E’ più che coerente, invece. Una debita conseguenza del livello a cui è approdato il prêt-à-porter. Ormai certi capi sono così selezionati e preziosi che si vendono “ad personam”. Perché non spingersi un po’ più in là e proporli su misura?”.

Questo riesce a influenzare la sua ispirazione?

“Mi fa sentire fortemente la necessità della discrezione, di una certa quiete di gesti e comportamenti che rifletta la padronanza interiore. Se penso a una situazione, un momento tipo, ho in mente la tunica bianca, tipica di Ferré, la sciarpa di castoro nero, il movimento dolce della mano che la stringe, con i torchon di jais nero ai polsi. Senza l’esuberanza del prêt-à-porter”.

Non è il contrario? In genere è l’alta moda ad essere ritenuta appariscente e destinata a stupire.

“Non la mia. Sono convinto che debba avere linee più contenute del ready-to-wear. Trovare proporzioni nuove e più aderenti alla figura”.

Questo è il contributo di Gianfranco Ferré all’alta moda: e viceversa? Che cosa dà l’alta moda a Ferré?

“La possibilità di dimostrare una cultura tecnica e una sperimentazione affinata collettivamente. Perché noi siamo in grado di portare nell’alta moda alcune tecniche proprie del prêt-à-porter, senza togliere all’abito la manualità e l’artigianalità che deve avere: infatti ci sono accorgimenti, studiati da noi, che vengono approntati come in un atelier”.

Borse di studio. IUAV, 2009

Bando di concorso per l’assegnazione di un premio di laurea per la redazione dell’elaborato finale in design della moda.

La facoltà di Design e Arti – corso di laurea in Design della Moda, su fondi messi a disposizione dalla Fondazione Gianfranco Ferré, bandisce un concorso per un premio di laurea per elaborato finale dell’importo di euro 3.000,00 (tremila), riservato ai laureati del corso di laurea in Design della Moda – Università IUAV di Venezia.

Bando di concorso

Vincitore

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Dal Quartier Generale, 24 fiorile (13 maggio), anno IV della Repubblica (1796).

 Il Generale Bonaparte scrive:

 “Attendo con impazienza Murat per poter sapere in ogni particolare tutto ciò che fai, tutto ciò che dici, le persone che vedi, gli abiti che indossi; ogni cosa che riguarda la mia adorabile amica, cara al mio cuore, ansioso di sapere…”

 Indirizzo: alla cittadina Bonaparte, rue Chantereine, numero 6, a Parigi.

“Armonia degli opposti. Un desiderio di grazia e di fierezza insieme, di semplificazione e di enfasi percorre per intero questa collezione, che si dipana come una storia di magiche fogge trasformate per riportarle sempre più al corpo. Dimensioni ridotte, linee assottigliate, vita innalzata appena sotto il seno generano un’impressione di scioltezza e fluidità, che dà risalto a volumi intenzionalmente accresciuti, ricalibrati in modo talvolta eccentrico, soprattutto in certe parti dell’abito: colletto, maniche, polsi.

 Mi sono lasciato conquistare da un gioco di costruzione e decostruzione delle forme, che è anche un gioco con la Storia, con un’epoca che ritengo mirabile, perché ha visto i canoni dell’eleganza cambiare e diventare moderni. Perdere leziosità e acquisire purezza ed  energia.

 Con un’intenzione assoluta di modernità, ho esplorato certi segni estetici del Direttorio e del primo Napoleone, uomo di grandissima forza e di eloquente eleganza, nato – guarda caso – il 15 agosto, come me.

 Ho riletto al futuro i segni di un’epoca in cui si sommano l’espressività allegorica di matrice militare e la femminilità composta e regale delle sue protagoniste, da Joséphine Beauharnais a Paolina Borghese, a Madame Récamier ritratta da David.

 Manipolando le suggestioni della Storia, ho ridefinito l’architettura dell’abito, sperimentato assonanze nuove tra i pezzi del guardaroba,  ricercato alchimie  singolari di materie.

 La pulizia fondamentale delle linee si completa in una sequenza di ampiezze, rotondità, gonfiori calibrati, prodotti da tagli singolari, coulisse, lacci, drappeggi. Il cappotto assume una conformazione bombata per le pinces cucite a spirale che generano ruches. Le maniche raddoppiano la prestanza perché i polsi si rigirano sin quasi alle spalle. La gonna in lana double finita a “strappo” ha un godet anatomico sul davanti e cade affusolata dietro.

 I volumi possono crescere, le strutture semplificarsi. Il trench e il blouson dal collo doppio (alto e sostenuto, simile al pastrano degli ufficiali della Grande Armée) sono chiusi e solcati da zip che si possono aprire: parzialmente per creare i revers, oppure del tutto per trasformare a sorpresa in marsina il capo, eliminandone la parte anteriore.

 Il cappotto minuto da città si sovrappone alla tuta double in georgette, la giacca-corsetto alla T-shirt di pizzo. La redingote di satin rosso con la svasatura esasperata al ginocchio sta sopra il pull di mohair grattato. Il trench di visone è nappato in esterno e operato a strisce all’interno, il giacchino-marsina può essere in coccodrillo kaki.

 La sera sprigiona la magia severa del nero. Incredibili tagli a rettangolo di georgette creano abiti che cadono a colonna sul davanti, con il seno altissimo appena velato e sostenuto da piccole imbottiture e fasce ricamate. Ma acquistano sontuosità sul dorso perché si allungano in uno strascico trattenuto a terra dall’orlo di velluto pesante. Abiti dalla scollatura abissale si combinano a T-shirt. Pizzi e drappeggi che muovono le maniche disegnano una nuova, incantata versione della camicia da notte di Paolina.

 Un intento di moderna preziosità, che concilia forme precise e declinazioni eccentriche, modula anche la gamma degli accessori. Le borse hanno il manico a scettro, in argento autentico. Sono di cavallino o pitone in tonalità classiche e si ripiegano in due per custodire nel mezzo l’ombrello. Sono minuscole – in iguana, tejus, coccodrillo grigio con l’interno viola – poco più grandi di un portafoglio attrezzato.

 Non meno varie e femminilmente accattivanti sono le fogge delle calzature. Gli stivali alti danno slancio al piede. Le pantofole ultra-piatte e ultra-affusolate sono in vitello morbido o in jersey pesante. Piccoli nodi sul davanti le ingentiliscono, suole solcate per il lungo da una giuntura le rendono uniche. Il sandalo di coccodrillo con la zeppa, da portare con le calze coprenti o persino con i calzettoni pesanti, se il pantalone si ferma al ginocchio.

 Allo stesso modo, l’equilibrio tra compostezza e slancio segna l’identità cromatica della collezione, pacata e variata. Accanto ai non-colori dell’inverno, solidi e naturali  – il grigio urbano, il verde militare e oliva, il kaki – ho voluto il bianco tenero ed il rosa poudre dell’incarnato delle “merveilleuses”, il nero severo e prezioso, il rosso imperiale, il fucsia della Martinica che forse Joséphine portò con sé a Parigi, nei suoi ricordi e nel suo cuore…”

Gianfranco Ferré

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“Ho immaginato di compiere una sorta di  percorso, o meglio, una “promenade” che prende avvio da un’intenzione di androginia per evolversi e trasformarsi sino a divenire una dichiarazione di rispetto e di passione incondizionata per la femminilità. Punteggiata da una impronta di  scioltezza e libertà, ma anche da sorprese e slanci alchemici, ho fatto della nuova collezione una sorta di esplorazione della “mia” femminilità, in egual misura immediata e sofisticata, severa e misurata, senza per questo rinunciare all’incanto, in particolare quando il ritmo incalzante del giorno cede il passo al languore della sera…

 Ho giocato di rimando, focalizzando l’attenzione sui particolari, osando le contraddizioni, per giungere all’equilibrio dell’eleganza vera e pertanto mai banale. Le giacche, per esempio, sono destrutturate, ma allo stesso tempo piccole e ravvicinate al corpo, mentre gli abiti e i trench si concedono ampiezze che vengono rimborsate con effetti decisamente enfatici. L’aplomb dei soprabiti è assicurato dall’accortezza dei tagli strutturali – soltanto tre  nel cappotto bianco – che riducono al minimo la necessità di cuciture. Le gonne, configurate a trapezio, appaiono voluminose, quasi a sottolineare con l’importanza delle forme un ragionato crescendo di femminilità…

 Ho voluto che le gambe guizzassero veloci – svettando sui tacchi alti e solidi delle calzature in suede – pur restando immancabilmente coperte e protette da calze ben spesse. All’opposto, le braccia sono libere, scoperte, in piena evidenza. Per riscaldarle, le maniche non sono sufficienti, poiché, se non mancano del tutto, restano comunque corte. Così, i guanti risultano indispensabili, onnipresenti e irrinunciabili. Salgono sinuosi ben oltre il gomito, sostituendo a tutti gli effetti le maniche stesse e diventando ben più di un accessorio. Non meno importanti – per combattere il freddo ma anche per disegnare la silhouette – sono le stole ad anello, in seta imbottita e trapunta, che si avvolgono al collo, scivolando però sino ad accarezzare le spalle, con naturalezza ma anche con un pizzico di malizia…

 Ho declinato la materia applicando tutta la mia propensione per l’alchimia, per il prodigio, per l’illusione voluta che avvicina – e quasi confonde – la realtà al sogno. La seta, pressoché priva di peso, è increspata fitta sino a sembrare la carta delle lanterne cinesi. Il cachemire albino convive mirabilmente con il cotone nel trench bordato a mano. La pelle, esattamente come il metallo delle piccole borse da sera, rivela una superficie armoniosamente mossa ed una profondità inusitata, perché è intagliata a laser e sovrapposta a triplo strato. Il pregio estremo del pekan – utilizzato solo per bordi e dettagli – si percepisce ancora di più…

 Ho scelto che la partitura cromatica fosse tanto calibrata quanto capace di stupire, tanto pacata quanto vibrante. Così, ho spaziato dal  nero alle nuance del cammello albino, dall’immancabile rosso alle sfumature indefinite del muschio, sino al lilla più chiaro e delicato. Ho anche rinnovato e ritrovato un mio amore di sempre, quello per il bagliore dei metalli – dell’oro e dell’argento, del peltro e del titanio – che fa risplendere un po’ tutto, quasi ogni materia, dal denim al broccato, dalla nappa alla seta…

 Ho applicato agli abiti da sera le norme di una severità aggraziata e donante, contrapponendo la lucentezza dei ricami, delle incrostazioni e delle placcature a linee e volumi armoniosamente semplici, appena arrotondati, movimentati dalle pieghe che cadono ieratiche….

 Ed infine mi sono lasciato sedurre e ammaliare dal sogno assoluto, dall’impossibile che diventa possibile, dalla bellezza allo stato puro. Inventando un top tempestato da un’infinità di diamanti. Autentici. Essenziale, quasi minimale nella forma, è abbinato al pantalone da smoking affusolato e alla cappa di seta che non lo cela affatto, ma, al contrario, lo esalta. E’ sublime ed abbagliante come un miraggio. Interpretato, in passerella, da una donna dal fascino singolare, fatto di forza e di dolcezza, di energia e sensualità, dosate mirabilmente in una personalità e in un appeal che non possono non conquistare…”

Gianfranco Ferré

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“…Mi sono lasciato irretire da un desiderio di vacanza, di relax e  divertimento. Quel relax tonificante che si potrebbe associare ad una traversata a bordo di un cutter che a vele spiegate solca l’Atlantico verso Punta del Este. O quel divertimento che si può provare in una notte libera e inebriante, illuminata soltanto dai fuochi di una fiesta gitana. Per raccontare questo desiderio, ho giocato con gli opposti. O meglio, ho giocato con valenze tra loro differenti, che nella femminilità di oggi si conciliano senza contraddizioni: sensualità e compostezza, educazione e slancio, energia e dolcezza… Il risultato è una collezione definita da una spiccata attitudine sportiva, ma anche da un accento sull’educazione. Una collezione in cui ho semplificato e ridotto forme e proporzioni, senza per questo rinunciare al dovere delle costruzioni precise, né alla propensione per la magia…”

Gianfranco Ferré

 Semplificare e, soprattutto, ridurre. Vale per orli e lunghezze: gli short conquistano la scena, insieme alle gonne più che corte, a tulipano, portate un poco scese sui fianchi e fermate appena dalla cintura lunga e sottile come un lazo. Le gambe guizzano libere. Anche le giacche si riducono: assumono la conformazione di inediti micro-caban,  di spencer e boleri in gabardine di cotone sostenuto. Accrescono il loro volume, scostandosi dal busto e concedendosi maniche gonfie ed importanti. Si portano sulla canotta da atleta in jersey. Rivelano sempre i segni della sartorialità: tagli ineccepibili, finiture uniche, cuciture eseguite a mano. Il nitore formale si riflette nell’essenzialità cromatica. Blu, nero, bianco, sabbia: toni basici e neutri che, accostati tra loro, muovono i capi con grafie ad impatto. Come gli slogan dadaisti ricamati sulle felpe. O come il trompe-l’oeil di stemmi e iconografie rubate ai club di polo argentini che sulle T-shirt diventano decoro, orpello, plus evocativo. Anche le maglie si prestano all’incantesimo del trompe-l’oeil. Cadono a poncho e sono solcate da trecce color corda,  lavorate grosse come nella migliore tradizione marinara e applicate sul tulle.

 Senza stridore, queste vibrazioni di dinamismo si conciliano con un compiacimento  femminilissimo, che induce a rivelare ciò che normalmente è nascosto alla vista. Così, i piccoli abiti da cocktail hanno l’appeal della lingerie.  Sono in raso lucente, stropicciato e vissuto, come se fossero capi d’intimo conservati a lungo in un cassetto. Persino la pelle si presta a questa misurata dichiarazione di malizia: è lavorata come un tessuto, alchemicamente leggera e lucida come il satin da dessous.

Se il giorno è scattante, la sera è danzante. E’ lieve e ammaliante. L’elemento catalizzatore della seduzione è lo scialle flamenco in georgette. Aereo, immancabilmente finito da nappe e frange che oscillano senza posa, si lega attorno ai fianchi per sottolinearne l’ondeggiare ritmato. Oppure si annoda sul seno e intorno alle spalle, per trasformarsi nel più ammiccante dei top con i lembi che pendono sulla schiena. Assemblati tra loro gli scialli diventano gonne, sinuose e fascianti sin quasi al ginocchio, ampie verso l’orlo e allungate a strascico. In un tripudio di leggerezza ed enfasi, si possono intuire righe a contrasto, pois ingigantiti, grafismi decisi stampati sul satin. Come per una propensione al pudore e alla discrezione, queste fantasie sono sempre velate ed attenuate da strati sovrapposti di voile e chiffon plissettati e incrostati di pizzo. In un rimando caleidoscopico di colori si accostano e si oppongono blu notte e marrone denso, rosso e giallo citron, bianco ottico e avorio… Perché, quando cala la sera e la luce si attenua,  è inevitabile che la piacevolezza solare del relax ceda il posto ad una istintiva propensione al languore e alla gioia, al mistero, all’incanto…

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“Riflettendo sui corsi e i ricorsi che governano la storia, mi ha colpito come ogni principio di secolo porti con sé un impulso singolare a ridefinire e, per così dire, a ripulire linee e fogge del vestire. Sviluppando questa intenzione, che in verità è un elemento costitutivo del mio progetto di stile, nella nuova collezione ho voluto porre un accento ancora più marcato sulla precisione e sulla purezza quasi geometrica delle forme e delle costruzioni. Perseguendo un ideale di perfezione e di distinzione che giunge a suggerire persino impressioni di regalità, severa ed aggraziata insieme,  vibrante di contemporaneità. In questo orizzonte di nitore, ho concesso spazio a dichiarazioni di intenzionale opulenza, a tracce di  ragionata ridondanza, comunque lievi e mai eccessive, espresse soprattutto nella sofisticata magia dei decori…”

Gianfranco Ferré  

 Le logiche della precisione determinano, in primo luogo, costruzioni e proporzioni. Le gonne a trapezio, alte in vita, conferiscono alla silhouette un andamento svasato, eppure fermo, mai oscillante. I pantaloni hanno una conformazione ergonomica e scattante, particolarmente asciutta sino al ginocchio ed appena allargata più sotto, con la piega ben segnata che evoca un aplomb da uniforme. Le giacche dei tailleur da città sono minute, corte, impeccabili. Sfiorando appena la cintura, sono addolcite dalle bluse morbide e impalpabili, con la coulisse in vita e il collo alto chiuso castamente dal fiocco. Anche i cappotti da giorno sono ridotti e diritti, quasi riedizioni al futuro dei paletò infantili dei primissimi ‘900. Questa singolare pulizia formale dà risalto ai piccoli-grandi segni di ricercatezza, di enfasi, di unicità: gli alamari “Brandebourg”, gli intarsi in velluto, le martingale impunturate, le cinture incassate. E i grappoli fitti di minuscoli bottoni a boule, in metallo dorato e zapponato, che in quantità infinita accendono di bagliori smorzati giacche, cappotti, T-shirt…

 L’impronta di distinzione è garantita anche dall’andamento cromatico, dichiaratamente pacato e nobile. Il nero sfuma nel marrone e nel blu più cupo e invernale. Le tonalità bisquit si alternano al bianco lana e alle nuances  “kacha” più calde. Profondi e ammalianti, risaltano invece i riflessi e le sfumature delle pietre preziose: del rubino e dell’ametista, dello smeraldo indiano, dello zaffiro malese. Spezzando il predominio  degli uniti, un’unica fantasia percorre l’intera collezione, diventando un leit motiv grafico e decorativo insieme: virato in bianco e nel colore del feltro, un simbolico bestiario da fiaba nordica inventa un caleidoscopio incantato, che, riprodotto su ogni materiale, crea falsi cretonne…

 Rimandi tra  naturalezze corpose e prodigi alchemici governano le scansioni materiche. La lana rivela le sue mille, versatili anime: dalla gabardine ai diagonali, dal faille doppio alla tela stretch, dal satin al crêpe bielastico. Stropicciato a bastone, lo chiffon disegna camicie, color avorio o inchiostro, che paiono capi d’antan riportati ad un nuovo appeal. Il cavallino oppure il cotone doppiato in duchesse di seta costruiscono i giacchini a spencer, da cadetto.  I velluti da arredamento sono lavati, il visone dei trench e dei cappotti è lavato e bottalato, assumendo l’aspetto e la consistenza della ciniglia invecchiata…

 La sera concilia romantiche maliziosità e austerità di vittoriana memoria.  Gli abiti lasciano le spalle nude, oppure, all’opposto, hanno il collo che sale alto sin quasi a sfiorare il mento. Le gonne sono in raso o in velluto, aeree e spumeggianti, sostenute dalle sottogonne in tulle e faille. Si allungano naturalmente a terra in un accenno di strascico, che richiama alla memoria la “Princess line” di fine ‘800. Per proteggersi dal freddo, sopra gli abiti da sera si indossano cappotti tagliati come i pastrani da ussaro, in cachemire double o in velluto di seta doppiato di taffettà, anch’essi percorsi da teorie di bottoni lucenti. E con il movimento, cappotto e abito si aprono, mostrando i sandali a calzare tempestati di jais che coprono la gamba sin sotto il ginocchio. Da Venere Imperiale dell’era nuova…

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“Il candore, la leggerezza, un tocco di frivolezza, consapevole e dunque composta: mi risulta facile, quasi spontaneo, sintetizzare in queste parole le emozioni che percorrono la mia nuova collezione. Sono questi i segni distintivi della femminilità che ho voluto raccontare, gioiosa e solare, eppure sobria e aggraziata. Una femminilità appassionata e riservata, che fa pensare alle donne latino-americane, hermosas y preciosas…

… Il candore è quello della luce intensa di mezzogiorno che si riverbera sulle facciate degli edifici coloniali e delle fastose cattedrali messicane. Il bianco non è soltanto un colore: è una dichiarazione di vitalità e di purezza. L’ho scelto per scandire una parte importante della collezione, connotata da linee e volumi nitidi e precisi: nelle giacche, nei blouson e nei pullover piccoli – ravvicinati alla figura e ridotti sulle spalle – che si oppongono alle gonne arrotondate sui fianchi, appena scese in vita e decisamente vincenti sui pantaloni, che, quando ci sono, non superano la lunghezza del bermuda per lasciare libere le gambe. In un equilibrio raffinato tra essenzialità ed enfasi, il candore del bianco declina immancabilmente le bluse di organza, mosse da mille piegoline fittissime, lavorate a punto smock o nido d’ape, profilate da nappine e ponpon, arricchite da sontuose maniche a sbuffo, a balloon, a nuvola… Per attenuare il riverbero accecante del bianco, l’ho affiancato alle più calde e dense tonalità del legno – bois de rose, sandalo, palissandro, mogano – che talora sconfinano nelle sfumature non meno intense dei fiori selvaggi della Sierra: rosso sangue, cinabro, carminio…

… La leggerezza è, innanzitutto, quella delle materie dell’estate, il voile di cotone e la georgette in particolare, che ho utilizzato anche per i capi sport, così da conciliare freschezza e comfort. Persino la pelle dei giubbini in bufalo e in cervo – in sé corposa e granulosa – diventa alchemicamente duttile e morbida, acquistando una consistenza simile a quella del popeline. Sfidando la legge di gravità, tutto è lieve, anche quando sulle superfici risaltano pizzi e ricami preziosi, accanto a una serie infinita di lavorazioni minuziose nei motivi a filet, a punto pieno, ad ajour, a crochet, a macramé doppio, a trafori floreali, non di rado assemblati a patchwork nelle giacche e nei pullover. Anche le borse paiono non avere peso, sono esagerate nelle dimensioni e flosce come bisacce, si portano a tracolla e quasi si avvolgono al corpo. Ma la leggerezza può essere anche la nonchalance di un gesto, di un vezzo, che induce a stringersi addosso lo scialle a mantilla in finissima maglia di seta a righe bajadère, oppure in cotone a trama grossa, per proteggersi dalla brezza della sera lasciando fluttuare la gonna volante in tulle ricamato…

… La frivolezza, in verità, è tripudio, vivacità, magia. E’ l’opulenza incantata che ho voluto esplodesse soprattutto di sera. Nei pizzi dorati e nelle cascate di catene tintinnanti e risplendenti, che richiamano alla mente i gioielli sacri della Virgen de Guadalupe. Nelle T-shirt velatissime – sexy e caste insieme perché lasciano nude le spalle ma coprono il collo – tempestate di pietre dure, di boule argentee, di applicazioni dorate e sbalzate. Nelle gonne e negli abiti aerei, anche se sontuosi nelle dimensioni, rigorosi nell’aplomb architettonico, mossi da balze di colori diversi, solcati e arricciati da nastri in gros grain, rialzati sul davanti e allungati dietro in un accenno di strascico… La frivolezza, infine, conferisce un appeal intrigante agli zoccoli e ai sandali a listini intrecciati: svettanti sui plateau di legno sagomato ed inguainato nel camoscio impalpabile color nudo, danno slancio e solidità alla figura, scattante e ieratica, che riflette la sua ombra paseando per le vie e le piazze della città, sfidandone la calura. In attesa che arrivi il tramonto…”

Gianfranco Ferré

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“Mi piace raccontare la femminilità di oggi nei suoi tanti modi di essere e di atteggiarsi. Una femminilità che è raffinata e romantica, corretta da una certa severità. Senza contraddizioni, sa e vuole essere anche sportiva, in una scelta di comfort che arriva sino a un consapevole anticonformismo. Ho cercato e trovato questa femminilità, affascinante e speciale, nelle note struggenti di una melodia, nei versi puri di una lirica, nelle immagini di una città pulsante, in orizzonti che sembrano non avere fine…”

Gianfranco Ferré

La severità è riassunta dal tailleur pantalone da città in lana blu gessata: asciutto e preciso, ma con le spalle oversize e il collo in pelliccia di capibara, si porta sulla camicia a jabot, bianca o pervinca, che ritorna in tutta la collezione e in mille abbinamenti differenti. Oppure è espressa dalla gonna diritta al ginocchio, in grisaglia grigia, che finisce con una piccola balza e, a sorpresa, si combina con il blouson decisamente esagerato nelle proporzioni, in cover d’antan pesante, guarnito da un grandioso collo in guanaco naturale: una sorta di rivisitazione glamour dei mantelli che si indossavano un tempo per cavalcare nella pampa…

Ma la severità convive con l’incanto e l’originalità, acquista slancio, risuona di vibrazioni sensuali. Senza perdere l’aplomb sartoriale, il tailleur, di tessuto ma anche di pelle, si anima di impunture quasi arabescate. La gonna, allungandosi, diventa anche più ampia: ha la baschina un po’ scesa sui fianchi, raggiunge il polpaccio, si apre a ruota ondeggiando con il passo, che è elastico ma ben saldo, perché il piede è protetto dallo stivale che ricorda le “botas de potro” dei gauchos, in suede leggerissima e incolore, oppure in cuoio istoriato e borchiato con il tacco a zeppa. Se arriva al suolo, la gonna è in faille di seta cangiante, fatta di balze fitte di plissé: con il movimento sembra danzare, creando un fruscio irresistibile, più seducente di una milonga…

Anche proteggersi dal freddo diventa un’affermazione di opulenza, un esercizio di alchimia. Nei cappotti e nei mantelli l’opossum si mescola alla volpe e al breitschwanz, il bouclé è doppiato di astrakan, il visone rasato diventa leggero e morbido come il velluto, il montone a peso piuma è reso ancora più lieve e magico dalle devorazioni damascate a laser. Broccato e lana shetland si accoppiano nei piumini trapunti e sontuosi, che la naturalezza di una T-shirt grigia e di un jeans riporta alla normalità, anche se sono tempestati di cristalli che risplendono come le stelle nel cielo terso della Patagonia…

In inedite assonanze con il tweed e con un velluto incredibilmente cangiante e ricco di riflessi, il broccato esplode in tutto il suo fulgore privilegiando le sfumature più profonde e intense: marrone caffè, rosso vinaccia, verde cupo, blu notte e blu inchiostro, qualche volta rischiarate da lampi di arancio o di rosso vivo. Per dare vita a gonne ricamate, decorate, arricchite da applicazioni, che si portano con la blusa essenziale e sono fermate in vita dalla cintura-bustier in cuoio impunturato, chiusa da lacci intrecciati che si allungano oscillanti. Sotto l’orlo spunta la forma affusolata della scarpa da tango in raso, con la punta di struzzo, i listini incrociati sul davanti, il tacco a coda di rondine. E il ticchettio, lieve e tentatore, si allontana nella notte porteña, lungo i marciapiedi di Corrientes, per inseguire l’echeggiare di una canzone…

“En la musica estàn, en el cordaje

De la guitarra trabajosa

Que trama en la milonga venturosa

La fiesta y la inocencia del coraje ».

