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Fondazione Gianfranco Ferré – Pagina 5 – Archivio online della Fondazione Gianfranco Ferré

up2004pe

“Ho un obiettivo dichiarato e costante: definire e declinare un’eleganza distinta, fatta di nitore, di pulizia e di una sana precisione, secondo le forme di una mascolinità moderna, che si muove negli orizzonti dell’uniforme. O meglio, delle uniformi, quelle del lavoro innanzitutto, con la loro funzionale scioltezza. Nulla di irrigidito, costrittivo, troppo formale. E’ per questo che ho disegnato una nuova silhouette con spalle non costruite ma volutamente e agilmente anatomiche, linee asciutte e smilze, che diventano un bel po’ più ampie nei pantaloni, giusto per dare comodità. Ne deriva uno stile solido e virile, che io interpreto come un modo di essere: mai sopra le righe, mai oltre i limiti, mai ostentato e perciò naturalmente donante, equilibrato, autentico.

Per dare vita e scandire questo atteggiamento pacato e impeccabile, sono partito da un gamma di materiali e di colori dalla rassicurante raffinatezza. La lana cruda dei caban di un blu opaco e fondo, che rimandano ad una tranquilla vita da barca, ad una crociera tra Mare del Nord e Baltico, tra Sylt e Travemünde. La gabardine cinese molto battuta, sempre blu, oppure nera. Ancora il blu e il nero del cotone tinto in filo per polo e sweaters. La tela, tra avorio e crema, della divisa da muratore. Il denim ipernaturale del jeans indaco sotto la maglia lavorata a fettucce. Il taffettà nero del giubbino-k-way. Il tessuto light gessato, da camicia, del completo dall’àplomb singolare. La seta ed il lino delle camicie bianche, con il collo stondato e allungato a coda di rondine.

Ho fatto in modo che anche le variazioni alchemiche della materia, l’architettura dei capi, i segni speciali rispondessero ad una logica di rilassata ricercatezza, direi persino di gentilezza. La pelle dei giubbotti ha il peso e la duttilità di quella dei guanti e proprio ai guanti i giubbotti rubano un po’ anche la costruzione, con le nervature, le cuciture, le impunture che li percorrono per il lungo. Le maglie sono sottili, sembrano fatte per essere piegate senza dare ingombro e, in effetti, se si piegano, quasi non hanno volume. In certi casi, sono in filo di Scozia, quello dei calzini, aperti e giuntati tra loro. Nelle cravatte in maglia di seta beige e nero o bianco e nero – da portare allentate – ma anche nelle giacche stampate in marocain e nei completi i grafismi rivelano un rigore nobile, di ascendenza importante, quasi colta, che applica i principi delle Wiener Werkstätten. La lezione sublime e modernissima di Adolf Loos, Josef Hoffmann, Kolo Moser. Minutamente preziosi, i ricami, gli intarsi, i motivi a farfalle esotiche o a campanule decorano le camicie in versione sera: sempre ed assolutamente candide, da abbinare al pantalone non meno candido, preferito perché più anticonvenzionale di quello nero da smoking.

Solidità, leggerezza, eccentricità: nel guardaroba del mio educato e riservato gentleman definiscono – è quasi superfluo precisarlo – anche gli accessori. Come i mocassini: ultraflessibili, bicolori, magari in stoffa lavorata a jacquard, con la suola di bufalo…”

Gianfranco Ferré

up2003ai

“Incantato dall’idea dell’inverno, mi sono lasciato conquistare da immagini e storie di alta quota, di sfide, di vette e ghiacciai. Con l’intenzione di riportare alle casistiche da città certe fogge e soluzioni, certi segni di energia ed immediatezza tipici del vestire delle realtà dal clima aspro. Così, ho avvicinato idealmente luoghi lontani sulla carta geografica d’Europa. Pensando ai Pirenei, ho disegnato grandi cappotti trapuntati all’esterno, o paltò in pelliccia ruvida, né nappata né doppiata, tinta in kaki o in verde scuro. Immaginando un viaggio nelle Alpi, ho abbinato la giacca rilassata e chic di panno cotto – bianca o nera, da portare con la sciarpa candida – al pantalone, che è preciso oppure, all’opposto, risulta enfatizzato, anche per la pratica capienza delle tasche. Mentre i pullover sembrano tricottati a mano, oppure sono ricamati, fatti in una lana-stuoia dall’aspetto vissuto, aderenti sotto le giacche e i cappotti, o invece abbondanti e diritti come gli ski-sweaters di un tempo…

Il risultato è una collezione sensata ed equilibrata, che lascia trasparire con immediatezza le ragioni per cui il guardaroba maschile è fatto di certi capi e di necessità precise. Prima tra tutte quella di declinare anche le tipologie più classiche del vestire urbano con la scioltezza di uno spirito sportivo. Un’intenzione di facilità che ho applicato, per esempio, al chesterfield, destrutturandolo senza per questo annullarne l’àplomb, riscaldandolo con l’interno di visone rasato a prova di grande gelo…

Questa ricerca di morbida disinvoltura mi ha portato a rileggere certi rapporti, ad evitare assonanze scontate tra abito e corpo. Se il capo è sportivo, non è detto che debba essere aderente: al contrario, può acquistare volume e dimensione, come il caban di nylon imbottito da pieno inverno, che conserva la struttura squadrata del montgomery, anche se è tagliato sopra la coscia. Mentre la giacca e il completo formali – in tessuti decisamente maschili: flanelle, gessati, lane spinate e diagonali – sono accostati alla figura e la segnano con agilità perché hanno le spalle piccole e insellate, le forme carenate sul torace, la vita assottigliata. Rivelando interventi ed accortezze di puro sapore sartoriale…

C’è una volontà di solidità e di pacatezza che si mostra anche nei colori: oltre al bianco – che ritengo una tinta ricercata – e al nero, il greggio, il verde pino, l’antracite, con colpi e guizzi squillanti di turchese o rosso lacca che ricordano le decorazioni degli alpenstock. Sono solide, se pur di linea affusolata, anche le scarpe, con la suola alta e corposa ma non grossolana, in cuoio e microfibra, per dare stabilità e isolare dal freddo…

Ed è sensato ed equilibrato anche lo spirito del vestire da sera. Perfetto perché elementare: un cardigan nero in cachemire, sciolto e ipermorbido, sopra il gilet di piquet e la camicia immacolata…”

Gianfranco Ferré

up2003pe

“Da sempre, mi avvicino allo stile maschile con un approccio che non esiterei a definire di educazione al vestire. Il che significa, certamente, rispetto delle regole, indicazione di norme, applicazione di codici, ma che oggi, soprattutto, traduce un modo naturale di essere, un senso profondo di agio che sottolinea una propensione decisa alla discrezione ed al comfort.

In questo mio nuovo progetto di pacatezza e misura si esprime al massimo grado un’immutata logica di eccellenza che trova il suo lessico più evidente nella qualità assoluta delle materie. A partire da lino e seta, che ho voluto di mano corposa e naturalmente meno sofisticata, sfruttando la trama grossa e in rilievo per accrescere la scioltezza e la fluidità dei capi. Mentre per la lana ho scelto varianti prossime all’assenza di gravità per trasformarla in un autentico tessuto da estate. E per la pelle, versioni particolarmente duttili e prestanti.

In un gioco di assonanze del tutto spontaneo, ho calibrato le forme sulle caratteristiche intrinseche della materia. Ho