Jorge Luis Borges, « El Tango »

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“Se dovessi riassumere lo spirito della mia nuova collezione in una sola frase, direi che nulla appare costruito eppure tutto è studiato, per regalare leggerezza e un glamour moderno alla figura, anche quando si tratta di capi dichiaratamente sport. Senza rinunciare alla magia, all’emozione, all’appeal…

 Per rendere ogni cosa elastica e ben disegnata sul corpo, ho usato il jersey come strumento primo e assoluto. Una necessità, quasi un’ossessione. L’ho voluto in tutte le sue varianti e carature, in tutte le possibilità di abbinamento e interpretazioni. Accostato con naturalezza al satin nel blazer e allo chiffon nel “marcel” a uomo. Rivestito di rete nera per alludere al micro-motivo a occhio di pernice nel pantalone e  all’effetto tweed nella giacca impeccabile, che ha le spalle segnate, un accenno di baschina e le finiture sfrangiate in tweed autentico di seta. Traforato con la tecnica dell’alta frequenza per trasformarsi in neo-pizzo macramé nella gonna corta al ginocchio, allargata in un godet a ventaglio che ondeggia al passo. Nei blouson ho combinato nylon, jersey e pelle di canguro, in un rimando di morbidezza e duttilità che quasi impedisce di distinguere un materiale dall’altro. Mentre i lembi forati a rete, a trama larga o più fitta, si giuntano a patchwork nelle camicie dal singolare effetto sportivo-romantico…

 Per raccontare questa femminilità che attrae per la sua levità, ho scelto un andamento cromatico pacato, in cui è determinante la presenza del nero e più ancora dei toni morbidi della polvere di cacao, di guarana, di manioca, o delle sfumature appena un po’ più calde della terra. Ma ho lasciato anche che esplodesse il colore, per evocare un incanto prezioso e fiabesco. La giacca in serpente-corallo riluce di tinte squillanti mischiate ad Arlecchino. Negli abiti da sera vibra il fascino selvaggio delle stampe animal. Sullo chiffon, sul tulle e ancora sul jersey le sfumature dei manti felini si sommano a ricami abbaglianti, a incrostazioni alchemiche che disegnano foglie esotiche, fiori Liberty, gigli, velati e per questo ancor più ammalianti…

 Anche la silhouette si muove e acquista enfasi. Strati tripli, quadrupli di tulle plissettato si increspano verso l’alto e trasformano l’abito nell’ombra, opulenta ma inconsistente, di un animale della foresta. Il fourreau sinuoso a motivi wild si allarga a campana verso il fondo, quasi smisurato, aereo, fatto apposta per fluttuare e sedurre.

 Come l’abito in satin nero incrostato di pizzo, con la vita alta fin sotto il seno e le balze profilate da ricami luccicanti che scendono senza staccarsi dal corpo, da portare sotto il giacchino in duchesse color naturale, che restituisce all’insieme una certa austerità. Ancora più maliziosa, unica, incredibile è la versione in cui il tulle ricamato si sovrappone allo chiffon tigrato…

 Per ancorare a terra la figura, ho preferito calzature dalle forme evidenti, in materiali inusitati: pitone, canguro, zebra. Eccentricamente e persino imperiosamente importanti sono i sandali in pitone, con un accenno di zeppa a specchio, il tacco altissimo in corno, la fascia che avvolge la caviglia bloccata sotto la suola da un fermaglio argentato. E un po’ tutti gli accessori vogliono colpire e risaltare, ispirati anch’essi a un bestiario universale, da sogno: le cinture sottili sono zebrate, i pendenti a zanna di facocero, come i bottoni e gli alamari che chiudono il montgomery in faille…

 Come se lo splendore rigoglioso della foresta pluviale amazzonica, con la sua flora e la sua fauna, si confondesse nella fantasia con l’atmosfera appassionata e tentatrice di San Salvador de Bahia. Evocata dalle orchidee appuntate sugli abiti che si susseguono in passerella e soprattutto dal profumo inebriante che permea l’ambiente e conquista…”

Gianfranco Ferré

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“Ogni parola si trasforma nel suo opposto, ogni concetto nella sua antitesi: colore-non colore, classico ma non classico. Nasce così una silhouette danzante e decisamente femminile, con spalle importanti, vita strizzata e gonne sempre ondeggianti – ma anche sempre precise al ginocchio – per scandire con un’irresistibile impronta di glamour e di eccentricità i modi e le logiche del vestire. Si percepisce, forte, una sorta di ossessione sportiva che influenza e rilegge i codici dell’eleganza urbana e vince una sensazione di freschezza anche nella stagione fredda, in cui i non-colori sono capaci di una profondità singolare: il nero assoluto e il blu d’inverno, che si accosta al verde, al petrolio, al grigio, al mattone. Con il tocco imprevisto dei fluo, delle tonalità segnaletiche ed energetiche, riservate ai dettagli e ai materiali più magici, come il coccodrillo….

 Intenzionalmente, ho ripensato le tipologie classiche in modo che non risultino scontate, come le giacche, le gonne e i tailleur da città fatti di tessuti con la cimosa messa in evidenza perché diventi decoro, oppure rifiniti con il gros elasticizzato e orlato a plissé. Mentre a ciò che è prezioso, come la pelliccia o il cachemire, ho dato una connotazione marcatamente sport. Ho utilizzato il castoro naturale, l’opossum australiano, il visone biondo mélange per gilet sotto-giacca e fodere di parka iperfunzionali a prova di grande gelo. Raddoppiato e triplicato, il cachemire assume invece la compattezza e la solidità di un inedito e lussuoso feltro…

 Per costruire, creare movimento, assecondare la naturale flessuosità della figura, ho prestato uguale attenzione alla consistenza e alla duttilità  della materia. Ho preferito il velluto di cotone a quello di seta, perché troppo cascante. Ho  impiegato tutta la gamma  dei jersey opachi – corposi e scattanti allo stesso tempo – e delle tricottine elasticizzate. Ho conferito al completo blouson e pantalone, zippato e bicolore, quasi l’aderenza di una tuta da sub perché è in doppio jersey stretch, come il tailleur jogging che si porta sulla camicia a corolla, con nonchalance e snobismo. Ed è stretch anche il nylon del completo habillé con la gonna mossa e civettuola. L’Oxford delle camicie maschili serve invece per la blusa elegante, con lo jabot che altro non è se non una cravatta che può essere sbottonata e rimossa. Una serie intera di pezzi in gabardine di cotone tripla e ritorta prende origine dal tradizionale trench che si muove sul corpo per trasformarsi in tailleur, giacca, camicia, con il bavero che diventa baschina o battente della tasca, con i revers che scendono come falde, con la fodera in tela e i bordi in satin. E come sempre, la ricerca e l’invenzione sfociano nell’alchimia, nell’illusione, nell’abbaglio, per ritrovare ciò che è proibito. Nei bordi dei cappotti e nelle gonne la pelle di capra tibetana, usata a pelo contrario e con gli inserti in tulle,  sembra pelliccia di scimmia. Nel tailleur il manto maculato del giaguaro è riprodotto dal cavallino dipinto a mano. Quando non è autentico, il coccodrillo – vero e proprio feticcio e leit motiv decorativo – ritorna nei ricami a scaglie in paillettes, in jais, persino in placche di pura plastica…

 Per la sera ho rinunciato alle lunghezze totali. Corti e sinuosi, gli abiti hanno il corpetto ravvicinato – drappeggiato, oppure animato da sbuffi – e gli scolli a corolla; la parte inferiore è mossa invece da inserti, volute e pannelli. Il jersey stretch disegna il più elementare giacchino sfoderato, mentre nei capi più intriganti si combina al satin impunturato, al voile, al tulle, con gli intarsi in pizzo, le incrostazioni e  le glitterature “alligator”. E per proteggersi, bastano dei piccoli, raffinatissimi e maliziosi coprispalle in volpe selvaggia al naturale…

 Sui tacchi alti delle scarpe a punta affusolata le gambe svettano sempre. Di giorno però sono coperte e riscaldate da ghette nello stesso tessuto del cappotto, o da calzettoni che calano sin sui tacchi. Mentre di sera sono del tutto in evidenza, con il piede appena velato dalla rete o dal satin, oppure nudo e impreziosito da applicazioni-gioiello, che sprigionano bagliori, catturano lo sguardo, conquistano…”

Gianfranco Ferré

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“La semplicità è il valore più importante. L’obiettivo di una ricerca che per me significa rifiuto di ogni ovvietà, esplorazione convinta di percorsi inediti e coerenti, concessione entusiasta agli slanci, alle sperimentazioni…

 Proprio per accendere di slancio la mia nuova collezione e per sottolinearne l’identità, ho scelto di percorrerla per intero con un unico elemento di decoro che rimanda all’esperienza estetica di Vittorio Zecchin, straordinario italiano che ha assorbito in forme assolutamente personali la lezione della Secessione. I suoi moduli grafico-pittorici hanno la carica attualissima della serialità, della reiterazione quasi ossessiva, accentuata da scelte cromatiche decise,  travolgenti…

 Ho voluto rileggere questi moduli in dimensioni e proporzioni differenti. Li ho resi con mezzi diversi per animare forme e materie, giocando tra geometrie elementari – quella del cerchio e del rettangolo in particolare – e costruzioni accurate. Realizzate in tessuti puri  o con interpretazioni tecniche, assolutamente identici tra loro per nobiltà ed appeal…

 Così, il medesimo “segno” accende di coloratissime stampe all over le camicie-poncho in chiffon e gli abiti senza peso di georgette sintetica. E’ intarsiato sulla pelle, regalando un’eleganza grafica al blouson piccolo e impunturato. E’ traforato a laser per rendere speciali la gonna di pelle rovesciata e quella in chintz doppiato e corposo, che si rialza sul davanti per scoprire le gambe. E’ ricamato a filo o in jais, tono su tono oppure a contrasto, per impreziosire gli abiti a rettangolo, in doppia georgette stretch o in satin, drappeggiati con totale facilità sul corpo. E’ riprodotto nelle bordure dei miniabiti asimmetrici. E’ persino virato in madreperla per decorare gli accessori…

 Mi sono lasciato vincere dall’intensità del colore, soprattutto del rosso, in tutte le sue modulazioni: fiamma, ruggine, mattone, bruciato, aranciato. Ho illuminato il nero in opposizione con l’avorio. Ho dato al kaki, al blu e al bordeaux la lucentezza di un materiale splendente come il raso. Persino il grigio, quello del tailleur “educato” in georgette stretch e denim oppure in diagonale di seta cangiante, ha una luminosità perlata, aerea. Ridefinendo l’equilibrio tra maschile e femminile, anche con abbinamenti e declinazioni inedite: il pull a uomo contraddice la gonna in gazaar, la camicia in Oxford alleggerito, bianco o celeste, perde i bottoni e conserva soltanto le asole in una sorta di profilatura discreta e graziosa…

 Per la sera, l’immediatezza di certe geometrie acquista un’enfasi speciale e fantastica. Rivela una festosità lieve, esuberante, vagamente messicana, caleidoscopica. Nelle gonne il cerchio si allunga a terra in accenni di strascico,  accresce i volumi, crea una ricchezza ondeggiante. Nei corpetti, il cerchio invece si rovescia,  si apre a ruota, a ventaglio, a corolla, svetta verso  l’alto. Sulla gonna nera traforata, la blusa in organza è minuta e corta in vita, ma si frastaglia attorno alle spalle in un gioco di intagli spumeggianti che sembrano prodotti da una forbice abilissima in un’impalpabile carta velina. Dentro questi abiti il corpo prende le movenze seducenti di una nuova Dolores Del Rio, appassionata e sofisticata insieme…

 Altera e gioiosa, questa donna svetta sui sandali dalla zeppa alta e massiccia, che ricordano quelli degli artigiani “zapateros” di Leon, con la mascherina frontale in cuoio lavorato e i lacci che cingono la caviglia. Neri o marroni, sempre gli stessi. Si gingilla con sportine che hanno il manico d’argento o di bambù, decorate da applicazioni di madreperla sul vitello nero. Sceglie costumi da bagno lavorati a crochet, con i fermagli laterali a placca fatti in osso, e li copre con rettangoli di stoffa ricamata che scivolano naturalmente sulle spalle. Porta gli occhiali con le lenti grandi e la montatura fasciante, che celano lo sguardo. E abbassa sulla fronte il cappello, un panama nero o rosso a tesa ampia. Perché si diverte a giocare tra mistero e ironia…”

Gianfranco Ferré

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Da “L’impero dei segni” di R. Barthes:

“Laggiù”:

“Quando immagino un popolo fittizio, posso attribuirgli un nome inventato, trattarlo dichiaramente come un oggetto romanzesco… in modo da non compromettere alcun paese reale nella mia fantasia… Posso anche, senza pretendere assolutamente di rappresentare o analizzare la minima realtà, prelevare in qualche parte del mondo (laggiù) un certo numero di tratti (termini grafici o linguistici) e con questi tratti formare deliberatamente un sistema”.

Mi sono chiesto, disegnando questa collezione, di quali tratti mi ero impadronito mentre proseguivo, quasi inconsapevolmente, nel viaggio iniziato verso le culture orientali… Perché si tratta di un percorso istintivo, che comincia riconoscendo necessità e stimoli diversi: l’energia, quindi il rosso. La purezza, quindi il bianco. L’equilibrio, quindi il rosso e il blu. Il silenzio, quindi il passo felpato e le scarpe piatte di tessuto trapunto, con la suola elastica o di bufalo a tre strati. Tutto ciò che è puro in sé: come il corpo, esibito nella sua forza e nella sua nudità… Per esaltarlo, sono ricorso a tecnologie nuove, mettendo a punto un jersey doppio di lino, viscosa e lana; utilizzando la pelle per le sue capacità elastiche di contenimento naturale; impiegando un jersey doppio di cotone per realizzare semplici vestiti a t-shirt, morbidamente strizati in vita da un fascia dello stesso tessuto… Ho proceduto per associazioni, senza rispettare un percorso logico…”

Gianfranco Ferré

Rimandi e incroci. L’abito t-shirt di pelle, sbracciato e a schiena nuda, e la giacca nera di vaga reminiscenza judoka, stretta in vita dalla cintura blu.

Il blazer maschile con la camicia di piquet bianca e il costume da bagno scomponibile, da cui si sfila la parte superiore, chiusa dalla zip rigida, per rimanere in slip di lycra.

Il “tubo” declinato secondo materiali e strutture e l’olimpionico con il telo ad anello di lycra, appoggiato sulle spalle come un asciugamano.

La classica gamma dei beige (pullover con spalle all’americana, pantaloni in una consistente trama stuoia, giacca judoka di shantung impermeabile) e il pekari naturale della giacca-camicia aderentissima, sul pantalone di confortevole jersey nero.

I bustier scollatissimi di cotone bianco e blu, che lasciano la figura libera e pimpante, e il tailleur alla Mao e la sopra giacca-chimono a fantasie di avorio e porcellana. Foderata di seta e pois.

L’abito rosso, ridotto ai minimi termini, con due bretelle larghe sulla schiena e il tailleur prezioso come un’antica scatola di lacca rossa e blu, a doppia stampa, sul bustier di satin nero. L’insieme formato da blusa bianca, pantaloni rossi e giacca di pelle marrone. Il capo che segna l’estate ’86: maniche larghe e diritte, un taglio che sembra “sfuggire” sulla schiena, per infondere senso plastico alla materia e dare una dimensione spontanea al movimento.

Le gonne da samurai sensuale, in lino e seta denim, e il vestito statuario a fascie incrociate rosse.

Per la sera, una parata di pezzi unici, che hanno la cadenza e il respiro della favolistica orientale: la giacca da uomo rossa sulla gonna a pieghe nelle stampe dei paraventi cinesi. Il tailleur Mao a disegni giganteschi e policromi. La semplicità di pantaloni e pullover blu con lo scollo a barca, contraddetta dalla cintura bustino a fiori opulenti. La giacca judoka in ottoman di seta lucida blu sui pantaloni di satin nero. Il vestito a polo, corto e diritto, completamente ricamato. La sottoveste, di un blu fondo e opaco, con lo scollo di esagerata lunghezza sul dorso, trattenuta e drappeggiata da una “fascia a tubo”, che si infila sulle braccia e costringe la caduta dell’abito. La camicia da uomo e la gonna pieghettata di chiffon, in un solo pezzo tromp l’oeil. L’abito rompicapo a una sola manica, che sta in un pugno. Per una collezione carry and wear.

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“Un sentimento insolito, un equilibrio nuovo, di delicata solidità, tra descrizione e determinazione, libertà e dolcezza. Così, lasciando correre immaginazione e volontà lungo la via della tenerezza, ho declinato questo intento secondo il modo di porgersi, il modo di essere e di muoversi. Soprattutto, ho segnato la silhouette, che appare sempre minuta e femminile anche quando definisce i pezzi più sportivi, romantica, ma sempre in modo naturale, anche quando si trasforma in abiti da sera. Ne deriva un nitore di linee e di forme che non potrebbe esistere senza una magica gamma di interventi e di alchimie sulla materia, di assonanze inedite. Realizzato in morbida alpaca “strappata” e foderato di nappa – oppure di breitschwanz rosso lacca alleggerito dalla concia al naturale – il trench cade fluido come una seconda pelle. Il cappotto che si strizza al corpo grazie alla cintura di cuoio è in duttile cachemire. Mentre il breitschwanz reinventa la “giacca a vento” con le spalle appuntite e la vita piccolissima, l’agnello riccio color grigio e il visone fulvo si accoppiano nel trench che ha l’aplomb facile di un accappatoio. Il mohair risplende con la lucentezza di una pelliccia, ma rivela un’anima ultralight anche quando è doppiato di seta. A sorpresa, tessuti maschili e femminili si mescolano gli uni agli altri secondo carature e fantasie differenti: grisaglia e pois, Principe di Galles e point d’esprit…

Con lo stesso proposito di misura e di concretezza, ho ritenuto importante riverificare l’equilibrio delle forme rispetto al corpo, nel segno di una purezza singolare e geometrica che contraddistingue volumi, proporzioni, costruzioni e che richiama alla mente la lezione sublime di Balenciaga che sosteneva che per portare i suoi modelli “una donna non ha bisogno di essere perfetta, anzi neppure bella: sarà il vestito a renderla tale”. Fermato in vita, il trench corto acquista verso il basso un’ampiezza “new look”; la gonna “Cinderella” in reps nero – portata sotto il giubbino neo-motard in pelliccia e velluto, o sotto il blazer sciolto intarsiato di pelo – assume una forma a botte ottenuta unicamente da nervature orizzontali profilate da festoni quasi invisibili; il paltò accresce le sue dimensioni per ricalibrare l’assoluta elementarità dell’abito scivolato come una calza-body; il piccolo trapezio senza cuciture si appoggia sulla T-shirt-calzamaglia in jersey di seta completa di guanti incorporati; anche l’abito in gros è privo di qualsiasi giuntura, ma si adatta impeccabile alla figura perché è interessante e minuziosamente pieghettato…

Attento, come sempre, più alla sostanza che all’apparenza del lusso, ho voluto dare spazio al suo volume autentico, esaltandone le espressioni meglio rispondenti alla realtà. Un’operazione che mi ha portato, quasi spontaneamente, a rivalutare le straordinarie risorse di perizia e di pazienza di un certo artigianato, grande e unico. Necessario per dar vita ad una qualità vera, interiore, che sia lontana dall’ostentazione. Così, un meticoloso lavoro ai ferri costruisce abiti fatti di mille listerelle di tessuto intrecciate; il crêpe pesante del tailleur è perforato e trapunto da nastri in raso; il taffetà tricottato è finito dal passanastro e da fettucce di velluto; il velluto a coste – autentico, oppure imitato da accostamenti di visone e cuoio – dà sostanza ai piccoli paltò ed alle giacche a baschina strutturate da giunture minuziose; i giacchini imbottiti e corti sono percorsi da cuciture a zig-zag che sembrano frutto di uno strano divertissement; miriadi di cristalli sono applicati a mosaico qua e là, con effetti “bajadère”, su tuniche e pantaloni assolutamente unici…

Per ammorbidire la discrezione e l’austerità di certi capi, ho indugiato nel compiacimento per la bellezza e per la raffinata funzionalità degli accessori. Delle borse, innanzitutto: sempre di dimensioni misurate, in materiali ricercati – cinghialino, lucertola, tejus – e in colori accattivanti. Definite da lavorazioni a mano che giungono dalla più colta e nobile tradizione dei maestri pellettieri milanesi. Delle calzature: stivali solidi e scarpe sport con la suola consistente, ma anche scarpe che lasciano nudo il piede coprendone soltanto la punta e cingendo la caviglia di lacci festonati che si stagliano sulla calza nera. Degli occhiali, nuovi e speciali: di impatto quasi maschile in titanio iperleggero con montatura e lenti ramate; di rigore geometrico, in acetato pluristrato con contrasti di bianco e neri nei profili; ultrapreziosi, in oro vero, bianco e giallo; a conformazione anatomica, con visiera a mascherina e barre montate in basso…

In questo orizzonte di voluta pacatezza mi è sembrato quasi necessario fare esplodere una sarabanda di colori intensi e appassionati. Quelli degli anemoni, dei ciclamini, degli amarilli. E quelli ancora più fondi, quasi oscuri – tra blu e porpora – dell’agapanto, della genziana, delle prime viole che sbocciano quando ancora c’è la neve. Lasciando risplendere la sera di riflessi candidi e incantati, quelli della luna d’inverno…

E quasi da subito ho immaginato che questa collezione si muovesse su un tappeto di note rarefatte, sospese, evocative. Interrotte però da tocchi più ritmati, profondi, sensuali”…

Gianfranco Ferré

dp2000ai

“Mi piace pensare a una donna che sia un po’ ragazza, talvolta infantilmente acerba nello scoprire finezze perdute. Una donna che porta in questo mondo antipodi e contrapposizioni, per arrivare a quell’ordine disordinatamente libero che oggi, per me, è la moderna eleganza. Fatta anche di osato e marcato perbenismo, di lindori e nitori, di severità. Con la volontà di rendere tutto personale…”

Gianfranco Ferré

Idee, parole, immagini in libertà…

Nuovo studio delle ampiezze che rimandano da un lato alla bellezza di certi canoni classici come redingote, loden, cappotto da postiglione, dall’altro a voluttuose morbidezze di tipo romantico. Un’allure che nasce spesso dal design elementare di semplici pezzi: quadri tagliati o bucati in modo da creare insoliti volumi, panno blu tagliato al vivo, enfatiche gonne rettangolari che creano code asimmetriche sul fianco. Svelta asciuttezza della linea sottolineata dal chesterfield di vicuña blu sopra il jeans di duchesse in tono, sfarzose robe de chambre da dandy sui pantaloni a uomo di flanella griglia con la più Ferré delle camicie bianche. Gonne lunghe di pelle con la camicia da pittore in nappa nera per una serata high style, ma anche pullover a fettuccia di zibellino per esaltare l’importanza del momento, anche se la consistenza del tempo è superata e non ci si chiede più quando e come indossare un vestito. Languore di abiti a foggia di tight, scollati e decorati con scampoli di volpe. Miriadi di ruches di taffetà, a cascata, gonfiano la più improbabile delle crinoline, vagamente stropicciata. Non-colori, come blu, grigio, nero, cammello accentuano il tono prezioso delle linee, alternati a esplosioni di colori che appartengono all’opulenza della materia. E la figura è sempre puntuta, aguzza, senza mollezze, nel rispetto della qualità assoluta dei tessuti. Invenzione e trasformazione mutano la teletta per interni – mescolata al raso, cucita perfettamente e doppiata in velluto nero – in un raro cappotto. Scarpe a uomo di broccato o velluto, stivali di cuoio, ghette di cuoio da aggiungere alle décolletté rappresentano quasi una canonizzazione di rituali. Il più leggero dei taffetà, con righe di mohair, sottolinea la struttura delle camicie, cappotti di ispirazione militar-ungarica custodiscono vestiti così femminili da sembrare una colata di georgette pastello. Splendore ombroso del velluto dévoré – tagliato, ricamato, stampato – e del velluto liscio doppiato con nappa ultraleggera. Fodere lussuose, con pezzi di zibellino…

“… la nuova eleganza, per me, è un ordine-disordine romantico… colletti che svettano, morbidezze che scivolano…”

Gianfranco Ferré

dp1999ai

“Il futuro non contraddice la ragione umana delle cose, la tecnica si adatta alla sensualità e riflette il glamour, che alla moda dà una vitalità vibrante… Fantasia e principio spartano della sostanza descrivono un equilibrio di opposti: funzione e poesia, solidità e levità, semplificazione e enfasi, purezza e artificio, necessità e gioco. Superato il luogo comune, vinta l’ossessione tecnologica, con un gusto spontaneo si accentuano immagini selvagge, con alchimie soffuse ma radicali si confondono animali veri con animali inventati, simboli con visoni. Si mescolano ombre con impressioni, che appaiono e subito scompaiono, quasi fossero lampi, quasi fosse il guizzo di una chioma fulva che si staglia contro il cielo boreale. C’è un senso elementare di forza, un’energia concentrata ed elegante, da felino. Come se una belva, improvvisamente mansueta, fosse tenuta al guinzaglio con una cintura….”

Gianfranco Ferré

Tra emozione e logica, si dipana un alfabeto di assonanze, di contrasti, di sorprese. Insoliti bustier, in cashmere doppiato di pelle con un vago alone di feticismo, si accoppiano a gonne a portafoglio o pantaloni da jogging, che balenano appena dal cappotto lungo fino a terra. La materia mostra tutta la sua duttilità: le fodere possono trasformarsi in esterni, il senso già forte di scioltezza è accentuato dalla sapienza dei tagli. Elementare, aderente come una seconda pelle, la giacca si apre in due grazie ad una lampo, lasciando sprofondare le mani nelle tasche. Fantastiche mutazioni nascono dal jearsy talvolta rugoso ma leggerissimo e incrostato di breitschwanz, dal cavallino dipinto a mano, dal magico rincorrersi di fili di lana sull’organza. Così, una tecnologia sensuale unisce il guanto direttamente alla camicia di bouclé stretch o al trapunto da coperta quasi polare. Illusioni ottiche, ma con soluzioni realissime, sembravano privare la scarpa del tacco, senza farla piombare raso terra. Perché una linguetta che esce dalla suola dà stabilità al plantare di fibra elastica, mentre le scarpe paiono confondersi con il vestito e diventano calze in helanca tripla rinforzate in pelle. Muffole di lince esplodono sul cappotto e sull’abito di tweed fatto a mano, lievemente maculato, da donna-pernice. Il nylon a spruzzi picchietta la volpe soffice creando indefinibili frange. Ossessivo e trasognato come un incantesimo dei nostri tempi, il naturale si muta in artificiale: il dégradé di ciniglia e cotone ha l’ipnotico movimento di un serpente. Scaglie di jais e canutiglia fremono – nero su nero, lucido su opaco – come un riccio o un istrice nella notte. Sempre più raffinato, il piumino, leggerissimo e caldo, sceglie un tessuto imprevedibile: lo chiffon. In questo magico racconto d’inverno, i kilt da sera, intinti nella pece che alterna chiazze oscure e sprazzi di tartan, hanno ampiezze esagerate, calibrate dall’asciuttezza di bustini in cuoio tagliato al vivo. Anche la camicia si gonfia imprevedibilmente a nuvola, grazie alle stecche di balena in nylon. La tecnica cambia l’aspetto del jeans, con toppe da motociclista in nylon termosaldato o in velluto di seta con inserti di breitschwanz o di flanella, che paiono colorare lungo il pantalone. La felice equazione di diversi modi di essere si esprime nel paltò a uomo blu, di cashmere foderato di pelliccia. Accento di stagione, il visone compare nero e lucente, oppure segnaletico, tinto in viola e turchese, mentre la volpe per foderare il colletto è nera e bordeaux. L’atmosfera è trasognata e forte, intensa e pura, come nei quadri di John Wilhelm Waterhaus (The Magic Circle, in particolare). Combattendo contro freddi che si immaginano polari, la manica, grazie ad una zip, diventa tutt’uno con i guanti, la sciarpa di tessuto termico è attaccata al vestito. Avvolgente e sontuosa come una stola.

dp1986ai

“Naturalezza portata fino al rigore, senso libero e liberato del glamour: per disegnare la collezione mi sono mosso tra questi due estremi, l’uno conseguenza logica dell’altro….Ho liberato i gesti – aprendo la camicia, eliminando i bottoni, stringendo la vita con un nastro – e ho dato forma a un’immagine molto intensa, che affida la propria femminilità agli atteggiamenti, al movimento. Che calamita l’attenzione sulla cintura. Ma senza nostalgia, senza operazioni rétro. Perché mi interessa costruire una nuova tradizione, guardando gli elementi canonici del guardaroba con una logica diversa. Si può intervenire sui dettagli del trench, annodarlo con un nastro di moiré, colorare una silhouette futuribile insistendo, dal guanto al vestito, su una sola sfumatura. Mi attira la compattezza e la neutralità di una figura continua, che non si interrompe …”

Gianfranco Ferré

Nitore e cromatismo. “L’idea di una sessualità felice, dolce, sensuale, piena di giubilo, si legge nella pittura, o meglio nel colore” Roland Barthes. Una certa tendenza concettuale, il gusto di minimizzare per arrivare a un massimo di seduttività. La nuova snellezza del breve e aderente, con giacche in miracoloso equilibrio tra vita sottile, spalle importanti e fianco arrotondato. La sinuosità del morbido e segnato: nelle giacche di jersey “ammaccato” strizzate dalla cintura. Nel tricot a punti evidenti (trecce, coste, effetto spugna) stretto in vita perché si gonfi. Nel paltò a trench, legato da un nastro di raso.

Contrapposizioni, esasperazioni e vivo senso della materia. Cashmere nei toni, del cashmere, i mordoré e i gold del mohair di alpaca a pelo lungo e delle nappa da guanti. Sfumature naturali, ma perfettamente urbane (“La città è una realtà che ci appartiene”, dice Gianfranco Ferré). Una paletta festosa (e fastosa) di coralli e di rosso, con la brillantezza dei tessuti nobili: mohair, seta selvaggia cangiante, organza. Monocolore interpretato: a ogni materiale la sua sfumatura (pur esempio, guanti di cashmere con rovescio di pelle e cappotto di cashmere). Un filo bianco per uniformare o spezzare: la camicia nello stesso tessuto della giacca e della sciarpa. La t-shirt sotto i caban di jersey, il cardigan da sera di organza sulla gonna corta di lamé. La giacca di cadì, legata da un nastro di moiré beige.

Trasposizioni e interpretazioni. Il cardigan diventa un paltò di mohair; la tuta, nella sua variante femminile, si trasforma in un abito nero e diritto, con la cerniera nascosta e il collo alto. La camicia cresce fino ad assumere le dimensioni di un cappotto. I colletti dei pullover si allungano/allargano a dismisura. Le stampe iperrealiste che decorano t-shirt e camicette raggiungono dimensioni giganti, che giustificano tagli e ritagli. Moiré, faille, lamé preziosi (realizzati con fili “cascanti ” o spirolati, una tecnica del 1920) per “The Lady of Quality”, come Velasquez intitolò un suo famoso ritratto. Fresche camicie di organza sui pantaloni, polo lucide, pantaloni di moiré e blouson ampio buttato sulle spalle. Gonna e blusa serrata in vita, senza colletto e doppiata. Per raggiungere quella semplicità sofisticata che diceva Oscar Wilde, “non è che una posa”.

da1981ai

Collezione Prêt-à-porter

Pensando che nella moda “la fantasia non è più quella di un tempo” (che cosa c’è di inedito? di non dejà vu? di rivoluzionario?) e che l’inverno va visto come un fatto piùcompiuto, meno tra-là-là, comunque da vivere “vestite”, Gianfranco Ferré ha scelto come obiettivi della sua nuova collezione la linearità, la pulizia, la costruzione, il gioco dei volumi, rifiutando tutto ciò che ha l’aria casuale e abbandonata, ricercando un’immagine che faccia a meno dell’ “accessorio surplus”.

E allora, ecco la scelta dei tessuti e dei materiali senza equivoci e mollezze: corposi panni doppi da sartoria rifiniti di gros, harris tweed o tweed pepe e sale, pesanti jersey ad effetto “melton”, cotone gommato per gli impermeabili, nappa imbottita e “borego” per i blousons, doppi crêpe a effetto interlock per la sera, rustici loden accostati alla pelle.

E poi, ecco la predilezione per i colori “metropolitani”: grigi velati e nebbiosi, grigi scuri e fumosi, una gamma di blu che ricordano l’Oriente (China, indaco, copiativo), tanti colpi di rosso deciso e sicuro, e naturalmente, il nero.

E dunque, ecco la scelta delle linee nette, senza mezzi termini: le giacche lunghe con le allacciature nascoste e i colli a listone in forma impunturati, i caban senza collo con effetto di doppia manica, la serie di “vareuses” sportivissime, gli spolverini impermeabili, i mantelli a vestaglia lunghi al polpaccio, contrapposti a cappotti lineari in morbido velours che si arrestano sopra al ginocchio, le sottane decisamente lunghe diritte e spaccate, che talora nascondono effetti di doppio che rispondono a criteri funzionali i pantaloni senza pinces in vita che acquistano rotondità al ginocchio, i “vestiti-coulotte”.

E ancora, ecco la decisione di “legare tutto” con fili conduttori come le impunture, certi tagli e accorgimenti presi a prestito dalla “civiltà del chimono”: motivo ricorrente è l”’obi”, di maglia e pelle sui capi da giorno, di paillettes su quelli da sera, dove enfatizzato, diventa talvolta corpino indossato su particolari pantaloni dal taglio triangolare, di faille, di grisaille di seta o velluto.

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” Ho cercato la decorazione… Non un’aggiunta gratuita, inutile, un barocchismo di maniera, ma il segnale di un’evoluzione dove ci fosse spazio per volumi e una fisicità nuovi.

Un atteggiamento diverso, insomma, che non si limitasse a cercare il funzionale, il pratico, l’utile, ma affrontasse questa idea proibita, questa zona in ombra della decorazione. Che ho interpretato esasperando certi schemi elementari e certi volumi: ho ingigantito il giubbotto con la coulisse e la giacca a sahariana, semplificato il pullover rendendolo una sciarpa avvolta intorno al busto e alle braccia, unito linee e aspetti opposti che però potessero convivere insieme, come insegnano certe culture orientali che mescolano l’essenzialità al gusto molteplice delle forme. Anche il colore risponde a questo concetto decorativo: il grigio – per me il nuovo neutro – si declina in sfumature più dense, con un senso plastico importante, e fa da sfondo a una gamma di toni puri. Il rosso, il turchese, il viola, il giallo… I colori della segnaletica urbana, della città industriale e paradossalmente, i più nobili, quelli di grande tradizione… I colori dei mandarini e degli imperatori giapponesi…. Perché ho voluto dimostrare, superando alcuni concetti estetici, che la forma è la sostanza e che uno stile può evolversi senza modificare”.

Gianfranco Ferré

Lessenziale. La silhouette disegnata dall’uniforme: il tailleur alla Mao di flanella grigia, aderente e sottile.

Il volume morbido. L’interno di mongolia nera e soffice per il cappotto di marocain dritto, chiuso perfettamente da un bordo orizzontale.

L’interno di mongolia nera e soffice per il cappotto di marocain dritto, chiuso perfettamente da un bordo orizzontale.

La neutralità. I pantaloni di bufalo a vita alta e non segnata (come le gonne) ma aderenti al corpo, e la sovra dimensione del giubbotto di melton.

I concetti contrapposti. Sull’uniforme grigia, i cappotti gonfi a colori puliti e vibranti, da lacca orientale.

Il nuovo vestito. Linea a scatola, svelta e scattante, con effetto giacca sul dorso, doppiato e chiuso dall’allacciatura.

Il taglio che dà ampiezza. Il giubbotto di alce strutturato attraverso nervature, e il dettaglio ’86: la sciarpa a volute astratte, sorretta da un gioco di nervature.

Il colore maturo. Rosso fino in fondo per il cappotto di panno pressato sfoderato e leggero, con tagli tondi che danno ricchezza allo slancio della schiena. O turchese fino in fondo per il cappotto di velour sull’abito-camicia da cui balena uno spicchio di gonna nera. O multicolore fino in fondo per i pullover a fasce contrastanti, lunghi e ampi.

Il pullover strutturato. Senso del volume, effetti di morbidezza e volute naturali, quasi delle spirali.

La sahariana gigante. Colori imprevisti e cashmere morbido raccolto dalla coulisse in fondo.

La forma sottolineata. La tuta in maglia di jersey a punto stoffa aderente al corpo per una soluzione inconsueta di tagli.

La plasticità. Lucidissimo su opaco: con il cappotto di montone laccato e la camicia confortevole in crêpe doppio dalla “mano” e dalla caduta pastosa. Gonfio su morbido: il taffetà impermeabile foderato di lupo, con un’ampiezza costruita attraverso pieghe e coulisse.

L’illusione. Camicetta di velluto stampato a breitschwanz sui pantaloni larghi di lana multicolore.

Il comfort. Per sere private e abbandoni segreti, la gonna lunga a ruota di flanella grigia con il cardigan a tutta lunghezza. E le camicie in seta stampata, che si incrociano strettissime a sciarpa.

Sera, variazioni sullo stile. Dal tailleur elementare, con la giacca ricamata a spirali di perline e la sciarpa di gazar nero, all’abito-bustier con la voluta di duchesse, dal pullover nero colletto e polsi ricamati come nuovi gioielli – sui pantaloni di flanella grigia alla camicetta di organza trasparente con spirali di passamaneria, dalla camicia di duchesse rigata che sembra “strappata” sulla schiena ai tubi di marocain nero, punteggiati dalla sciarpa a volute rigide. Dodici modi “di essere Ferré”.

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L’ispirazione: figure sciolte e femminili, toni profondi rotti da colori primari e contrapposti al bianco totale, una lunga, calda stagione, il vento d’estate, il mare, le notti stellate…

La collezione: tailleurs con pantaloni in suède o tessuti maschili a trama chiusa; cabans di panno impermeabile, toile de bache o cachemire tricotato; spolverini di impalpabile suède da guanto; abiti a bain de soleil in daino lavabile; vestaglie e cardigans in lino a righe vanisée nei più classici toni dell’abbigliamento marino; cardigans a camicia da drappeggiare su pantaloni cangianti dalle tinte vivacissime; semplici gonne a portafoglio da portare su costumi-body con effetti di naturale drappeggio; sottovesti in crêpe de chine indossate con cabans in maglia inglese; leggerissimi e femminilissimi slip-over da portare a pelle nuda con pantaloni in crêpe de chine.

Le linee: la figura è lineare, allungata; le spalle sono importanti e costruite; le maniche, di diversa dimensione in base alla funzione del capo, sempre molto morbide; i colli sono minimi, spesso inesistenti; sciolto e assai duttile il punto-vita. Diverse le soluzioni che favoriscono precisi effetti di morbidezza, sempre portata sul davanti: pince esterne con impunture triangolari che formano pieghe morenti, tagli in vita più alti dietro e sottolineati sul davanti da arricciature o pinces, tecniche di lavorazione del tricot che permettono di aumentare o gonfiare i volumi, soluzioni di rimborsi centrali favoriti dalla morbidezza in suède e dal daino.

I colori: ai classici nero e marin si affiancano i colori primari – rosso, giallo, verde, cobalto-che si offuscano con effetti di cangiante, ravvivati o interrotti dal bianco più totale, che ha largo spazio per la sua luminosità e il suo sapore di freschezza. Anche nel tricot, piacevoli effetti cangiante, che con il fil-à-fil rinnova anche le più classiche righe. Ultima nota di colore, il pois che ha la massima trasparenza perché stampato su organza.

Gli accessori: cinture bicolori – tono neutro/tono vivace – o in vernice nera; buste–porta tutto infilate in cintura; borse di forma geometrica in tela–olona a righe sdraio. Foulards (realizzati da I PARALLELI) con effetti di stampa di pois sovrapposta a bande in filo leggero popeline di seta e parei di voile a righe tipo sdraio. Calzature di GUIDO PASQUALI: mocassino a tacco basso con effetti di tagli; mocassino stringato tipo yachting in tela–barca e spugna; sandalo a sottili listini in nappa bianca a tacco alto sottile. Calze a coste in lana leggera di SANTAGOSTINO.

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“Se penso all’Africa, vedo un album di fotografie scattate in bianco e nero e poi scannerizzate… Profili e forme, sensuali perché elementari, provocanti perché nude, voluminose ed opulente ma composte di finti stracci che ho tradotto in nobilissimi materiali: gazaar di seta, shantung cangiante, doppio taffetà, quadrupla organza… perché tutto sia leggero ma al tempo stesso elaborato, come se si piegassero fogli di carta o lembi di juta. I disegni hanno la forza di tatuaggi che sottolineano la figura, sono segnali di seduzione che si mischiano al body painting. I gioielli diventano vestiti, i vestiti sono gioielli che guarniscono il corpo, giungendo alle radici della linea e della decorazione. Con una magia che vibra di inusitate riflessioni…”

Gianfranco Ferré

Dimenticare le fogge consuete, i soliti gesti, le abitudini…

In modo sontuoso e primitivo, purissimo ed eccentrico, le gonne di shantung sembrano coni alla liquirizia su cui arricciature strategiche creano una serie di balze. I vestiti con un breve strascico hanno la semplice regalità e le voluttuose increspature dei “bubuje” senegalesi. Pezzi di ricami a gros-grain, corposi e uniti tutti insieme, si trasformano in abiti sorprendenti. Sete come cartocci a spirale diventano gonne e camicie. Mixage eccentrici di stili, tocchi sublimi di eleganza tribale: lo spolverino di juta e seta con le scarpe di pitone intrecciato dal tacco dipinto a mano, la giacca couture in pied-de-poule di seta sulla gonna a rete sfrangiata e ricoperta di coralli, il tailleur impeccabile con le maniche balloon. Lo stesso capo si può indossare in due modi diversi: la giacca, aperta la lampo sui fianchi, si porta sulle spalle come una sciarpa, oppure, chiusa, è un tailleur perfetto in gabardine di cotone…

Cascate di collane di corallo coprono il seno e scendono sino a formare un microvestito, oppure si intrecciano con stringhe di cuoio. Pietre e coralli disegnano gioielli incorporati ai vestiti con i ricami-filigrana sulle tulle nero. Ancora coralli, ma a frammenti, e perline nere reinventano il tweed per una maglietta trompe-l’oeil – seconda pelle. La paglia lavorata si colora di rosso, l’organza di cotone tagliata al vivo e la pelle di pitone sfrangiata inventano nuvole fitte ma impalpabili di piume che sembrano di marabù…

L’oro si mescola al rosso per dare più nobiltà al colore. Ritornano, insistenti, il bianco – calce, gesso, guscio d’uovo – e il nero che, ancora con il bianco, traccia prints corporali, disegni scaramantici, etno-tattoos. Splende il madras di seta del Madagascar, burgundy, blu notte, oro antico…

Il piede nudo ed elastico si regge sul tacco iperbolico o sprofonda nella scarpa-cuscinetto in raso. Le calze optical sembrano segni guerrieri…

Dinamismo, energia…

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“Il senso del Duemila che vibra in questa collezione non è rivoluzione: è, al contrario, uno spirito che consente di pensare al vestire femminile – e al corpo – con molto sentimento e altrettanto raziocinio, con forme e gesti che appartengono a una cultura acquisita, nobile, ma volutamente semplificata. Il senso “couture” che era un tempo dell’Alta Moda, con i suoi segni essenziali e importanti – un certo Balenciaga, per esempio – appare anacronistico, per quelle costruzioni pesanti e forse troppo corrette, perbene. Mantenere invece gli stessi valori, liberati e vivificati da tecniche e logiche attuali, a parere mio può dare alla figura grazia, allure, bellezza, sensualità. Può permettere una rivoluzione più autentica e sentita. Quella di un nuovo glamour…”

Gianfranco Ferré

Architetture soffici. A una leggerezza quasi incorporea del tessuto corrisponde una struttura precisissima dell’abito. Come nella camicia-redingote in faille di seta lavato, con tagli che liberano da ogni costrizione: le maniche aderentissime sono tagliate da un piccolo spacco laterale che permette ogni movimento; la spalla a chimono ha un tassello che enfatizza la forma: l’allacciatura è senza bottoni e tutto è tenuto fermo dai cinturini esili come liane che si avvolgono due, tre volte intorno alla figura.

Strutture versatili. La giacca, trattenuta da uno spillone, diventa marsina, gilet, camicia sfoderata con un malizioso godet sul dietro. La gonna diritta si accosta ancora di più verso il fondo, i pantaloni diventano naturalmente sottili. La blusa si trasforma in un semplice sottocollo, o nei polsini amovibili portati anche sul braccio nudo. Di popeline di seta superleggera, ha il colletto – più lungo o più piccolo – che si muove in libertà, fermato appena da un bottone.

Volumi aerei. Organza e tulle chiusi con lacci costruiscono abiti a clessidra trasparenti come paralumi, oppure si gonfiano in gonne quasi a mongolfiera, sostenute da lievi strutture.

Nature civilizzate Colori profondi e forti, dal marrone al verde scuro, al nero. Colori caldi delle paglie, così leggere che formano cestelli per avvolgere il corpo. Pastelli preziosi che fondono sabbia e pietre: giada, quarzo rosa, pallida acquamarina nei broccati lucenti di seta e nylon.

…e selvagge. Struzzo tagliato al vivo che lascia intravvedere fodere di organza. Pitone che dà ai tessuti un aspetto più croccante.

Giardini reali. I fiori stampati sull’organza. I fili di paglia, l’erba cattiva per il bustier, l’erba tosata per il cardigan. Le foglie (di pelle) per il coprispalle, le ampie gonne a godet fatte di crine e di stecche, il cardigan senza maniche di paillettes e coralli rosa. Scarpe a ciuffi di organza che sembrano annodati sul piede, broccato sfilacciato. Tacco svettante come un chiodo e una parte della tomaia in velluto lavorato. Zeppe di metallo sostenute soltanto da un cinturino preciso alla caviglia. Sandali a fasci di lacci sottili, di taffetà, elastico, color carne. Più sensuali del nudo.

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“Un viaggio mentale, un intrecciarsi lieve di impressioni e riferimenti, una geografia eccentrica, punto di incontro di confini… Alla ricerca di un’atmosfera, di un ambiente che esprimesse realmente la femminilità di oggi – somma di grazia ed insieme di aggressività, liberamente soft e consapevolmente hard – ho lasciato correre la fantasia, scoprendo orizzonti differenti e avvicinando mondi tra loro lontani. Con attenzione e curiosità speciali ho visitato le realtà avvezze alla contaminazione tra culture: New Orleans, ma anche le città della West Coast, da San Francisco a Portland, abituate da sempre ad assimilare ciò che giunge dalla sponda opposta del Pacifico, dal Giappone, da Macao, da Shanghai…

Il risultato di questo stravagante percorso è una trasposizione libera e gioiosa di certi principi di severità e di rigore che fanno pensare proprio all’Oriente. Con una volontà di eleganza che mi ha spinto ad ammorbidire ed a rendere sinuosa la silhouette, scivolate e fluide le forme, privilegiando per questo i tessuti più duttili e sciolti, come la georgette ed il satin. Ma senza rinunciare alla perfezione della struttura, all’importanza dell’aplomb, che individua nella spalla il punto-chiave naturale e consente al capo di cadere con facilità. Anche per i colori ho giocato tra compostezza e slancio, opponendo combinazioni “cool” di bianco e nero a modulazioni vitali di terracotta, giallo, arancio, ai vari blend di marrone che definiscono le differenti qualità di pelle – dal camoscio, alla nappa, al marabù – dall’apparenza un po’ invecchiata, consumata, vissuta…

Tutta la collezione, se la osservo, mi appare scandita da un equilibrio inedito tra passione e una durezza che riporta alla mente la voce di Billie Holiday che canta: “l’m gonna lock my heart and throw away the key … ” Così, riducendo le dimensioni, ho dato femminilità al blouson leather, piuttosto rude in sé perché in pelle smerigliata e solcata da cuciture grossolane, addolcito dall’abbinamento con la gonna scesa sui fianchi e costruita con molli lembi quadrati di georgette che pendono irregolarmente e ondeggiano ad ogni passo. Un effetto simile si ottiene anche con il giubbino minimo appoggiato sopra l’abito con gli inserti di pizzo, a cui danno una decisa connotazione sportiva le zip e la coulisse a vista. Un abito che, io credo, starebbe benissimo ad una nuova Louise Brooks, ad una nuova Wally Simpson. Ma anche a Kristin Scott-Thomas o a Chloé Sevigny. E a quelle donne di oggi che non hanno alcun timore nel mostrare le note di mascolinità insite nel loro sex appeal…

Come in un gioco al computer, sovrapponendo per un istante in un’unica immagine, raffinata e sfuggente, la Marlene Dietrich di “Shanghai Express” e la Maggie Cheung di “In the mood for love”, ho cosparso di segni orientali, discreti e precisi, un po’ tutte le tipologie di un guardaroba assolutamente occidentale, urbano, attuale. La cintura-obi e la fusciacca alta, chiuse sul dietro da laccetti, coprono l’ombelico e segnano la vita, fermando la giacca in modo aggraziato. La camicia si trasforma in kimono – di taffetà doppio traforato a disegni quasi tribali – e si abbina al pantalone diritto color lacca o paprika, oppure alla gonna a piegoline fittissime composta di nastri. L’abito nero, che lascia la spalla nuda e si allunga fino a terra, mostra delicati fiori a stampa fotografica, spezzati e nascosti alla vista da strisce in georgette applicate in sbieco, come se occhieggiassero da persiane giapponesi in carta di riso…

Per la sera, mi è sembrato normale che la silhouette diventasse ancora più morbida, ancora più sensuale. Lievi ed aerei, veli di satin disegnano abiti, gonne, giacche, robe manteaux che fluttuano sulla figura, diventano astucci avorio foderati di corallo o di georgette nera. La linea volutamente essenziale consente di creare enfasi sulla schiena, con pannelli che fluiscono leggeri a terra, oppure sulle maniche, importanti ma senza alcun ingombro, perché aperte e costruite a sciarpa, per alzarsi e discendere senza pesantezza, come ali di farfalla. Asimmetrie, lucentezze, trasparenze, movimenti appena percettibili del tessuto scolpiscono corpi naturalmente sexy e femminili: quello di Julianne Moore, forse, o quello di Jade Jagger…

Anche per gli accessori, ho colorato di suggestioni la consueta logica di qualità e di novità. Le decolleté à la Betty Boop in pelli pregiate e lucenti hanno la punta arrotondata ed un accenno di zeppa: appaiono vezzose e minute per far sembrare più piccolo il piede e più slanciate le gambe impertinenti, nervose ed infinite di una Josephine Baker. All’opposto, i sandali possono avere la suola pesante – persino di legno – per dare solidità ed ancorare a terra una figura così svettante. Gli occhiali, tutti di forma importante, in nero o in avorio, possono celare o rivelare occhi indimenticabili. Ed io sarei felice di incontrare lo sguardo misterioso di Salma Hayek, quello dolcissimo di Rachel Weisz … “

Gianfranco Ferré

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“Tra gli incanti del mito e le vibrazioni del software, l’India racconta una magica storia da cui mi sono lasciato conquistare, proponendola attraverso parafrasi e citazioni rinnovate da intenti e interpretazioni techno. In questa esplorazione appassionata, ho narrato quanto di puro e forte, di energico e libero, di moderno e stimolante, si muove nell’anima antica di questo sorprendente Paese. Con l’attenzione rivolta, in particolare, allo straordinario, elegantissimo equilibrio tra semplicità e opulenza… “

Gianfranco Ferré

A partire dalle forme, che hanno il nitore e il candore della couture più nobile. Drappeggi, cadute naturali, perfezioni: tutto esalta, dà tono e prestanza a una silhouette elementare e facile. Definita dalle decorazioni eseguite a mano sul pantalone stretto e affusolato, da una gamma intera di trafori e rivettature pregiate, dalla pienezza della gonna plissé, che contrasta e rende importante anche il corpino fatto di nulla, dai pannelli che, nel pantalone, si sovrappongono l’un l’altro con fluttuante precisione…

Ieratici e sinuosi, casti ed ammiccanti insieme, come le immagini di certe divinità, i corpi si indovinano dietro i magici tattoo creati dal tulle stretch mescolato alla pelle o al metallo, dietro la techno-organza – aderentissima e più che trasparente – degli abiti solcati da coulisse, avvinti a spirale alle forme, virati sobriamente in nero, ma anche nelle effervescenti sfumature fluo del mandarino, del limone, dell’arancio. Una sensualità mai gridata, mai ostentata, capace di rinunciare alle scollature, permeata di grazia, si intuisce nei jeans di organza “sheer” lavorata a jacquard e intessuta di metallo, negli abiti guarniti da piombini (che in sartoria si utilizzano per dare peso e aplomb agli orli) che pendono ad effetto regalando spessore ai drappeggi che giocano intenzionalmente con l’anatomia…

…Più freddi e penetranti di quelli aurei, i bagliori dell’argento traducono un decor fatto di segni discretamente e infinitamente preziosi. Impunture metalliche rafforzano e ondulano gli orli delle camicie di percalle o di nappa ultraleggera. Teorie di minuscoli bottoni di alluminio accendono il twin-set indossato con il pantalone patchwork in tussah di seta. Oppure si incrostano sulla pelle, disegnano bordi sfarzosi, arabeschi e ginocchiere luccicanti, muovendo le superfici con una miriade di riflessi, come se fossero tanti minuscoli frammenti di specchio. A volte, dell’argento resta soltanto l’impressione, resa dalla plastica, abbagliante come un metallo prezioso e sposata alla seta. Dove c’è, l’oro è invecchiato e attutito, come nel jeans asciutto sotto la camicia-sari…

…La lezione della semplicità opulenta consente di sostituire i sontuosi gioielli indiani con placcature e pennellature d’oro e d’argento, applicate direttamente sulla pelle. Permette di estremizzare le fogge delle calzature – dal sandalo ultrapiatto color carne alle scarpe ostentatamente vistose – e di definire con immediatezza la logica del colore – rosso, blu, nero, bilanciati dal grigio metallico e dai fluo…

…Toni e suggestioni che appaiono ancora più incantati se si immaginano calati in una luce rosata, mite, sensuale…

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“Ripercorrendo le immagini dei miei vent’anni, ho riflettuto a lungo sulla natura, chiamiamola così, del prêt–à–porter, al quale appartiene tutto ciò che è qualità, eleganza, design in ogni sua espressione. Per questo ho voluto dedicare la collezione al concetto del “modernamente eccezionale” dove abiti diversi rispondono alle esigenze del bello e del prezioso. Guidato da quell’esperienza di progettista del vestito che mi ha aiutato a dare forme all’estro, a scolpire la materia in maniera insolita, a trovare nuove formule che si possono declinare e applicare secondo la volontà e il piacere di ognuno. Come interpretazioni inedite dell’aura della couture…

Se sento come vitale l’esigenza della struttura, provo una simile necessità anche per la fantasia e le emozioni, che si devono tradurre in slanci di iperfemminilità e di gioia. Gioia di piacere, gioia di conquistare. È un’alchimia che nasce dalla miscela di emozioni e di tecnica, usando con sottigliezza materiali e tele; creando sistemi di costruzioni a vista, trasparenti; sfruttando l’aria che spostiamo muovendoci, ideando coni che producono volumi anche inusitati, superando attraverso la geometria del design i limiti e il peso della materia… Ma in un’atmosfera naturale di sole che abbronza e leviga la pelle, di calore, di calma. Di magici colori come il fucsia, il rosa, il corallo. Di sostanze insolite che ricordano i pergolati e i cannicciati. Come la rafia, un graffio al femminile…”

Gianfranco Ferré

Leggerezza e trasparenza. Blusotti di gazar trasparente e sostenuto, su cui crea binari e percorsi anche la corposità delle cuciture. Impermeabili di gazar gommato e caucciù color ambra. Pantaloni e camicie di taffetà lavato e senza peso. Blouson quasi da motociclista di pelle sfoderata, ma con quel breve spessore che la rende elastica. Coccodrillo frantumato e ricomposto, ogni scaglia applicata sul tulle elastico per la T-shirt, oppure rigido per le minigonne coniche che si appoggiano sui fianchi.

Scomposizione e superamento delle forme. Voglia di libertà dai criteri definiti, trasformando geometrie di stoffa in camicie che si drappeggiano a volontà e sezioni di cerchio in gonne, fermate in vita o ai fianchi con una spilla. Semplici rettangoli di materia con coulisse, incastri, sovrapposizioni. Il filo armonico muove superfici di organza. La maglia diventa un fascio di pieghe, ma come di paglia che si drappeggia sul corpo. Le giacche si trasformano, mutano, hanno i colli svettanti, a formare nuovi scolli sul dietro. Come una carezza dolce, abbandonano la rigidità connaturata a questo capo di abbigliamento e si rimborsano ad effetto balloon. Abiti e magliette perdono spalle e spalline prediligendo l’effetto strapless.

Impreviste alchimie. Metallo laccato nero per intere superfici borchiate, per magici galuchat, per nastri cuciti a tratti che formano buchi e squarci scoprendo lampi abbaglianti di pelle. Disegni e ricami ricavati da imbastire, tracce, bindelli e drittofilo ripresi dalla tecnica di sartoria. Anche sul denim grigio del jeans, solcato in contrasto dalle impunture a evidenza piena. L’esplosione del nuovo taffetà strapazzato per nuvole incredibili. Scarpe che paiono concepite in assenza di gravità, sorrette da elastici color carne. Tracce d’oro opaco, come un fantastico spolverio. La sorpresa di una borsa satinata come un gioiello…

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“È una collezione di opposti, che si esprime per sentimenti estremi: ruba femminilità anche ai capi istituzionali del guardaroba maschile; cerca l’avventura, ma sottolineando un bisogno di protezione affettuosa, come un lungo abbraccio, una delicata carezza. Accentua le intenzioni, coprendo o scoprendo sensualmente quando si ha voglia di fluidità danzante intorno al corpo… Con l’intento preciso di sostenere il gioco della seduzione, ma anche con una specie di appassionata dolcezza … “

Gianfranco Ferré

Impressioni… Uno scintillio d’acqua tra la sabbia, spiagge d’Europa, Nizza o Venezia. improvvise ventate di aria tiepida, una vaga atmosfera romantica che sfuma, alleggerisce, intenerisce …

Figure… I contorni si ammorbidiscono di profili smerlati. Appare e scompare il busto dietro, la camicia di organza o di voile di cotone è piccola e tenera. Si disegna il corpo, ad ogni soffio di vento, sotto la tuta larghissima di seta paracadute. Gonne lunghissime o cortissime enfatizzano il fragile stelo delle gambe …

Eleganze… Lo spolverino di lino svasato, sfoderato, minuto sulle spalle e ampio all’orlo. La camicia di organza lavata, rifinita con un pizzo chiacchierino quasi festonato è indossata sul pantalone di camoscio uItraleggero e cerato. Il tailleur, ben costruito e di inusitata morbidezza, ha la giacca al ginocchio ed il pantalone a cintura bassa. La gonna bianca a pareo con le pieghe completa la maglieria tipo Tom of Finland, ironica, allusiva, di rete nera. Le scarpe basse, da uomo, di tela grezza, e quelle a tacco altissimo, con la punta affusolata tipo Concorde…

Materie… Rete tecnica di nylon, impalpabile pitone colorato, nylon doppiato di organza di cotone (anche per i giubbotti di foggia militare), taffettà rigato e stretch (per le camicie che si drappeggiano intorno alla figura), camoscio morbido e laccato. Voile point d’esprit come gli abiti dell’infanzia. Trafori ricamati con il laser, jacquard di seta sul nylon trasparente …

Suggestioni… Gilet di pitone rosa tipo marsupio per sofisticati vagabondaggi. Jeans azzurri di canapa candeggiata, con le curve del derrière sottolineate dal raso opportunamente lavato. Coulisse che arricciano le doppie organze per dare sprazzi di leggerezza. Per la sera, strati di ruches, plissé metallizzati, bordi inamidati che hanno la magia di preziose lenzuola di seta …

Riflessi… Candore del bianco, beige che si stempera nei colori delle sabbie. Nero assoluto. Grigi e blu che sfumano negli azzurri estenuati e in un luminoso tono acqua. Rosa, dal corallo chiaro a quella sfumatura dorata detta “rosa del deserto”…

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“Contraddizioni che si ricompongono, opposti che convivono, purezza ed un senso intrigante del peccato… Per la donna che si vuole angelo, ma è consapevole di avere un corpo – e questo corpo è intensamente e naturalmente sexy – ho immaginato un modo di vestire che cambia ogni regola. Con il costume da bagno trasformato in camicia in nylon elastico, lunga fino ai piedi, mentre il body, magari con il colletto, si indossa in città per attenuare gli eccessi delle scollature degli abiti da sera… Nel gioco degli opposti, ho ricomposto tendenze e gusti che finiscono per attrarsi: il corto ed il lunghissimo, l’essenziale e l’opulento, la sottigliezza di una linea appiccicata al corpo ed il piacere del volume. Per creare una figura sottile, una linea slanciata che ha il sapore di un educato primitivismo.”

Gianfranco Ferré

Un paesaggio ideale, un’impressione diffusa di colore: un viottolo, fiancheggiato da un muro rosato, il sole basso all’orizzonte, le ombre lunghe… Una silhouette immaginaria: sottile e chiara, quasi come i gessi di Giacometti, accentuata dagli abiti aderenti e vicini alla figura. Un gusto prezioso ed insieme poetico: tessuti opachi e ricchi, patine dorate, splendori di pietra e di gemme. Rosa d’aurora, rosa in tutte le sfumature, oro e bronzo, legni esotici.

Nella sfida dei contrasti, il blazer di marocain lavato scende fino alle caviglie e viene legato in vita con una fusciacca, il vestito austero è opaco davanti e trasparente sul dorso. Gli abiti di tricot, da portare sotto il parka di gazar, sono attraversati da scollature abissali. La camicia di taffetà tipo carta si gonfia intorno al corpo.

Nel sottile desiderio di riprendersi l’ornamento, di riabbigliarsi con raffinata esagerazione, i tessuti sembrano arrivare dalla Wunderkammer, la camera delle meraviglie. L’organza è stropicciata e macchiata. Il faille di seta è lavato e stirato, perché riveli la sua anima morbida dietro l’aspetto croccante. La viscosa lavata scivola come seta, lo shantung scorre fluido.

Nel piacere della sorpresa, i jeans in denim di seta rosa o blu. Stupefacenti, come tutta la Gianfranco Ferré Jeans, che rielabora e interpreta materiali nobili e tessuti raffinati, creando effetti iridati, opalescenti, di madreperla. Un’intera, vastissima collezione prodotta e distribuita da ITJ, che supera i confini consueti dell’abbigliamento informale per diventare stile e pura vitalità.

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“D’istinto e, insieme, per volontà, ho semplificato ancora di più il sistema del vestire, dando significato e senso al concetto di prêt-à-porter di lusso e sottolineando le caratteristiche che questo lusso, in effetti, ha…

Ho esaltato l’intenzione e la volontà della donna che lo scopre, perché ha trovato da sola questi valori e sta imparando a servirsene con assoluta autonomia. Per questo, ancora più di prima, mi sono deliberatamente ritirato da una certa artificiosità accentuando la mia scelta di disegnare vestiti: nel migliore dei modi, ottenendo proporzioni nuove ed elaborando un’insolita libertà di formulario: corto, lungo, pantaloni usati a piacere. Tutte quelle che sono le esigenze della vita, ma in una prospettiva moderna, che guarda al futuro…

Per dare enfasi alla forma, ho utilizzato tessuti elasticizzati, che si adattano facilmente al corpo, e tessuti con una loro corposità caratteristica che permette di non foderarli pur sostenendo vigorosamente la linea. Mi sono proposto anche di eliminare tutto ciò che ingombra, si sovrappone, può essere scomodo: per lasciare spazio alla fantasia, al sogno di chi vuole vestirsi con questi abiti, nel lusso …”

Gianfranco Ferré’

Rimandi logici, osservazioni, riflessioni.

Che cosa c’è di nuovo nel tailleur nero? Le proporzioni insolite, che il crêpe di lana e seta, o di seta e cotone, favoriscono. Ma nuova è anche la vestibilità totale, ottenuta con i tessuti elasticizzati: in questo caso popeline di cotone, da camicia. Gonne lunghe, corte o pantaloni. Quindi scarpe di foggia più maschile o più da donna, con tacco dinamico a tre, quattro centimetri, leggere come pantofole.

Vestiti da uomo, trasformati in abiti da donna.

Nel momento in cui la femminilità e più sicura, il formulario maschile regala, per esempio, certe leggerezze da tessuti di drapperia, per forme che sono più aderenti al corpo.

Compostezza, apparente ascetismo delle forme d’ispirazione orientale.

Tailleur senza colletto, bottoni nascosti, nitore delle maniche. Giacche che sembrano brevissimi chimoni, dalle spalle anatomicamente piccole, interpretate con serietà dalla gabardine di doppia seta. Semplicità degli abiti a t-shirt ma tagliati in sbieco, che si drappeggiano naturalmente sul corpo. Oppure di linea diritta e scivolata.

Vestiti senza tempo, quasi senza stagione.

Per un’eleganza rifinita ma elementare, dove le piccole giacche si avvicinano al corpo e si indossano senza camicie. Le camicie – tonde, libere, più piccole del consueto – sono di organza e di garza attraverso le quali traspare il corpo, come in una fotografia sfocata.

Libertà dei costumi da bagno leggeri.

In maglina simile alla biancheria, bianchi e neri. Oppure di raso e nido d’ape stretch, per un’atmosfera glamour da diva.

Alchimia delle materie.

Come in un laboratorio magico, si mescolano fili e sostanze, nascono nuove tonalità … Il più classico dei tessuti da uomo, realizzato in grosso rayon, diventa simile ai foulard africani bianchi e neri. Le scaglie di plastica danno vita a un finto pitone; schegge simili ai corallini da bambini ricoprono le t-shirt e le gonne, da indossare con il golf blu. Strisce di organza nera e bianca disegnano la più trasparente delle gonne scozzesi. La carta stagnola colorata sui tessuti dà una lucentezza mai vista.

L’intelligenza dei colori.

…nero, nero mescolato a bianco, grigio, blu, rosso Ferré, più che essere un’attitudine metropolitana, risponde all’intenzione di costruire un guardaroba armonioso e duraturo. Su una gamma personale e fonda, di base, tocchi di blu oltremare e il verde delle giade suggeriscono accostamenti diversi e sorprendenti. Per un rispetto vero del guardaroba.

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“Se dovessi racchiudere questa collezione in un’immagine, direi che, con intento preciso, mescola sensualità e sentimento alla tecnologia. Voci e forme ultraclassiche del guardaroba vivono in libertà, con una scioltezza di trasformazioni e mutamenti che accentua la femminilità e il gusto di essere donna. Tutto nasce canonico, ufficiale, scandito dalle regole, e tutto è diverso, eccitante, sottilmente provocatorio …

Così, del tailleur, ho conservato l’anima: giacche in piquet stretch che assecondano le forme, tasche che cedono sotto la mano. Della gonna a pieghe, ho mantenuto l’effetto di movimento, con le strisce semiapplicate sul tulle elastico. Della guepière, ho voluto dare solo l’illusione, perché è realizzata fondendo due principi contrapposti: tecnica da sub e voluttà del tessuto molto elasticizzato. In cerca di leggerezza, ho costruito una giacca di organza elastica sottile come un sospiro, con tasche e colletto applicati a far macchia. Ho stretto il trench lievissimo, in garza di cotone bianco, con una cintura di vinile trasparente. Ho gonfiato la camicia di organza candida … Ma per dare vitalità e suggerire echi di glamour, ho anche spruzzato colori fluo: pink, azzurro Polinesia, arancio ghiacciolo. Perché scoppiettassero come fuochi d’artificio.”

Gianfranco Ferré

Nuovi classici dalle dimensioni sorprendenti dilatate all’inverosimile o ridotte e accorciate: il vestito è minuscolo come un costume da bagno, il costume da bagno sontuoso come un abito. I generi si mescolano in una sovversione carica di malizia. Il classico blazer playboy, in tessuto elasticizzato, si modella al corpo, lasciando che il colletto scivoli su una spalla o le scopra entrambe. Il trench da equitazione di doppia duchesse ha il colore goloso di una gelatina di frutta. Il blusotto si gonfia come sotto una raffica di vento. La severa marinière finisce in una sorprendente gonna a pieghe. Variazioni sulla camicia bianca. A volte perde le maniche e il colletto, a volte il capo si riduce a un drappeggio intorno al seno. Vago ricordo di divise scolastiche, la camicia bianca si unisce alla gonna nera: però di pelle tagliata al vivo e applicata sul tulle stretch. O ai fuseaux in maglia di seta elastica color crema e al più romantico dei pantaloni maschili rosa fiore di pesco. Nel gioco logico dei rimandi, vestiti sinuosi a nervature e pieghe blu o nero. Tailleur agili come pullover. Seta e viscosa mescolate a strisce o tricottate per una serie completa di debardeur, vestiti a tubo, pantaloni, da infilare sotto le giacche elastiche. Pullover importanti come vestiti: di seta, cotone, cashmere, aderenti al corpo, dai quali spuntano – come ricordi di camicie bianche – lembi e pezzi candidi. Memorie di dandismo da riviera. Pantaloni interminabili a vita alta, senza pieghe, con giacche che possono ridursi quasi a un top, o a un corpino bain de soleil. Nei toni biscotto, panna, nero caffè e perla. Riflessi in un occhio chiaro. Cadì di seta e organza elastica per abiti, jeans e tailleur che non celano il corpo. Segnati qua e là da una tasca, un colletto, un bordo. Leggerezza e chiaroscuri. Abiti che volano. Trench e sahariane trasparenti. Proiezioni da lanterna magica sui tessuti: chicco di caffè, pois, l’ombra di una veneziana ottenuta con strisce di nappa inserite sul tulle. Viaggio con Warhol nel mondo di Gauguin. Dolcezze tahitiane, fiori dei mari perduti, donne dai lunghi capelli. Immagini del sogno trattate elettronicamente e virate nei colori pop per T-shirt, pareo, abito. La foglia di Matisse ingigantita e proiettata sulla seta rosa. Il gioco del pink. Very glamour, very smart. Tailleur simile a una femminilissima tuta da sub. Giacca sagomata da lampo nascoste, che si possono aprire a piacere. Scarpe e borsa di neoprene come il corsetto doppiato in seta. Meraviglie. Un magico e metallico abitante del mare, forgiato sotto acqua e sotto ferro, con scaglie simili all’anaconda, per bluse e blusotti. I pantaloni blu. Equilibrio e morbidezza, con la linea fluida, femminilmente fissata alle anche da tagli e pinces, a vita scivolata. Da portare con i pullover di cotone. Sottosopra. Culotte e guepière in bella vista, ma senza ganci, ricami e pizzi. Senza sottolineature. La femminilissima stecca di balena, ricamata d’oro ed elastica, disegna il corpino del vestito di grosso crêpe di seta, con intarsi di tulle. Fashion party. Atteggiamenti, modi, gesti da diva. Vaghe memorie di Liza con gli hot-pants. Gilda. Ava Gardner, Lauren Bacall, le bellissime di sempre. Nella piscina delle Hawaii. Giochi d’acqua, sapore di vacanza. Gonne spumeggianti con mille ciuffi di cordini in organza sfumata, sotto le camicie disinvoltamente annodate. Scarpe shocking. Dimensioni nuove, curioso miscuglio di idee. Dei mocassini da uomo. rimane la punta, contraddetta dal tacco altissimo e trasparente. Dello zatterone, una vertiginosa suola di rafia. La scarpa da derby stringata ha il tacco. Le ballerine di seta e di rafia, arrotondate, rifiutano anche il peso della fodera. Il tutto condito dal piccante senso della libertà di ognuno.

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“Una miscela di urbanità e spirito selvaggio. Il senso di libertà che in una cornice civile, mediterranea, donano le materie décontracté … Reminiscenze, qua e là, d’inizio secolo, animate dal piacere di mescolare con audacia cose tradizionali…

…Alla concretezza, a quel che chiamo elementarità, ho voluto dare le sfumature incantate del sogno, un alone di leggerezza … “

Gianfranco Ferré.

Le atmosfere.

Lieve come un profumo, aleggia la memoria di una silhouette vagamente chapliniana: pantalone largo e corto al malleolo, giacca breve con spalle naturalmente ampie, bianco e nero come “Tempi moderni”. Languido e intenso, uno spirito primo Novecento porta gonne ondeggianti, giacche fluide e sciolte, la lunghissima camicia a caftano percorsa da nervature. Ma un’energia, un’ironia tutta moderna mescola preziosità e ruvidezze, aggressività e tenerezza, spighetta e tulle.

I colori.

In un panorama estivo e prosciugato dal sole, le sfumature si stemperano, colano, si schiariscono, in pura luce. Crema, seppia, canapa, bianco. Un pulviscolo di sabbia, nuvole perlate. Un’esplosione di rosso peonia, rosso papavero, rosso geranio per le camicie libere come foulard. Un’ondata di blu fresco e trasparente come il mare di Santorini. Righe digradanti nere che si allargano verso l’orlo: “stampate” oppure di fettuccia applicata.

Le materie.

Consistenza, spessore, lievità, contrasti… Cordone delle cime da barca per decorare un lungo gilet profilato di spighetta. Pizzo écru consistente e opaco, foderato di georgette, per il tailleur a uomo. Garza e tulle stretch o con uno spiritoso aspetto zanzariera. Shantung e suède lavato per le sahariane. Il pull di cotone con note di rosso per la giacca quasi da cadetto portata di sera.

Alchimie del lino, grezzo da un lato, spalmato d’argento sull’altro. Pitone o pelle d’elefante tagliati a strisce, applicate su maniche di tulle o georgette che, rimboccate, formano un’immaginaria matassa. Tessuti maschili di seta molle o crespo di seta, gessati con un filo di ajour.

Le forme.

Invenzione e ricostruzione del tailleur, composto di pezzi che mutano natura. Il gilet diventa top. La giacca esaspera i polsi o si riduce fino ad avere solo le bretelle. Il blazer diventa gilet. Il gilet si incrosta nel body. Il fazzoletto si trasforma in camicia e si lega al collo. Le camicie giganti e a sbuffo sono quadrati ripiegati in diagonale e legati con un nastro di raso. Il foulard si annoda a pareo, o si piega in due rettangoli, fermandolo con una spilla di sicurezza. Pezzi elementari modificano radicalmente il concetto di un abbigliamento unico e compatto. Sproporzioni nella proporzione, i pullover a punto stoffa di lunghezze e misure diverse sui pantaloni bianchi.

Gli accessori.

Scarpe con una dimensione nuova e più corposa nella suola, di sughero o di bufalo, piatta o molto alta. Scarpe da giorno di gusto maschile ma femminili nel tacco e nella punta allungata, bicolori e fittamente lavorate: con grosse stringhe, nastri di raso, larghi occhielli, buchi, cuciture. Il costume da bagno come uniforme del bodywear. Tulle blu copiativo sovrapposto a due, tre strati per ottenere ombre e trasparenze. Cappelli a uomo di garza, di tulle, di panama lavato.

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“Un’aria calda e forte, un odore intenso di erbe … All’improvviso ho sentito questa strana voglia elementare, selvaggia, questo bisogno di slancio e dinamismo … Come un moderno alchimista che ricrea tecnologicamente la natura, sognando magie e artifizi ho immaginato un’estate verde nella foresta equatoriale … lame di luce tra le foglie, visioni abbaglianti di animali, l’improvviso sfrecciare di una figura umana … Tra il vero e l’immaginato, l’autentico e la sua illusione, ho cercato materie sorprendenti con un’eco di favola … Oro e metallo scuriti e bagnati, cascate di gioielli primitivi di leggerissima balsa, placche di legno ornano il corpo, rivelato da abiti aderenti, come appiccicati… Soffia un vento di libertà in questa collezione. Di energia come quella che anima le donne dei nostri giorni…”

Fruscii, schiocchi, richiami…

Lì, nel pieno degli alberi di pitanja, mentre la luna smisurata inondava d’oro i manghi, gli abacate e i cajù e il profumo delle gardenie si diffondeva nella brezza proveniente dal rio Piauitinja”

(Jorge Amado, “Teresa Batista stanca di guerra”) …

Nel liquido verde della foresta, tra le foglie, una stampa di foglie sul tulle stretch, sulle t-shirt di organza. Sciarpe di cuoio tagliate al vivo e intrecciate a rete, bisacce che diventano gonne corte, cortissime …

… Mimetismo di un magico coccodrillo, ricamato trompe-l’oeil e mescolato al tulle, sui giubbotti e sulle giacche. Gonne legate sui fianchi quasi improvvisate lì per lì. Tailleur-pantalone di tussah color sughero tessuta a mano, giacche piccole (e sempre body e t-shirt. invece delle camicie), pantaloni morbidi che si allargano verso il basso …

… Il colore come tatuaggio che segna il corpo, marrone e bianco di pelle, tulle e seta con fettucce piatte cucite a zig-zag che formano gonna e reggiseno. Giacche corte e attaccate al corpo o lunghissime, che quasi nascondono la gonna …

Raso di tussah per pantaloni, magliette e jeans a stampa mimetica …

… Rafia mescolata con la garza che diventa corteccia, scarpe di legno, odore di cannella … Giubbotti di anaconda e nappa stampata a legno, camicia stropicciata simile a scorza …

… Pelle nera e nylon grigio, una materia povera e tecnologica che sprizza come un ciuffo di piume, come se appartenesse a un misterioso zebù … Camicie e giubbotti che si annodano a effetto.

Tre tailleur dalla linea costruita: giacca doppia, senza maniche; corta: con la linea scivolata, in shantung di seta e satin doppio … Tailleur nelle tonalità foresta, di georgette o taffetà impunturati insieme per creare effetti di trasparenza …

In un’altalena di fantasia e realtà, l’invenzione dei pantaloni di colone grosso con bande di simil-nappa a striscioline, portati con camicie di seta bianca e corposa. Tailleur di cuoio con la gonna svasata alla caviglia. Giacche lunghissime, gonne cortissime …

… Libertà di scegliere, nel candido e nella purezza, le camicie bianche di voile di organza, leggere, senza colletto. Con i volumi costruiti da tagli e pinces …

… Tailleur di seta spessa che sembra tessuta a mano: rete diagonale, crepe per i tailleurs rigidamente strutturati, con spalle squadrate e senza colletto …

… Come ceramiche frantumate e ricomposte, i tailleur e le giacche bianche e nere con fantasie diverse …

… Il bianco e nero a motivi giganti vagamente cubisti, in seta tussah …

Colori eccitanti, tropicali. Il gusto carioca delle righe accostate per contrasto, pantaloni di cotone pesante …

… Alchimie delle camicie a grandi righe arancio, mango, passion-fruit. Ora trasparenti ora lucide, ottenute con una tecnica che mescola organza e raso … Gonne di tussah a tinture naturali, leggermente svasate verso il fondo, portate con body di pelle elasticizzata …

…Gonne a ruota che il filo armonico, passato nell’orlo, permette di legare e fermare a piacere ..

… Giacche doppie nei colori rutilanti dei pappagalli ara, con finto gilet, che si annoda sui pantaloni bianchi… Vestiti candidi, stupefacenti parei aggrappati al reggiseno …

… Silhouette incantata: su jeans spruzzati di paillettes, accenni di nudo, body rivelatori. ..

… Parei in paillettes pressate e trattate con fusciacche che sbocciano in nodi verdi. ..

… La sorpresa di una sciarpa plissettata che avvolge come una foglia …

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“Sento il bisogno della naturalezza, di un approccio spontaneo e profondo… Come se andassi cercando la verità da cui nascono i sogni, la materia che nutre l’immaginazione… Così la paglia rimane paglia, ma diventa cedevole e morbida. L’organza viene esasperata nella sua leggerezza. Un soffio stampato a nuvole e cielo. Il blu è intenso e mutevole, come un mare tra scogli e spiagge. Accostato ai colori fortissimi dei giardini esotici… Ma suggerendo di tutto una lettura ampia e duttile, che risponde a tipi di donna diversi. Come ho scelto di fare nella sfilata, dove ogni modella indossa gli abiti che più le assomigliano e sono vicini alla sua personalità. Anche la sala più raccolta che ho voluto quest’anno parla di un gusto semplice, di un contatto vicino e diretto…”

Gianfranco Ferré

La logica e la funzione. La giacca a uomo abbondante. La giacca stretta da portare a pelle, che quasi si trasforma in un vestito o in un costume da bagno femminilmente mosso. La giacca dalle tonalità decise che ha la disinvoltura di un pareo drappeggiato al fianco. Ma anche lo giacca bustier con il suo pareo. La giacca che sembra una muta da sub con la cerniera di plastica rinforzata. La giacca dai tagli anatomici che davanti scintilla di paillettes. Nei tessuti che sottolineano le caratteristiche intrinseche del capo: crêpe leggerissimo, crêpe di seta naturalmente elastico, gabardine o telone rustico.

Il senso delle proprorzioni. Con la giacca lunga lunga la gonna non ha ragione d’essere. Ma il vestito nitido e spoglio, all’americana, aperto su un lato, arriva alla caviglia. Passo danzante con le scarpe piatte. Passo ondulato e sinuoso in equilibrio sui tacchi.

Il gusto del colore. Nel cielo, sulla sabbia. Tra i legni, le conchiglie e i fiori. Tra paglia e bambù. Vicino all’acqua, dentro all’acqua, in fondo all’acqua. Tra le conchiglie spezzate che la mareggiata abbandona sulla riva, bianche e nere, traslucide. Di madreperla, la camicia di pitone leggerissimo cucito sull’organza. Di madreperla, il davanti della giacca leggera. Di madreperla e scaglie di conchiglie il costume da bagno dalla linea pura e forte, sgambatissimo. Riflessi perlati e d’argento per i tessuti laminati del monopezzo da star.

Il senso della sera. In una vera collezione di prêt-à-porter, bastano una stampa, uno scialle, una frangia che dondola al vento, per creare il gusto levigato della sera. Con le gonne vaporose di organza, veri o falsi pullover da uomo ricamati su tessuti elastici. Con la gonna di corallini d’oro, il caban di seta selvaggia bianca. Con i pantaloni blu, il giubbotto ricamato d’oro e madreperla: da cadetto romantico. Estremismi surrealisti, memorie di Elsa Schiaparelli e Oppenheim, per la pochette ricamata a pesce nella giacca bianca. O le maniche fucsia e giallo limone sul fondo rosa shocking. O la manica completamente nera sulla giacca di broccato ad anemoni di mare.

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Ho voglia di energia, un’energia vibrante che generi ottimismo. Ho voglia di realtà e senso dei nostri tempi. E insieme, voglia di sognare. Senza sguardi a un passato troppo recente di cui vedo tornare solo la parte più volgare e appariscente. Mentre io sogno emozioni forti, incontri totali con acqua, vento, sabbia. Una natura che trasforma la materia e aggiunge fisicità ai tessuti. Perché io vado cercando effetti di trasparenza, che esaltano il corpo in senso poetico o puramente sportivo…”

Gianfranco Ferré

Travolti da una nuvola di sabbia gli abiti diventano sportivo-mimetici e lievi, volanti. Tricot di nylon doppiato di organza, pullover spolverati di granuli polinosici come la finissima polvere che ricopre un costume bagnato. Sahara-jacket forti e costruite. A volte burnus. Pantaloni di tela paracadute. Tuta di nabuk bianco; ma aperta, scollata.

Stringendo, annodando, avvolgendo la ricerca delle forme si muta in dinamismo. La camicia balloon è tenuta da coulisse che gonfiano l’ampiezza degli spicchi. Quel che piatto sembra una ruota, indossato si rivela una tuta con lembi da gettare sulle spalle. Silhouette avvolta e scattante come quella degli uomini blu, con semplici rettangoli di stoffa drappeggiati addosso.

Esotismo mediterraneo, chiaroscuri del Sud. Spighette, nastri, galloni bianchi come trafori di stucchi. Luci e ombre, bianco e nero, ottenuto unendo la passamaneria sull’organza. Lucentezza di azulejos con il patch di ceramiche frantumate . Tesserine di ceramica sul costume da bagno, e come un mosaico che all’improvviso si animi. Lino rigido e intrecciato che imita i lavori di ebanisteria.

Materie trasformate, alchemiche, inventate. Lycra spolverata di pelle e catalizzata. Tessuti che sembrano minerali, vegetali, di legno, di marmo. Lycra e taffetà cangianti pigmentati a broccato. Pezzi di caftano giuntati con raso per pullover ed accappatoi di spugna.

Dolce scivolare di tessuti. Seta lucida da lingerie per le giacche dalle proporzioni insolite con la vita spostata verso l’alto e senza colletto, o per la camicia lunga sul pantalone largo. Duchesse e shantung per il caban con la camicia. Seta selvaggia nei toni burrosi e cremosi. Rasi doppi e sostenuti per i tailleur formali, con un irresistibile scollo sul dorso.

Il segno Ferré. La camicia di organza bianca leggera e areata, trattenuta da una sciarpa di taffetà sui fianchi. La cromia astratta dei neutri, sabbia, terra, blu.

L’esplosione orientale di rosa, zafferano, bougainvillea, gelsomino. L’eleganza selvaggia della pelle e dell’anaconda.

Nella camera delle meraviglie, nel baule che nasconde tesori. Broccati. Grafismi di organza bianca e nera con la lucentezza dell’onice. L’iridescenza della madreperla: ricami di bottoni, incrostazioni su disegni e stampe. Righe baiadera. Jumpsuit che termina a scarpa.

Una folata di vento, una nuvola di sabbia. Come un sogno, sul vestito resta l’impronta di mille granelli che disegnano la curva del seno, la voluttà del fianco.

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“Impressioni, appunti volanti. . . un’estate a Capri oziosa, spensierata … Ho pensato a questa stagione felice, al gagà con il polsino al vento e la camicia sbottonata sul petto nudo, il fiore all’occhiello. Al vestire maschile con humor. E l’ho declinato con il massimo dell’ironia per una donna molto femminile. Manipolando e destrutturando forme canoniche per disegnare giacche senza maniche e doppiopetti che non si allacceranno mai, sfoggiando i bottoni solo come decoro … Ma ho lavorato anche per ottenere un’abbondanza naturale dei volumi, con maniche ampie, fogge che si svasano al fondo aprendosi spontaneamente, forme elementari, semplici come teli… Vibra un eco napoletano in questa collezione, con la fantasia e la libertà di inventare, adattare, mischiare … Perché ho cercato il Mediterraneo, la sua rilassatezza ma senza viaggi lontani, senza esotismi … “

Gianfranco Ferré

Rievocazioni sottili, chimere evanescenti. Il pantalone viene sostituito da una gonna plissé soleil, realizzata nell’identico tessuto della giacca. Un’impalpabile crêpe de chine, una lievissima grisaglia di cadì, un tenue fil-à-fil di lino da camiceria, una trasparente grisaglia di organza.

Tutti i canoni dell’abbigliamento maschile sono esasperati fino a distillare un’essenza ultrafemminile. L’impermeabile “da cavallo” dilatato come una camicia extra-size in organza-grisaille e portato con i pantaloni in sablé di seta. Il garofano che il dandy sfoggia all’occhiello enfatizzato e ingigantito. Così lucido di rugiada mattutina da rivaleggiare con il pitone a squama grossa e il tricot laccato che imita il pitone. Il vestito da uomo di gabardine cangiante nella versione vacanza caprese perde le maniche e aggiunge un mazzo di garofani di paglia. Le argentine che scivolano giù dalle spalle sono di voile di seta cangiante, il blouson maschile è di marabù foderato di georgette cangiante e impunturata. Tra citazionismo e decorativismo, i must del collezionista – orologi, penne, accendini – sono stampati sulle camicie-t-shirt da infilare distrattamente sopra la gonna di cuoio.

Viaggio tra le sensazioni, itinerario tra le impressioni. Rimandi sottili per generi e categorie. Dalla gabardine gessata nascono giacche a vestaglia, caban sciolti come accappatoi, foulard di georgette stampati con l’identica riga. Il gioco dell’accappatoio porta al trench bianco corto al ginocchio (popeline, pelle, cashmere leggero e sfoderato) ingentilito dall’ ajour che sostituisce le cuciture. Il pantalone ha la mollezza del pigiama, il pullover alterna spugna e satin bianco. Aria di Capri, tonalità brillanti e profumate. Corallo chiaro, blu oltremare, verde fondale marino, azzurro onda, rosa bouganville. Il bianco dei completi pantaloni in crêpe de chine. Camminando sotto il sole, i pergolati regalano frescure improvvise: stampe in positivo/ negativo sovrapposte, scompigliate da un soffio di vento. Intrecci traforati – simili alla paglia – in pelle e tricot di viscosa, cotone e nylon “da calza”, drappeggiato naturalmente con strisce che si incrociano. Righe tipo sdraio che sfuggono alle leggi della geometria e grazie ai cali girano e si torcono. Vestiti fluidi, forme piatte.

Costruzioni elementari per architetture molto complesse. Ma le sedie tripoline rimandano al costume da bagno in crepe di lycra nero, bello come un vestito ritagliato da una forbice magistrale. Ai caftani di camoscio lunghi e scivolosi , alle camicie multicolori sui pantaloni sottilissimi. Incrostazioni, passanastri e pizzo macramé si intrecciano al tulle e al serpente bianco. Trafori sull’organza e sul tulle. Smoking che hanno le stesse trasparenze e lasciano balenare le gambe nude. Colpi di luce sul fil-à-fil di lino ritorto d’oro. I colori delle piastrelle salernitane per i preziosi tessuti ricamati a simboli scaramantici: luna, cupido, stelle, corallo, scarabeo…

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Potrei descrivere questa collezione con una frase soltanto, una battuta a metà tra la fantasia e la memoria… Un marinaio d’indole romantica, che si é innamorato delle Hawaii… Così il senso dell’uniforme, il lindore del bianco e del blu, la fragranza del piquet, l’asciuttezza della gabardine si contrappongono alle forme languide, femminili, che nascono dal gesto naturale dell’avvolgersi e dell’allacciarsi. Contrastano con i colori vividi dei fiori tropicali, pieni di riflessi, quasi zuccherini.. E la libertà di atteggiarsi suggerisce la massima dolcezza dei comportamenti… “

Gianfranco Ferré

Conseguenze impreviste. Lo spirito avventuroso del rosso unito al blu come un gagliardetto emblematico. Il bianco e il blu che si rispecchiano in strani e fantastici decori, come tolde e prue di navi. Le manciate di fiori che diventano gonne in lunghi abiti – camicia, annodati e trattenuti sui fianchi. Come la blusa di marocain viene fermata alla vita dalla classica cummerbund.

Gesti deliberati. Stringere la gonna di tricot leggero: un triangolo di lana fredda. Far scivolare la camicia – non camicia: un foulard bordato di satin blu, annodato su una spalla. Serrare le bluse con grandi foulard di garza annodati sul seno.

Contrasti apparenti. La camicia in voile di cotone o di organza con plastron di piquet sui pantaloni morbidi in crepe o raso di seta. Il pullover a righe bianche e blu sui pantaloni di satin. La gonna-pareo a strisce con le giacche di piquet e la sciarpa a righe da cui spuntano ciuffi di fiori.

Slanci allusivi. La gonna a grandi pieghe di tulle tempestata di “chiari di luna” come il tradizionale tailleur di marocain blu. Lo spolverino ondeggiante in tulle di camoscio forato e leggerissimo o in garza di seta trasparente. Il vestito con una piccola cappa blu, che si arriccia su un fianco come se fosse stato infilato un po’ troppo velocemente.

Segni di ricami. Effetti di piquet ricamato sui davanti delle camicie. Il macramé di cordini cerati. Il taffetà cangiante lavorato a nido d’ape per le giacche a uomo. Decori, nastri, bandoliere di metallo.

Umori marini. Il costume intero da ginnastica in tulle blu. Il pigiama da spiaggia di satin a righe bianche e rosse. L’accappatoio di velluto nero. Il costume bianco con inserti di velluto nero elasticizzato.

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” Mi sono preso la libertà di affrontare il vestire “classico”. Una doppia libertà: da parte di chi se ne appropria e da parte mia, che l’ ho voluto rileggere cercando vivacità e snellezza nelle dimensioni e nel modo di accostare, sovrapporre, unire i singoli pezzi. C’è un senso classico perfino del colore, che non significa necessariamente blu, ma un certo modo di accostare i colori vivaci. E un gusto classico del vestire mondano, da moderna marchesa Casati che ha scoperto il dono dell’ironia.

Ho riaffermato con decisione anche la continuità dello stile, rielaborando concetti secondo una ricerca attuale. Sottolineando quella costante di sartorialità e costruzione che determinano la qualità dell’abito. Il tutto in chiave di assoluta femminilità.”

Gianfranco Ferré

Ben vengano il rosso e il turchese, il bianco con un tocco di nero, il porcellana del cielo a Sidi Bou Said, ma sposati secondo lo spirito della vacanza: il turchese con il rosso, il turchese con il bianco e il beige, che danno un senso di respiro, di spiaggia. In tessuti opachi, lievi, croccanti come il gazaar di seta.

Ben venga il sottile brivido di simboli e allusioni marinare, ancore, conchiglie, pois e righe capresi, stelle: ingigantiti, trasformati, in bassorilievi di pizzo o usati come stampe.

Ben tornato al gusto ironico del vestire mondano, di chi ha imparato la lezione di Gastone e del gagà anni Trenta. Con spencer minuscoli sulla camicia di organza, che per rispettare la fluidità della linea ha il dorso nell’identico tessuto della giacca. Con scie intriganti di organza e georgette: sciarpe, nodi con lunghe cocche, foulard. Con le fusciacche strette più volte intorno alla vita, per un vago effetto bustier.

Ben arrivato al gioco sottile dei rimandi. La pochette di organza diventa un fazzoletto legato al collo, oppure il colletto del pullover di maglia incrociato e strettissimo. Oppure il vestito annodato a sacchetto: di gazaar leggero che sprizza rotondo come un palloncino sulla gonna diritta o sul più normale pantalone bianco.

Ben giocata, contraddizione. La gonna di coccodrillo pesopiuma si accompagna alla camicia e al trench di taffetà. La blusa di lucertola color fango ai pantaloni di marocain grigio trattato peau de pêche perchè mostri una mano vellutata. Le borse funzionali, da donna in carriera, diventano imprevedibili ed eccessive come una decorazione.

Ben accolti, gioielli inventati e improvvisati. L’oblò bordato di pelle o di metallo a vista sui caban e sui pullover di nappa double face. Le conchiglie d’oro o laccate di nero da appuntare sulla giacca. Le conchiglie ricamate in rilievo sulle camicie di georgette elasticizzata come un contemporaneo macramè. La spilla gigante di ottone per fermare maniche e scollature, o per ornare il giubbotto di pelle.

Ben visto, l’imprevisto. Il costume da bagno di taffetà o di georgette elasticizzata, con un gioco di pure trasparenze. Il pullover marinaro azzurro e blu, che sembra rigato di nero e invece è l’effetto ottico di una sciarpa di georgette che lo sostiene alle spalle.

Bella sera, la sera. Con gonne corte a calice rovesciato, di taffetà e di gazaar. Con i foulard di georgette annodati che sostituiscono la gonna e le magliette incrostate di conchiglie. Con il vestito scollatissimo di gazaar bianco e il blazer trompe-l’oeil. Con la serietà impudica di una camicetta bianca ridotta come una sciarpa, pantaloni da smoking e guanti neri. Con il corpo esibito da un gioco di trasparenze, di linea (la giacca enfatizza il segno della vita, che scivola verso l’alto). Dal gesto insistito di annodare sciarpe e fusciacche, che potrebbero improvvisamente sciogliersi….

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“Sfidare con spirito nuovo … Il che significa servirsi della semplicità per farne uno strumento sottile di decoro, non aver soggezione di certe forme canoniche e rinnovarsi. Oppure trasformare in vivacità tutto ciò che per sua natura è formale, contrapponendo maliziosamente il femminile al maschile.

E’ il segreto di una collezione libera, costruita lavorando su ciò che più mi piace e che vedo come l’inizio, lo sbocco di una strada futura. Dove sempre più forte è il desiderio, tipico del prêt-à-porter, di colpire, sedurre, accattivare, ma esprimendosi con un linguaggio che in fondo non gli è tipico e che deriva dall’alta moda: l’educazione alle proporzioni.”

Gianfranco Ferré

Riflettendo in merito alla collezione. Sentirsi a proprio agio nel tailleur senza maniche, con la giacca maschile decorata a stampe vistose e grafismi evidenti, sul pantalone in fresco di lana grigia. Apprezzare il comfort di un tailleur che contraddice il formalismo di un tessuto maschile, il fresco di lana, trasformando la giacca in un doppio gilet ben sostenuto: uno di picchè bianco, l’altro di tessuto. Estenuare la giacca virile, sciolta e svasata verso il fondo, con le preziose drapperie di seta, il nero del raso e il candore del piquet. Portando la collana a chicchi giganti di legno come un uomo porta la cravatta. Perdersi in grandi abiti diritti come pullover, con lo scollo a V o a giro, segnatissimi sul dietro, abbondanti davanti per un effetto di rimborso basso che crea tasche naturali.

Discorrendo di elementi già noti del vestire. Impadronirsi del colletto di una camicia maschile, ingigantirlo e farlo diventare una blusa sbracciata. Impossessarsi di forme conosciute come il trench, ma colorarlo di rosso, su pantaloni e giacca rossi. Oppure sostituire la camicia con il gilet, corto o lungo, e precisarlo con una giacca sfuggente sul dorso, esasperata dal colletto a risvolti giganti. Addolcire il giubbotto barracuda con la popeline di seta naturale.

Riportando a uno charme diverso il lessico canonico dell’abito. Muoversi noncurante nella t-shirt a righe bianca e nera, ornata da un colletto alto e laccato. Apprezzare la scioltezza dei blazer informali come cardigan. Rilassarsi nella camicia morbida dalla matrice sorprendente: la sciarpa maschile di seta (come la maglia, sviluppata intorno alla sciarpa classica écru). Stupirsi del piccolo abito aggressivo in mohair di seta e lana, diventato un lungo cardigan (sotto, il gilet di uguale lunghezza in piquet immacolato).

Affermando che la solidità delle necessità permette anche un senso di sana allegria. Scoprire un metodo nuovo di costruire l’abito, esasperando la gonna a vita alta e unendola al reggiseno, in modo che baleni un lampo di pelle nuda. Aprire al massimo i bottoni della giacca e della gonna. Osare la giacca stampata sulla sciarpa che sostituisce la blusa. Scegliere l’ufficialità dell’abito a cardigan lungo alla caviglia, chiuso da enormi bottoni d’oro, o dei tailleur-divisa bianchi, la giacca smisuratamente lunga e i polsi d’oro. Rinunciare al colore per il nero e il bianco. Oppure volerlo con forza, ma rispettando un principio di necessità: rosso, geranio, girasole, mastice. Con un gusto “puro e duro” per il decoro trompe-l’oeil di certe culture africane, riviste con occhio europeo. Ma ricordando che, nella nostra società, sono pure le materie industriali come la gomma, utilizzata infatti per costumi da bagno e top da spiaggia.

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“Se penso a una donna per la mia collezione, ha l’aspetto, il sorriso, gli abbandoni di Ava Gardner in “Mocambo”. Occhio di velluto e sopracciglia di china, capelli tempestosi e orecchini di smeraldo. Immagino una personalità, insomma, oltre a un volto preciso. Un’allure volitiva, energica, una voce profonda, appena di gola. Perché ho scelto linee diritte, colori elementari, temi classici; un rigore assoluto per soddisfare caratteri colti e complicati. Penso anche a un ambiente, a un paesaggio tropicale, Messico forse, o Haiti. E’ un sentimento, una somma di impressioni. Odori, spezie, il cacao e il rum, un caldo che sale dalla punta delle dita e fa imperlare la fronte un camiciotto da campesino, un frutto maturo spaccato a metà. Tabacco e un panama per ombreggiare il viso. Il più maschile dei carrelli sopra una bocca scura di rossetto.”

Gianfranco Ferré

“…La difficile bellezza delle linee semplici.”

Gabriele D’Annunzio

Eliminate le pinces. Eliminata la fodera. Eliminati i bottoni. Resta una forma continua, una struttura morbida, che prende volume dalle spalle, con enormi e leggere maniche chauve-souris. Le camicie sono realizzate in un pezzo solo, una cucitura sul lato, un drappeggio sul davanti. Oppure due lembi di pieghe fittissime da incrociare e da serrare con una cintura di cuoio. Oppure una cascata di charmeuse di seta, che si ripiega estenuata come una sciarpa. Caban morbidi, sciolti, in gabardine secco: perfettamente doppi, l’uno sull’altro, per sostituire fodere e rinforzi. Spolverini con paravento in tessuto e la tasca orizzontale che diventa marsupio. Giacche di panno con l’interno simile a un gilet. Basta lo slancio del passo perché ondeggi, si muova, vortichi intorno al corpo.

“…Il lusso è un godimento dello spirito.”

(Oscar Wilde)

Seta cruda, charmeuse di seta, raso pesante di seta, shantung di seta: per doppiare il davanti di una giacca di grisaglia; per il vestito stampato a foglie di tabacco giganti, con maniche esagerate che nascono dal fianco sottile; per l’abito-camicia che si appoggia mollemente in vita; per il tuxedo, con o senza maniche dal panneggio asimmetrico; per i pantaloni da smoking, un mazzo di pieghe stirate invece della banda lucida laterale. Pelle scamosciata, vellutata, morbida: per la tuta da farmer larga e diritta; per il blouson abbondante appoggiato sui fianchi; per i maillot scollatissimi; per la gonna-straccio con la cintura regolabile tipo stuoia.

“Due donne stavano pron davanti a grandi vasi di terracotta, sotto ai quali, in un buco del terreno, ardeva un fuoco lento. E una prese una manciata di fiori secchi, d’un colore giallo bruno e li gettò nell’acqua. E osservò i fiori salire a galla e girare piano piano nell’acqua che bolliva. Allora ci versò sopra una polverina bianca”

D. H. Lawrence

Colori primitivi, naturali, di terre arse e asciutte: marrone semi di cacao, marrone tostato, bianco, bianco latte scremato, bruno da canna da zucchero, nero. Tonalità di bacche e frutti: mirtillo, succo di mora, verde foglia. Sempre tagliate da tonalità scure, intense, quasi notturne.

dp2001ai

Immagini come musica, ritmo di forme e colori …

“C’è il senso del classico, ma con il gusto dell’azzardo e di un tempo della vita accelerato. C’è la definizione di una nuova opulenza che non si esprime in ricami preziosi, ma nel contrasto dei materiali arditi e nella sublimazione di quelli tecnologici. C’è la mescolanza voluta tra maschile e iperfemminile: una miscela ribelle e splendente che, d’istinto, mi riporta agli anni d’oro del rock: David Bowie, Mick Jagger, Iggy Pop. Alla grande tradizione del vestire inglese, con marsine, dinner jacket, cappotti da postiglione, sconvolta da tessuti lucidi, materiali strani, stoffe contraddittorie …

Anche il mio nuovo tailleur – un termine in sé quasi in disuso – nasce da questa volontà di trasformare, diventando un bolero ridottissimo, quasi un coprispalla gessato, sopra tenere camicie e candide bluse, serrate da bustier come stringivita, fatti di preziosi intrecci di stringhe. Il pantalone è aderentissimo, oppure rivela una rinnovata dimensione alla zuava, con la coulisse alla caviglia. Le camicie sono simili a giacche da motobiker, i pullover riducono la lunghezza delle maniche, le giacche hanno spalle insellate e maniche a jambon per accentuare l’aspetto femminile. Il velluto a coste grosse, morbido come un tricot, costruisce un corsetto da motard: imbottito di lapin trapunto, dotato di carenature esterne che lo sostengono e ornato di sontuosissima lince …

Ho voluto la lince immacolata e picchiettata anche per adornare cappotti di cammello che dietro l’aplomb classico nascondono uno spirito selvaggio e ad ogni passo lasciano intravedere il pantalone borchiato. Ho foderato la redingote con nappa imbottita nera tagliata al vivo, oppure in cavallino rasato e stampato a zebra che richiama l’optical del pantalone. Ho strizzato intorno al corpo, come fosse un abito, il trench di finto leopardo e di pony artico trattato come scimmia…

Mentre disegnavo, mi sono accorto che certe forme, un certo andamento della linea, un aleggiare leggero di taffetà alludevano in qualche modo ad un’eleganza impeccabile e canonizzata, facendone proprie alcune regole che rimandano al classico. Così, sulla gonna a pieghe si porta la redingote a chiglie d’organza che si contrappone al pastrano ad “A” in double, con il bordo di paillettes nere. Un senso lussuoso di stravaganza affiora anche dove i capi sembrano avere l’origine più tradizionale. Per questo, ho trattato come denim la rigorosa flanella, contraddicendola con interni, bordi, tasche trompe-I’oeil in preziosa volpe argentata. Ho trasformato i jeans in magiche incrostazioni di broccato tartan e le gonne in soffici astucci di mohair. Sino ad esplodere nelle giacche di tweed plastificato spruzzate di cristalli iridescenti e nei cappotti con ricami metallici sui tessuti di broccato argenteo, alla Ziggy Stardust …

Per la sera – lieve, eterea, spumeggiante – ho creato abiti con code – come dire? – naturali. Miriadi di strati sovrapposti, senza peso; gonne a spicchi di chiffon; top a bouquet formati da piccoli fazzoletti di organza cuciti fitti; intarsi che sembrano in pelo di scimmia e invece nascono dall’incrocio del lapin con la kidassia. Giochi di nero e di grigio, tracce di fucsia, segno storico della nobiltà. Mix dinamizzanti con la pelle, con le borchie, con gli stivali cuissard in raso o fustagno stretch, quasi un tutt’uno con il vestito, che inguainano la gamba come una calza e la slanciano incredibilmente…”

Gianfranco Ferré

dp1998ai

“Magico gusto della realtà, forte esigenza di poesia, evasioni nel quotidiano … Una giacca per me non è più un giacca, come diceva Gertrude Stein della rosa. Ma una forma eclettica che ha radici nella maglieria e l’agilità confortevole nel tessuto elastico. Di tailleur tradizionali, nella collezione, credo di averne mantenuto uno soltanto … Le misure non seguono il criterio dell’ordine, della norma: ho preparato una tuta lunghissima che viene ripiegata doppia per ottenere un drappeggio naturale, ma ho anche disegnato abiti corti, aderenti al corpo anche quando il tessuto è corposo come una flanella, proprio per dare un senso di protezione ovattata. Eppure tutto è leggiadro, aereo, per i colori impalpabili e le sfumature metallizzate. Antico ed assolutamente inedito insieme … Quasi avessi schizzato il volto di un paggio alla Dante Gabriele Rossetti, di una ieratica Giovanna d’Arco come l’ha immaginata il cinema: Renée Falconetti, Ingrid Bergman, Jean Seberg … Però l’atteggiamento è naturale, l’attitudine disinvolta. Sono banditi i compiacimenti da couture. Perché il taglio è fluido, elementare, quasi futuribile. Il corpo si muove con naturale elasticità in materie magiche, cascanti, plastiche, che evocano un sogno. Un’impressione di dolcezza e di forza … “

Gianfranco Ferré

MAGIE … Manipolando ombre, volumi, texture – non per rappresentare la realtà ma per trasfigurarla – il nero diventa liquido: pieghe minuscole paiono incollate al corpo con la pece e lasciate poi fluttuare liberamente. Il nero diventa più opaco della carta vetrata o sfaccettato per le mille squame del galouchat …

ALLUSIONI… Scaglie di tricot compongono un cardigan argenteo e trasparente sulla pelle nuda. Da sirena, da guerriera. Impalpabili camicie bianche strappate in fili di seta e di mohair, stampe evanescenti d’argento. Abiti puri e sinuosi, come cotte di velluto e pizzo metallizzato, interrotti da tagli quasi al rasoio …

ILLUSIONI… Cardigan dal colletto di doppia alpaca, più spumeggiante di una pelliccia. Fantastico cavallino maculato, quasi frutto di impossibili connubi. Scarpe di stoffa e di squama, décolleté sottili con toppe di metallo – un lampo ad ogni passo -, suole di vinile lucido, piedi affusolati dalla luce …

MERAVIGLIE… Cappotti a botte, blouson e bomber-sculture, variamente imbottiti sui diversi punti del corpo. Tessuto gessato e di cheviot, illuminato dalla nota stilizzata di una camicia bianca o dallo splendore argenteo di una blusa di taffettà grigio. Accenti di nero assoluto, grigio minerale, rosso cadmio. Jeans iperleggeri come sottili fogli di metallo: peltro, alluminio, platino. Addolciti da lingerie di metallica consistenza, in oro e bronzo …

dp1997ai

“Profumi, ombre, una voluttuosa bruma che sembra avvolgere la figura, il suono delicato di una lunga collana … Allusioni, frammenti di ricordi, immagini che sembrano moltiplicarsi in un prisma … Ho disegnato questa collezione pensando che il desiderio di semplicità, nella nostra cultura, è pervaso dal gusto di raffinate complicazioni. Il senso del doppio non basta più, seduce il lusso di fodere che si intravedono, la voluttà dei cinturini sottili che abbracciano la caviglia, l’esotismo di scarpe minute e slanciate, vagamente orientaliste …”

Gianfranco Ferré

Sensazioni... un’impressione diffusa di sensualità pervade tutto: anche i capi di origine sportiva sono talmente sottili che lasciano percepire la morbidezza del corpo. Scivola bassa su un fianco la cintura quasi da aviatore, intorno alla vita si annoda lenta la stringa che termina nei puntali aguzzi d’oro, simile alla coda di un serpente in fuga. Come nella tradizione orientale, il corpo scivola dentro il vestito ed il vestito si muove liquido intorno al corpo. Senza nostalgia, piuttosto un’aura vaga di esotismo e cultura.

Desideri… la silhouette è lunga lunga, tenera tenera. Ma esprime un senso preciso di volontà, perché il corpo è peccaminosamente esposto oppure celato. Gonne lunghe, pantaloni ed improvvisamente anche una gonna così corta che sembra sia rimasta solo la parte superiore del vestito.

Scompigli… non c’è sopra, non c’è sotto. I paltò sono esili e ravvicinati come astucci. Ma anche lunghi, per coprire la maglietta che scende fino ai piedi. Le giacche si sono ridimensionate e rivestono il corpo con l’aderenza di una guaina. Tessuti corposi ma morbidi. Lane che già al rovescio mostrano strisce di raso. Cashmere sostenuto da elastomeri, che danno al tessuto un aplomb diverso.

Pennellate… colori mescolati, sovrapposti, sfumati. Il caramello intenso si accende nel rosso, il rosso vibra vicino all’argento, il blu diventa magnificente con lucentezze diverse, i marroni gelidi sono movimentati da effetti opachi e lucidi. Riflessi di pietre e di fiori: turchesi profondi, topazi, porpora scurissimo, viola d’Oriente. Nei momenti più preziosi, toni pallidi, eterei: cipria, alabastro, velluti perlati. Disegni lievi di fiori sono nascosti dalla georgette cangiante, ombre di ricami appaiono sotto gli argenti, con un senso di fresca poesia.

Alchimie… coccodrillo sfumato, marabù color cuoio, pause d’ombra gettate da piccoli ciuffi di pelliccia, lane impalpabili che diventano cappotti. Scarpe affilate, sottili, con laccetti che si intrecciano alla caviglia. Piatte, con i tacchi, morbide e ricamate, anche se di coccodrillo. Borse ridotte al minimo, non più grandi di portasigarette.

Declinazioni… il jeans di Gianfranco Ferré Jeans, essenziale ed asciutto, magico ed unico. Sfumature dense ed intense, in velluto decolorato a tintura multipla con effetti cangianti, in broccato, in taffetà lucente ed imbottito.

dp1996ai

“Per le donne di oggi vestirsi significa dare risposte a necessità e piaceri diversi, che derivano da comportamenti mutevoli, in contrasto soltanto apparente. E’, da un lato, una forte consapevolezza di femminilità a segnare questi atteggiamenti, insieme alla certezza di poter abbellire e modificare il corpo grazie alle forme ed alle strutture dell’abito. Ma, al tempo stesso, è anche un’intenzione convinta di comfort, di velocità, di semplificazione, una disponibilità verso indulgenze più private che pubbliche … Fondendo essenzialità e grazia, ho voluto ricomporre e tradurre queste esigenze, evitando così – e con determinazione – ogni tecnicismo, che rende arido e poco donante il principio dell’elementarità … Coniugando rigore e libertà, ho tracciato una silhouette di massimo conforto, grazie al tessuto elastico che evidenzia spalle e fianchi, accostandola però a quella scolpita e modellata da una nuova lingerie, che conquista la funzione di vero capo d’abbigliamento e rende inutili ulteriori sovrapposizioni. Il rispetto di canoni e generi è nelle intenzioni: con la stessa libertà di scelta, coprire o esibire le gambe dipende dal gusto del momento, preferendo una volta i pantaloni, un’altra le gonne brevi. Con qualche eccezione … “

Gianfranco Ferré

Un’immagine: gambe snelle che si muovono veloci sotto il cappotto dalla linea quadrata, che ha le caratteristiche di una lunga giacca. Per rinforzarlo, doppiature trapunte o parti in montone. Ma anche cappotti lunghi fino a terra imbottiti di vera piuma d’oca per sfidare temperature, glaciali e montgomery di maglia candida per rotolarsi nella neve.

Giacche allungate, diritte, piuttosto square, sotto le quali può scomparire la gonna o fare capolino la tuta elastica.

Flash sulle gambe: scoperte, ma ben vestite dalle calze; sottolineate da stivali aderenti e scarpe che, in una ricerca di solidità, non rinunciano però ad un appeal tutto femminile.

Nel gioco degli scambi, prende corpo e spessore la camicia. Interpretata con tessuti densi come quelli dei cappotti, può sostituire la giacca, tanto è libera e sciolta: attaccata al corpo ma anche capace di reggere certe ampiezze.

Linea contenuta e ravvicinata grazie alla strategia dei tagli: anche il pantalone, per essere sottile ma non aderente, viene tagliato in sbieco. Per aggiungere sinuosità alla figura, la lingerie strutturata in tricot grigio; lavabile e confortevole, può racchiudere in un pezzo solo reggiseno e coulotte, mentre il pullover può nascondere una guainetta rigida.

Quasi un’uniforme, scelta in modo deliberato e riservato: il tailleur a uomo opta per un tessuto maschile nel grigio più conservativo e si riscalda con il cappotto di seta dal nuovo spessore, perché doppiata in tessitura, in color anemone o tango.

Radicalizzando le forme costituite, il piccolo abito si accompagna a una camicia di flanella e gazar, l’impermeabile dalla foggia a clergyman scopre il lusso delicato del nylon e lana in chiarissimo rosa pesca. La gonna più semplice, a minuscoli plissé, cade come una colonna.

Folate di femminilità e di una grazia sottile permettono di giocare con i tessuti stretch (a scelta, morbidi o sostenuti). Alchimie misteriose intrecciano in una rete grani dorati, perle brunite, cristalli neri, ricreando l’effetto del tweed. Magie di lane corpose (per i pantaloni) e sete impalpabili (per la T-shirt), che paiono avere la stessa consistenza per l’effetto della stampa fotografica. Raffinatezza dello sportswear, in duchesse doppiata di cashmere. Armonie del taglio per le gonne da sera: rettangoli magici e puri si incrostano su body di lana e jersey stretch.

Calma e serenità nell’uso del colore: blu, grigio, cammello, sfumature perIate di pesca, oro e ghiaccio. Rosso divisa, per piccole giacche che mescolano diversi materiali e diversi toni di scarlatto.

dp1995ai

“Concentrazione, concisione… Nella babele delle voci, nel turbinio dei segni, bisogna compiere un passo deciso, netto. Semplificare le forme, rispondendo ad un’esigenza che è mentale prima che estetica.

Depurare le fogge, ma senza togliere la dolcezza del sogno, dell’immaginario, della fantasia… Per questo ho voluto separare chiaramente il guardaroba della quotidianità da quello per il piacere. Di giorno abiti svelti, perfettamente consapevoli delle regole dell’efficienza; di sera vestiti per amarsi, per sedurre, più scoperti, con precisi connotati di malizia e di gioco … Che torni a parlare il vestito, io dico, con tutti i rischi che questo comporta: il vestito per ciò che vale, per il design, per la qualità, per la sua necessità … “

Gianfranco Ferré

Il formulario della quotidianità.

Nel colore più elementare e meno compiaciuto, più forte e puro, il bianco, una serie di capi in lana elastica o iperbattuta, feltro, mohair garzatissimo, che permette una svasatura controllata di caban e giacconi. Tocchi di nero, come negativi fotografici, per sottolineare la profondità di certe materie: per esempio, la pelle.

Nuova allure del tailleur, che riduce le proporzioni, diventa più minuto grazie ai tessuti fortemente elasticizzati e alla sottigliezza del taglio. Spalle naturali, che costruiscono giacche aderenti al corpo. Crêpe doppi e tripli senza fodera, lavorati a double; tricot stretch e spesso come un groviglio di materia.

In una mischia di sintetico e autentico, la vera falsa pelliccia diventa scialle, caban, cappotto. Può essere nera e di aspetto ispido, quasi arma da difesa, ma soffice al tatto per l’intervento sofisticato della tecnologia.

La necessità dei colori fortissimi, quasi segnaletici, per i caban di lana: all’interno candidi piumini, resi anatomici dalle imbottiture diverse che seguono la struttura del corpo.

Maglia a pezzi, maglia inventata. Maglia che copre il corpo come un guanto, applicata su una base di tulle elastico, aderente. Con bagliori di pelle nuda e trasparenze improvvise. Tricot di tipo norvegese, da alta montagna, tenuti insieme e rafforzati da nastri sottili di raso.

Commistioni magistrali, effetti arditi: nylon mescolato a finta pelliccia, lapin che sembra cincillà.

Cappotto di stagione: il trench dalla foggia sottile, appiccicato alla figura, nei colori del rigore maschile – blu, cammello, nero e bianco – o nei tessuti dall’opulenza femminile: doppia seta lucidata, doppio moiré cangiante.

Leggerissime, le camicie bianche di organza, scolpite addosso, hanno la consistenza di un velo. Le maniche, a nervature sottili, accarezzano il braccio. Il colletto piccolissimo è sorretto e sagomato da altre nervature.

Scarpe affinate e affilate, anche quando la suola è di para spessa. Cinture sottilissime, strisce che sottolineano appena la figura.

Vestirsi per piacere.

Se di giorno la silhouette si ferma al ginocchio o è sottolineata dai pantaloni, di sera conosce la libertà assoluta: vestito-pullover completato solo da un paio di calze opache; vestito lungo; vestito lunghissimo.

Lo smoking, uniforme sicura, dà vita agli abiti di gros-grain molto scollati e fermati dalla cintura, con i regolamentari bordi di raso.

Tuniche di tulle e velluto di un marrone denso, quasi nero, con scie improvvise di nudo.

Misteriosa alchimia minerale, brillantezza di quarzo e carbone, ricami irregolari di polvere e scaglie su ciniglia e tulle per vestiti o corpini.

Splendore della pioggia e lucentezza dell’acqua, nei lunghi abiti di mohair tubico dalle sobrie tonalità maschili: blu, verde, marrone.

La magia dei fili di metallo, dentro i quali restano impigliate cascate di corallini, e dei setacci risplendenti di polvere d’argento, per le tuniche a guanto ricamate su rete piccolissima.

Vestiti sorprendenti: davanti sottili, con la gonna a vita alta appena svasata e la camicia di velluto. Dietro, grandi fazzoletti di tulle. Tulle bianco, tulle nero.

dp1994ai

“Un senso di nuovo di libertà. Un gusto intenso e forte, che unisce il naturale all’elementare, che si spinge al massimo dell’artificio, elaborando dettagli maschili su fogge e figure completamente femminili… In questa collezione sono approdato a una consapevolezza diversa del vestire, che dà per assimilato e assorbito quel che è Storia e inventa un presente pieno di energia, senza compiacimenti né stravolgimenti. lo perpetuo la necessità di un ordine che sia donante, non obbligo o imposizione. Un ordine nato dalla libertà che tutto rimescola. Così la giacca perde il suo aspetto prevedibile per diventare vestito, trasformarsi in maglia, mutarsi in semplice over. La camicia si emancipa e raramente finisce sotto quella che una volta era chiamata giacca, ma ondeggia sopra body e pantaloni aderenti e sottili come calze pesanti. Ogni capo riacquista la sua identità più profonda. Direi la sua “entità”: la camicia basta a sé, la gonna può essere sostituita da una cascata di jais, dalla sorpresa di un foulard messo a cintura. Sotto cui fare balenare, con intenzione, la silhouette ricoperta di maglia nera…”

Gianfranco Ferré

Materia e forma.

Per misteriose alchimie, la materia presta il suo corpo alla forma e raggiunge soluzioni sorprendenti, effetti scultorei.

I nuovi volumi nascono da cascate seriche: taffetà, velluti di seta tubici, velluti di seta e viscosa. Certe dolcezze si ottengono sposando il velluto al cashmere e ritrovando la soavità dei gesti: avvolgersi una sciarpa sulla testa, farla ricadere sulle spalle, gonfia come un cappuccio. In certi abiti da sera, la densità dei drappeggi esplode imprevista per l’uso del jersey, che ricorda quello delle magliette “Champion”.

Come nella Wunderkammer, niente è ciò che sembra: la pelle marezzata di animale, simile a lontra leggera, si rivela un velluto ammorbidito e schiarito. La ciniglia a trame larghe, foderata di georgette e trapunta, diventa una gonna di filo intrecciato. La passamaneria e i cordoni tapisserie ingranditi, slentati, in filo di ciniglia- diventano caban e scialli sontuosi. La pelliccia che sembra di struzzo e di piume, è una massa di lana lavorata a fiocchi sul canovaccio.

Invece di collane e braccialetti, fasce e polsiere di soutage impunturato sulla georgette con effetti morbidi e snodati.

Scambio di tecniche e sistemi: la tessitura a navetta (tipica della spugna) si usa per il mohair, ottenendo cappotti plastici, che si gettano addosso come accappatoi e grandi sciarpe.

Colori.

Uno splendore leggero si posa sui bianchi e sui neri assoluti. Un pulviscolo morbido vela i neutri declinati fino alla tenerezza del rosa. La forza istituzionale della flanella grigia prende la luce opaca, sabbiata, come di un elmo antico, per il jersey di origine atletica. Il sabbia si infittisce nei toni dei rami secchi, mescolati con il selvaggio della seta stampata, mimetica, da fodera dei cappotti militari. Un mazzo, di sfumature dal rosa al violetto, come peonie che stanno seccando, getta una nota densa e vibrante.

Decori.

Né status né omaggio alla tradizione, ma forme che sottolineano il corpo, oggetti che segnano il braccio, la spalla, la vita. Cinghie di coccodrillo arrotolate sei volte intorno al polso, catene attorcigliate che sembrano una colata di polvere d’oro. Con una forza tra il tribale e il primitivo, la sciarpa diventa collana, la striscia di cocco e pelle sostituisce i braccialetti… Materie diverse, e flessibili, decorano i vestiti. Invece di diamanti, cascate di georgette tempestate di strass e frange luccicanti. Collane di jais sostenute dallo chiffon sostituiscono la camicia. Per creare una sensazione di evanescenza e languore, sui tessuti trasparenti sono impressi fiori, mazzi, serti di foglie. Con la tecnica della “sublimazione” che stampa l’immagine fotografica sgranandone i contorni. Come se all’ improvviso arrivasse una folata di nebbia.

Proporzioni.

Convivono gli opposti. Il corto si accompagna al lungo: sotto il cappotto di stile militare, ma con la fodera del colletto in velluto froissé, c’è il pullover a mezza gamba sulle calze opache e spesse. O il “freebody”: l’insieme pantalone-calza e body di maglia leggera. Forme tirate e allungate. Gonna che si intravede appena. Pantalone confortevole, quando c’è.

Il maschile si accompagna al femminile: tessuti severi per il glamour e dolcissimi per le fogge più conservative. Duchesse di seta per la camicia a uomo. Velluto di seta, sposato al feltro, per il paltò. L’enfasi delle gambe riequilibra il volume delle spalle. La giacca aderente, senza spalline, si arrampica verso l’alto rialzando il punto vita di un paio di centimetri, in una forma leggermente a uovo.

La linea appare scivolata, liquida come acqua, grazie anche ad effetti patchwork: come l’over che dalle spalle alla vita è in crêpe, prosegue in georgette e ha le maniche trasparenti sempre di georgette come la sciarpa.

dp1993ai

“Felice senso della ragione … O forse, realtà trasfigurata, piacere nel vedersi e sentirsi a proprio agio, energia che nasce dall’equilibrio e dal comfort… Per questa donna diversa, che ha desiderio di bellezza ma non di fuga, di relax ma senza esotismi e abbandoni, ho pensato a una silhouette nuova, allungata e fluida, con spalle minute … Veloce come un disegno a matita … Una silhouette che sposa il colore alla forma, seguendo il principio che ogni oggetto ha, naturalmente, un colore: così il cappotto che sembra un caftano è bianco, il cappotto che copre con praticità è beige, la ruota di velluto panne è blu … Forme elementari, dunque forti, che gli accessori sottolineano in modo puro, essenziale … Disegnando e immaginando situazioni reali, occasioni concrete di vita quotidiana, mi sono accorto che d’istinto andavo scegliendo il bianco, il rosso, il cappotto, il tailleur di ispirazione maschile, l’oro, il décor, la fantasia … Il lessico Ferré, il mio costante alfabeto espressivo …”

Gianfranco Ferré

Rosso. Una pennellata decisa, una vibrazione forte, un impulso segnaletico. Rosso per i pantaloni tagliati come jeans e il parka di satin sul pullover gonfio in leggera nappa e costa inglese.

Trench. Elegantemente avorio, come esigono storia e tradizione. Lungo a sfiorare la caviglia o disinvoltamente corto. Nelle stoffe asciutte che danno linea e scatto: canneté, popeline di cotone, gabardine, duchesse. Sempre strizzato in vita, che si porti sul tailleur o sulla T-shirt bianca.

Maschile. Nel continuo incrociarsi tra il maschile e il femminile, il tailleur cambia le proporzioni e si enfatizza, con la giacca molto corta o, all’opposto, lunghissima. Da completare soltanto con le calze e lo stivale morbido, piatto. Grisaglie, tweed, tessuti tipici del guardaroba da uomo nelle tonalità grigio, ferro, asfalto. Con pantaloni e pullover da cui balena l’essenza di un polsino bianco.

Abito. Una pennellata sempre nera, un lungo tratto di inchiostro. Dagli spacchi che si aprono sui fianchi escono gonne e pantaloni, sulle spalle si drappeggia a volte uno scialle.

Trapunto. Il calore e la leggerezza di un’imbottitura tecnica. Da portare con un semplice stacco di bottoni mentre caban e spolverini, ripiegati, entrano anche in una sacca.

Cappotto. Steli sottili, corolle rovesciate, scampanature. Gioco di silhouette che segna tutta la collezione … Mantelli di velluto froissé o cashmere, cappotti candidi a pieghe che ricordano certe divise militari. Nervature sul dorso come “la fustarella” greca. Caftani turchesi, pavone e violetti. Bordi di velluto blu o verde che definiscono la linea.

White Shirts. Camicie a nuvola. Gonfie casacche di organza o taffetà rettangolari, con maniche a sbuffo. Pantaloni o gonna di velluto a nervature o finemente plissettate per disegnare una figura sottile e mobile.

Preziosità. Platino in provetta, alchemico, da mago del lusso. Nel tweed jacquard si intreccia un filo di lamé che dà uno scintillio intermittente a bassa frequenza.

Jeans. Realizzati in lampasso stretch che crea effetti di goffratura, nei colori Luigi XVII: turchese, verde, smeraldo. Sopra, pullover di visone morbidissimo e sfoderato.

Oro. Rame e oro, ma più opachi e polverosi, di gusto sportivo, colati e fusi sul blouson di pelle doppiato di calda pelliccia.

Tenuta da sera. Il gioco fantastico delle trasparenze, delle ombre, dell’improvviso svaporarsi del tessuto in una rete di tulle. La giacca da smoking – severità, uniforme – diventa fluida e scompare. Restano il colletto, le maniche, parti di dorso. Scompaiono le maniche e un lembo sul davanti.

Fantasia. Dall’artefice del “Power Swimsuit”, il costume da bagno urbano, vestiti con dettaglio di tulle opaco, ma non trasparente per effetti di sovrapposizione. Inserti di cuoio che riproducono parti anatomiche, trasformati in cartigli e immersi in una colata d’oro. Una suggestione mitologica alla ‘ ….. Ferdinand Knopf, tra Minerva e guerriera. L’impressione potente di una statua rivestita di metallo e sospesa su misteriosi specchi marezzati.

dp1992ai

“Percorso tra le impressioni di un “Occidente e un Oriente che non possono essere presi qui come realtà … piuttosto si tratta della possibilità di una differenza, di un mutamento, di una rivoluzione nella proprietà dei sistemi simbolici”

(Roland Barthes)

Come in un viaggio intorno a me stesso, a ogni collezione preciso idee e sensazioni. Mi fondo nella memoria per attingere spunti, riferimenti, immagini che passano veloci come lampi. … Se viste o sognate, quasi non so, perché il ricordo le intreccia e le fa reali … Si sovrappongono certi ritratti di donne eccentriche e formidabili, veri dandy d’inizio secolo, agli splendori delle chinoiserie, romanticismi a esotismi, in una sintesi di sontuosa nettezza, di severità fastosa … Perché solo gli opposti convivono in armonia …”

Gianfranco Ferré

Vaga anglofilia del grigio che rimanda ai colori naturali, al tabacco e al rosso… Magico rosso delle lacche cinesi e rugosità delle superfici trattate come pelli d’elefante (ma è l’effetto sorprendente ottenuto da un mohair di alpaca). Quadri rossi e neri mescolati ai decori orientali… I colori dell’ambra, delle corniole, dell’oro declinati in ogni tonalità possibile.

Dal lusso depurato deriva naturalmente una foggia moderna e femminile. Una silhouette che spinge verso l’alto il punto vita, in uno slancio che suggerisce leggerezza … con la giacca ben accostata dietro, ampia davanti, stretta dalla cintura; con il tailleur elementare senza colletto, quasi senza bottoni. ..

Il morbido volume dei tessuti trapuntati regala un calore che non ha peso: con il cappotto di seta paracadute chiuso dalla zip e tagliato a coda di rondine, con le giacche rosse e arancio di jersey e velluto (indossate nel relax dei pantaloni, delle scarpe basse, della gonna sexy) … Illusioni e allusioni, intrecci. .. il nylon laccato ultraleggero dà vita a una giacca che sembra fastosa, con bordi di pelliccia.

Gli estenuati velluti froissé si mescolano al volume rude della pelliccia di marmotta, la camicia bianca pieghettata si trasforma in giacca …

Il gold si mescola alla pelle stropicciata che sembra agnello, i broccati alla colata d’oro di una gonna plissettata.

Ma nel gioco delle sovrapposizioni e delle eccentricità, il cappotto lunghissimo a vestaglia (forse genere Wally Simpson in Cina?) permette il blazer con i bottoni-scultura a testa di leone e la giacca tartan con i risvolti ricamati d’oro sui pantaloni neri. Da cadetto scozzese.

dp1991ai

“Humor all’inglese … Con quel divino tocco di eccentricità del maschile rovesciato al femminile, delle regole così esasperate da diventare eccezione, dello spirito d’avventura che mantiene il senso interiore della forma … Un vestire molto urbano. civilizzato e nello stesso tempo ironico, che gioca sulle contrapposizioni e sui rimandi. Perché disegnare una collezione per me significa anche attingere a un patrimonio costante di forme e consolidare le classiche voci Ferré: camicia bianca, redingote nera, ascot di picché bianco o di castoro rosso … Ma immerse ogni volta in un sogno diverso …”

Gianfranco Ferré

Il nitore della forma. Tonda, naturalmente sostenuta, o vicina al corpo. Con qualche accenno di silhouette lunga.

Lo strato compatto del colore: rosso e nero con tocchi di bianco. Il rosso Ferré che si mescola, si diluisce, diventa un rosa quasi fluorescente.

Il languore di abiti nati maschili. La giacca a smoking sagomata dai drappeggi invece che dalle pinces. La giacca lunga tipo marsina. Il mantello ispirato al Mackintosh da caccia, ma di gros color fuoco. Il paltò alla caviglia di cuoio scuro come un buon vino, dalla foggia da aviatore che sarebbe piaciuta ad Amelia Erhart, indossato sulla camicia di georgette. L’anorak di pelle immacolata, quasi da sci, imbottito di struzzo o stampato a piume bianche e nere.

Il senso di un calore lussuoso. Cappotto a vestaglia in orsetto di alpaca, doppiato di raso e profilato da uno spruzzo di pelliccia interna. L’argentina gigante. sempre di alpaca. Il pullover con i bordi di marabù da portare con i jeans di moiré grigio. La tuta nera con il colletto dalle dimensioni enfatiche.

La trasformazione di tessuti e disegni attraverso una magica lente di ingrandimento che esaspera e dilata: come gli overcheck dei cappotti da uomo appoggiati su una rete di ciniglia che crea effetto chevron.

La miscela alchemica di materiali e sfumature, di fogge e forme, per un bal masqué carico di misteriose allusioni. Ruche come creste, penne di fagiano per le maniche di un abito a pois quasi impercettibili. Lo scialle di nylon plissettato che sulla T-shirt si trasforma nella ruche di un animale da favola. Il point d’eprit come un soave maculato, le piume di tulle sul vestito grigio. Simili a fagianelle e tortore di una voliera fantastica.

dp1990ai

“Memorie di libri, ricordi di viaggi, favole, racconti fantastici … Il drago d’Oriente che divora la voluta barocca. .. Le terre del Sol Levante e la Cina viste da un osservatorio europeo, guardate attraverso i vetri di una lanterna magica … Ho mescolato sentimenti, immagini, cultura per arrivare a questa morbidezza orientale, a questa sintesi felice tra elementarità e opulenza. Che sboccia come una fioritura rigogliosa … “

Gianfranco Ferré

Il segno. Figura compatta, silhouette sottile dalle gonne piccole che si arrestano sopra il ginocchio e dai pantaloni svelti che si fermano alla caviglia. Enfasi dei volumi sul busto e alle spalle, ottenuti con il manicotto o il cappuccio gigante, il bavero rialzato a corona, le proporzioni dilatate del montgomery o del giubbotto. Una “ricchezza lussuosamente spoglia” – come la definiva Mallet – Stevens – caratterizza cappotti, trench, montgomery, chimoni dalla forma lineare e dal tessuto ricchissimo, rielaborato fino a ottenere una nuova specie, esclusiva e personale: doppio broccato di lana, due laminati sovrapposti, pizzi laminati accostati per conquistare una corposità che supera il concetto stesso di disegno ed acquista magica luminosità.

La materia. Un senso di pienezza, di movimento. Una plasticità intrinseca anima il grigio: stampato sulla flanella come galuchat, rivestito con il soutage, tramutato di nuovo in una imprevedibile flanella trapungendo la georgette bianca e nera. Il tricot di lambswool, spolverato da una gommatura leggera, mostra una sostanza ricca e lucida. Un tocco di tenerezza, di abbandono soffice addolciscono il beige: mosso, lavorato, cremoso. Ottenuto fondendo in un unico capo montone spagnolo e bouclé. Unendo pelouche piatto, tipico dei capi sportivi, al rat marezzato e cangiante.

La metrica. Tipica del gioco della contrapposizione, sottolinea la scelta dei colori, densi o arditi. Il blu e i verdi gemmati delle lacche cinesi accompagnano forme ampie e morbide (il cappotto con il colletto – scialle di cashmere doppio, avvolgente come un mantello; la canadienne di duchesse sui pantaloni di flanella grigi). Magici broccati doppiati e trapuntati donano uno sfolgorante splendore al trench, al montgomery, al chimono: Sfumature piene si fondono come un minerale prezioso nelle materie nobili: drap di cashmere, pitone, satin, duchesse, doppio panno di alpaca trapuntato di taffetas cangiante.

L’accento. Oro mescolato al tweed, jacquard a squame d’oro, jersey di tulle d’oro, pizzo su pizzo d’oro. Bagliori, fremiti, riflessi per la tuta di maglia con il cappuccio; per la t-shirt in tulle gonfia, per le giacche da sera con una strana scollatura arrotondata, a metà tra la marsina e la giacca da camera cinese. Una colata d’oro fuso sul tricot laccato. Febbre dell’ oro per le giacche e le t-shirt di paillettes liquide. Spirali di cordoncino placcato d’oro per i pullover. Bijoux spessi, pesanti. Bracciali che escono come guanti dalle maniche della giacca.

Il tocco. Vertigini, ebbrezze, nuvole di ricami per la sera in nero e crema. Completi che hanno la cadenza impeccabile dello smoking, con tanto di banda laterale sul pantalone: ma da portare a pelle nuda. Montgomery di duchesse lunghi fino ai piedi. Scollature abissali sulla schiena, spalle in libertà. Tuniche fluide dai colori densi o dai magici e polverosi riflessi di metalli antichi, con cappucci, sciarpe e manicotti a delinearne i morbidi volumi.

dp1989ai

“Ho cominciato a disegnare questa collezione spinto da un desiderio impreciso e fortissimo: la leggerezza, il turbinare soffice della maglia e della pelliccia, la forza silenziosa di certi colori … il beige, il nero, il bianco, il grigio,il rosso. Una gamma di tonalità classiche che mi rimandava a materie impreviste. Compatte, ma con effetti di rilievo, disegnate ma non stampate, morbide ma non cascanti … Materie che si esprimono attraverso i volumi. Giochi di assimilazione, con rimandi ottici precisi … Mi piaceva sottolineare una predisposizione istintiva all’eccentricità, ma sbarazzandola da ogni enfasi con un atteggiamento sportivo… II cappello che scende fino a coprire gli occhi perché forse non sono truccati, il trench legato da una cintura forse maschile, forse di georgette, forse una sciarpa con le frange. Le tuniche per cento occasioni, tutte beige, tutte confortevoli come djellaba … Così, lavorando, mi sono accorto di provare un profondo desiderio di serietà, ma non statica, noiosa … e che il convenzionale mi offriva infinite possibilità di intervenire in modo anomalo … “

Gianfranco Ferré

Sui percorsi dell’illusione e dei parallelismi segreti, il bianco e nero dilagano, naturalmente, nelle strisce della zebra. Il cammello pieno e denso ondeggia e si muove fino a trasformarsi in magico maculato dalle origini misteriose. Il grigio della flanella, naturalmente marezzata, sconfina nei saggi craquelé dell’elefante, fra infinite pieghe e minuscole rughe. Il marrone assume le trasparenze e la plasticità della pelle di struzzo grazie a tecniche nuove, velette, point d’esprit.

Nel segno dell’invenzione, come nel magico Henry Rousseau, detto il Doganiere, le volpi stampate e intarsiate creano naturalmente nuove pellicce a macchie. La zebra si gonfia, voluminosa, intrecciando volpi e finto pelo. La tigre nasce dal casto connubio di peli diversi. Il lapin, doppiato con la georgettè, è stampato a giaguaro.

Sul filo dell’illusione, tra fantasia e memoria, il falso vero rimanda al vero finto. Mescolato al tweed, scaglia su scaglia, il pitone forma superfici indefinite. Tagliato a strisce e applicato sulla maglia, il coccodrillo svela una natura duttile e arrendevole. Da reinventare anche con il velluto trapuntato e il gazar stampato a caldo. Sfrangiato, il pelo di Agnona borda golf, sciarpe e guanti. Intarsiata, la zebra fodera la giacca sciolta come una robe de chambre. O movimenta il trench stampato di cavallino.

Ricercando le affinità elettive tra forma e colore, la silhouette guizza compatta: tutta opaca e tutta lucida. Il grigio annega nella dolcezza del cachemire e del mohair. I classici disegni zig-zag, da uomo, hanno la nuova corposità della maglia. I toni forti, intensi, danno naturalmente slancio alla più molle delle gonne di camoscio, al trench di moiré, al cappotto – vestaglia da annodare in vita.

Ripensando all’ eleganza di una sera d’inverno, la camicia, in crêpe de chine, ha scolli, aperture, varchi come fosse sempre sul punto di scivolare. La gonna di gazaar, a coccodrillo o a pitone, completa la T-shirt minima, più preziosa di un gioiello. Il vestito scivolato ha il colletto simile a una sciarpa ad anello. Il cappotto di taffetà cangiante, bordato di pelo, si porta come una stola, appoggiato basso sulle spalle.

dp1988ai

“Affiorano due umori in questa collezione, due desideri che sembrano opposti e invece mostrano punti sotterranei di contatto. Il bisogno di nitore, di una precisione elementare dei contorni e il desiderio di un guizzo imprevisto … Un tocco di civetteria infantile, un languore che sembra nascere da un sogno, la memoria di vecchie fiabe … C’é la volpe che corre dappertutto, dall’orlo del cappotto alla cintura. Ci sono il lampo di un paio di scarpette rosse e il candore delle camicie. Ci sono la ricchezza un po’ stazzonata dei velluti, l’opulenza dei broccati e delle spille di ottone brunito … Per un senso di gioco, per affermare una libertà di gusto e di ispirazione. Infatti mai come oggi l’immagine mi appare svelta, morbida, vivace. Nitida”.

Gianfranco Ferré

Forme elementari, ma con un guizzo di infantile civetteria. Sempre la camicia bianca, sempre il candore di un polsino, lo sbocciare di un colletto; sempre il tocco di una pochette ricamata.

Giochi di abilità, come il rincorrersi delle parole in una sciarada. La volpe che orla il cappotto di lana cotta può diventare la cintura di un pullover, bordare il tricot di cammello, diventare il trompe-l’oeil di una giacca. Il fazzoletto che sprizza dal taschino diventa un pizzo; il pizzo diventa una giacca – però nera e gommata – o si ingigantisce fino a trasformarsi in uno strascico…

Impreviste morbidezze. Il trench: ondeggia per il taglio a godet, lo sweater sportivo si allarga dolcemente sopra la vita.

Contrasto del montone red and black per il giubbotto tipo ussaro, lucentezza del cavallino nero per trench e tailleur; provocazione del coccodrillo stampato sul montone.

Gusto dandy per la giacca simile a una lunga marsina; per il cappotto stretto e il trench punteggiato da bottoni d’oro; per la giacca di broccato contraddetta dai jeans di camoscio stinto.

La coincidenza tra aspetto e contenuto. Ogni forma ha il suo tessuto, ogni tessuto ha il suo colore canonico. L’alpaca, il montone ultramorbido, il cashmere variano dal burro al caramello. Lane pettinate, gazaar e raso splendono nei toni dei rossi: immancabili – ricorrenti – nero, blu e bianco.

N. B. Ci sono tecniche elaborate in questa collezione. Il velluto di cotone e viscosa è lavato per ottenere pieghe e ammaccature, il pizzo immerso nella gomma. Le stoffe sono doppiate, il taffetà cangiante incollato. Per ottenere l’effetto sorprendente di un’ eleganza trasognata, immersa in una specie di incanto.

dp1987ai

“Leggere la norma in chiave eccentrica, ottenuta attraverso contrapposizioni di forma e materia, forma e colore. Un dandysmo stilizzato: più la linea è depurata, più il linguaggio si affida alla decorazione. Un’eccentricità che diventa elettricità, fa sprizzare la silhouette. Ora per un colore, ora per un allargarsi di pieghe, che sbocciano per un gesto improvviso e deliberato … “

Gianfranco Ferré

Rapporti eccentrici tra materia e forma. Il cappotto di maglia inglese, (come i pullover di cashmere) sopra il più formale dei tailleur blu. Il paltò simile a un opulento accappatoio: in vera spugna di lana merinos, con i bordi ricamati e il monogramma, accostato a quell’insieme canonico che sono i pantaloni e la camicetta di cadì blu. Il tricot e il jersey di mohair garzato, con i bordi giganti di lupo per combinare un particolarissimo twin-set.

Rapporti eccentrici tra forma e colore. Il cappotto genere Chesterfield sconcertato dal cashmere color Mazarino. Oppure il paltò di cashmere blu ultraleggero, doppiopetto, infilato sul completo tipo pijama.

Eccentricità dei volumi. Una forma-cupola a tutto tondo, ottenuta in parte con i materiali gonfi, in parte con una costruzione naturale di pieghe: legata a una tonalità pura, il porpora, o a un jersey compatto e granuloso.

Eccentricità dei rapporti tra classico e opulento. La pelle saffiano per le giacche corte, i cappotti doppiati con i tessuti a pelo alto di Agnona, il materiale prezioso e la forma elementare. Le giacche di foggia diversa, impreziosita da cinque bottoni gioiello, uno diverso dall’altro. Oppure decorate con spille vittoriane. E in sovrappiù, un colore nobile e fastoso come il porpora. Le giacche percorse da motivi in rilievo di passamaneria dorata, quasi un ricordo indefinito di esercito e divise.

Eccentricità dei rapporti tra linea e decorazione. Sulla giacca di velluto di seta stampato a mano, mauve, polsi di volpe della stessa sfumatura. Sul pullover, la sciarpa profilata di lupo. O lo scialle porpora di velluto Gallenga. Sul dorso dell’ abito diritto e blu, un ventaglio di plissé bianco. Come sul giacchino color carbone, portato con la t-shirt e i pantaloni da smoking blu. Sull’impermeabile di canneté, che, slacciato, rivela l’interno di plissé, i bordi di volpe nera.

Eccentricità della semplicità. La scarpa a pantofola, piatta, esagerata da un fiocco o da una fibbia. Il tacco a rocchetto. Il velluto e il tessuto-pelliccia, il saffiano e il pitone colorato. Il vestito pullover per le sere austere, lungo, nero, interamente abbottonato sulla schiena; da aprire all’orlo, o al collo, fino ai limiti personale del pudore. Ma anche da tenere vistosamente allacciato.

Convegno “Archivi d’Impresa: Memoria e Patrimonio”

Domenica 5 Aprile 2009, a Schio, nello Spazio Lanificio Conte, si è svolta una tavola rotonda sul tema “Archivi d’Impresa: Memoria e Patrimonio”, nell’ambito del Festival delle Città Impresa. Moderatore il prof. Mario Lupano, docente dell’Università IUAV di Venezia.

Il Direttore Generale della Fondazione Gianfranco Ferré, Rita Airaghi, ha presentato gli obiettivi e le prossime attività della Fondazione stessa e illustrato la metodologia del lavoro di archivio.

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L’ispirazione: la metropoli, il suo fascino, il suo movimento, i molteplici impegni che il vivere in essa comporta: la silhouette che vi si muove è morbida, geometricamente rigorosa …

La collezione recupera, perché sempre validi anche in questa nuova immagine, alcuni “pezzi” dell’ultima stagione, mutandone colori e materiali, che diventano così dei “classici” della linea Gianfranco Ferré.

Vengono proposti, in tutti i materiali usati capi che rispondano alle più svariate esigenze ed attitudini: dinamici per gli impegni del giorno, divertenti, diversi, in qualche misura alternativi quelli per le lunghe serate. Così, in pelle, sono presentati blazers, princesses o due pezzi in leggera suède, 3/4, 9/10 e cappotti in montone o nappa riscaldata da fodera imbottita a piumino per il giorno e brevi giacche di pitone per la sera.

Anche in maglia la proposta è ampia: dai cardigans a blazer imbottiti, in angora e misto cachemire, ai tween-set bicolori con collo a cagoule o a sciarpa, dai morbidi abiti indossati con giacconi 9/10 di cachemire e raso trapunta, ai pull-over a grossi patch-work in lamé, rayon e cachemire, agli abiti per la sera in cachemire, flanella e velluto pané. Per il tessuto: tailleurs in lana pettinata da uomo, pesanti e corte giacche a sacchetto, giacconi 7/8 e 9/10 in velours, cappotti a loden, a raglan mono o doppio petto) e classici mantelli a kimono, abiti a tubo in crêpe di lana e  camicie in mussola di lana o grisaglia di vaiella per il giorno; e per la sera bluse in crêpe de chine e raso e completi in ottoman e georgette con corte giacche e gonne voluminose. lnfine anche nella pellicceria capi per i l giorno, quali giacche a 3/4 o 9/10 in castoro, in opossum a pelle intera, in gatto selvatico ultraleggere e impermeabili; giacche a patchwork,  e volpi lavorate a piumino per la sera.

Le linee: la silhouette appare più ridimensionata rispetto al passato e sono  accentuati la linearità e il rigore geometrico, senza perderne la morbidezza, grazie a diverse soluzioni tecniche: dalle spalle alla vita la linea è sottolineata da pinces o tagli a triangolo, per cui nelle giacche e nei cappotti a trapezio si avvolge maggiormente al corpo o vi si gonfia addosso nei giacconi lineari dalle spalle tonde. Le maniche tendono ad assottigliarsi verso il fondo ed i colli sono piccoli, talvolta sostituiti da effetti di incroci verso la nuca. Le gonne diritte si aprono al movimento grazie alla funzione di pieghe diversamente modulate, aperte verso l’orlo, o sul fianco o dietro. Le lunghezze scendono appena sotto il ginocchio.

I colori: grigio – rosso – nero nelle loro sfumature dovute alla peculiarità dei materiali usati, si accostano nei gessati, nei pied-de-coq, nei principe di Galles o nelle più fantasiose disegnature arlecchino.

Gli accessori, tutti disegnati da Gianfranco Ferré: cinture di elastico intrecciato, pochette o sacchette di pelle con profili di canneté, borse di forma geometrica e divertenti buste in tessuto per la sera. Anche per le calzature (realizzate da Guido Pasquali) è rinnovato l’uso del tessuto per la classica decolleté, riproposta anche in pelle stampata, usata pure per i polacchini a tacco alto con interno colorato e per le scarpe da casa alla caviglia, senza tacco. I foulards sono in seta ed in georgette, a disegnatura arlecchino (realizzati dai Paralleli) Calze colorate in lana leggera di Rede. Guanti bicolore. Acconciatura di Lella. Make up di Helena Rubinstein.

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“C’è molta tranquillità, molta. calma interiore in questa collezione, molta cultura nel senso di comportamento acquisito. Perché l’aggressività, il bisogno di affermazione, la disinvoltura programmata appartengono al passato, sono state macinate lentamente e assorbite solo quanto basta e si sente necessario. Mentre oggi riaffiora un senso di quiete e di semp1icità, che si traduce nel comfort per il comfort, nella scelta spontanea di ciò che piace, sia l’espadrilla di cinghiale ricamato sia la décolleté a scultura, che mescola la zeppa con il tacco. Niente è innaturale o artificiale. Anche i lembi che si piegano, si drappeggiano, si avvolgono intorno al corpo nascono da gesti semplici, istintivi…. Con un nitore che ricorda certe discip1ine orientali …. Così mi sembra che questi abiti alludano a qualità particolari: l’individualità, l’intelligenza, l’autonomia. Come se dicessero: la moda sei tu”.

Gianfranco Ferré

E’ il momento di scegliere liberamente e con naturalezza: le giacche smilze più corte dietro più lunghe davanti, per un effetto verticale e sfuggente.

Le giacche oversize di georgette pesante: quasi una camicia da uomo con effetto di pieghe invisibili sotto il cannoncino, da abbinare alle camicie in garza di cotone.

I pantaloni morbidi,  comodi, abbondanti con tasche tagliate tra le pieghe, in tessuti inediti: taffetà di seta, popeline di seta, fiocco di cotone. La giacca affidata alla spontaneità di un nodo che raccoglie l’ampiezza, davanti strizzato, dietro blusante. La tunica dritta con il pannello sovrapposto, che crea drappeggio semplicemente infilando le mani in tasca. L’abito dinoccolato e spoglio, con la sopragonna a pieghe in mezzo sbieco, non stirate che ondeggiano al passo. Pullover rettangolari, il collo a occhiello, da infilare con sovrana indifferenza: davanti o dietro non importa, ricadranno mollemente in scollature abissali. Le gonne giganti da annodare a fascia e lasciar spiovere in pieghe centrali. I costumi drappeggiati in pieghe minute e naturali (effetto della sovradimensione della lycra). Il cervo double face  per i camiciotti dalle spalle sostenute ma spioventi, con il bordo a sciarpa di seta per annodarlo più strettamente.

Le nuove formule del nero: la gonna di marocain appuntita e allacciata fittamente come un gilet, con la camicia da smoking di organza trasparente. Il vestito bustier, sempre con le doppie punte e l’allacciatura fittissima con il fazzoletto infilato nelle tasche, o che sbuca alla cintura, o che ricade sul dorso (è il dettaglio rivelatore della stagione). I pullover o le canottiere a coste in filo d’oro, i cardigan e gli sweater di marocain come le gonne etniche. Gli stampati vortice a disegni concentrici, la spugna di lana e seta, la garza di cotone “inamidata” la fiandra, la doppia-seta tinta in filo, il lino tessuto a trama larga, rubato alla collezione uomo, seguendo due gusti opposti ma non contrastanti: tessuti morbidi e sfiniti, tessuti scattanti e fruscianti. I colori opachi e densi, come il blu unito al marrone e al nero.

I colori energetici da bonzo tibetano, giallo e arancio

I colori spirituali, bianco assoluto, bianco relativo e sabbiati.

PER UNA COLLEZIONE ZEN (Da leggere, volendo , secondo la massima zen “Nel camminare, camminate. Sedendo,sedete. Soprattutto non tentennate”).

Convegno “Archivi della Moda del ‘900”

Lunedì 12 gennaio 2009, a Firenze, nella Sala Bianca di Palazzo Pitti, è stato presentato il progetto “Archivi della Moda del ‘900”, elaborato dalla Associazione Nazionale Archivistica Italiana – ANAI e dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Alla tavola rotonda che ne è seguita, sul tema “Il sistema moda italiano e la valorizzazione della sua memoria” è stata invitata a partecipare anche la Fondazione Gianfranco Ferré: il Direttore Generale Rita Airaghi ha esposto i criteri ispiratori della Fondazione stessa, che ha come scopo principale la creazione di un archivio di facile consultazione che raccolga ed organizzi i documenti relativi ai trenta anni di attività di Gianfranco Ferré. E’ stato illustrato il software grazie al quale saranno immessi nel data base materiali di svariata natura. (testi, PDF, immagini, filmati, files audio, schede tecniche).

Milano, 12 gennaio 2009

dp1984pe

“Sinuosa ma con ironia, seria ma ammiccante, un guizzo di umorismo … Mi piacerebbe dire “bentornata” a questa donna per cui ho disegnato la collezione. E’ stata mia complice nei viaggi, ha condiviso scoperte di climi e di colori, si è appassionata alle stesse avventure. E’ libera e consapevole… Indossa le forme più semplici, ma le serra strettamente sui fianchi, una fascia altissima, impunturata, che schizza la silhouette e suggerisce movimenti felini.

Sceglie la giacca maschile per una forma di sicurezza, per riconoscersi in un classico, poi la smentisce con una cravatta gigante a pois che ha la stessa funzione del top. E si diverte a mescolare le carte… Infila pullover con scollature abissali, alterna il lungo-lungo ( 80 centimetri) al lungo che copre il ginocchio… Assomiglia un po’ alla compagna di Finch-Hatton, il grande cacciatore, un pò alla protagonista di una canzone di Frank Sinatra, The lady is a tramp. Ha questo gusto vagabondo nel mescolare pezzi e objets trouvés, che ha imparato ad apprezzare in India o in Africa … Ma depurati, filtrati. In un certo senso purificati ” .

Gianfranco Ferré

Ritrovare nuovi concetti e nuove parole dell’abbigliamento.

I drappeggi.

Sono la soluzione imprevista per il colletto, ora sul dorso ora sul seno: un risvolto misteriosamente tubolare illanguidisce la forma a T, spoglia e diritta, degli abiti, mentre spesso lacci piatti, a bretella, si incrociano a grata e mimetizzano la scollatura.

Le canottiere.

Invece delle camicie, ma insolite, bizzarre. Strutturate con tagli sbiechi, fasce, pieghe, evitando l’eccesso della ricerca, del disegno per il disegno.

Il doppio.

Mai credere ai propri occhi: sotto il caban si muove liberamente una fodera di seta. Il blazer, spalle energiche, cintura-bustino, si rispecchia nella giacca ingrandita tipo spolverino. La giacca-blusa, sciolta e leggera, si infila sotto una giacca-giacca fotocopiata.

Il trench.

E’ un vestito, una cintura, una situazione: un abito di gabardine dalla gonna sagomata e sfuggente, ampi revers, e una cintura alta 15 centimetri per strizzarlo in vita.

L’argentina.

Lunga, ampia, di camoscio, con il bordo in tricot alto più di una spanna, che ripiegato mostra tinte contrastanti.

La giacca tipo Ascot.

A quadretti, in grisaglia, spina pesce, con un gilet allusivo e una gonna che sfiora la caviglia a disegni cravatta ( ma per la sera ).

Il pijama.

Languore, morbidezza, estetismo della giacca in doppio marocain bianco, della canottiera di raso, dei pantaloni molli, disegnati in vita da una fusciacca preziosissima.

La leggerezza.

Quasi un manifesto programmatico: contro tutto ciò che è rigido, pesante, sostenuto. Le garze sono aperate, lo shantung è impalpabile, la crepella di lana sottilissima ( mentre la mano, ingannevole, suggerisce corpo e sostanza ), il crêpe de chine a doppia frontura imita un effetto di righe maschili, la gabardine pesopiuma, sfoderato, è unita alla nappa setosa tipo camicia.

La Revue Nègre e una vaga allure Joséphine Baker, quando furoreggiava nel music-hall e tutta Parigi scopriva l’arte, la musica nera. Disegni bengala positivi e negativi che arrivano a declinazioni di blu impolverato, il blu che si mescola al grigio pietra e al viola. Le gamme del mastice. Il fucsia, l’arancio, il corallo nelle sfumature fredde delle sete a tintura vegetale.

” Amo la regola che corregge l’emozione”

Georges Braque

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La primavera, e soprattutto l’estate, invitano alla scioltezza ed al relax, ma secondo Gianfranco Ferré l’eleganza e la raffinatezza sono componenti senza stagione del vestire femminile. E quindi essenzialità, ricerca, nella costruzione, di nuove dimensioni, amore per il dettaglio più accurato sono la matrice dalla quale scaturisce anche la nuova collezione Primavera Estate 82.

E allora, per ottenere eleganza e raffinatezza, Gianfranco Ferré mischia i colori classici con spirito nuovo, adottando senza ritegno il blu e il bianco, accompagnati da tocchi di giallo, di rosso e di verde – i colori primari – trasformati in lucentezza dall’uso di materiali diversi; taglia i capi sottolineando le linee del corpo, crea nuovi effetti dimensionali intervenendo con particolari strutture della manica o con nuove ampiezze del pantalone, allunga la figura facendo scivolare il punto-vita, rinnova l’importanza del collo creando nuove forme con soluzioni o di assoluta rigidità o di morbida casualità; contrappone materiali diversi taffettà e camoscio, seta selvaggia e nylon, pelle laminata a crêpe di seta, organza e piquet di cotone, senza dimenticare i “classici” ottoman e gabardine di lana, popeline di cotone e lino.

Abbiamo detto eleganza e raffinatezza, aggiungiamo anche glamour: é l’”effetto parata”,che accompagna ogni proposta della collezione enfatizzato da certi particolarie suggerito dagli accessori, tra i quali spiccano le alte fasce di canneté colorato e le cinture finite da placche d’argento.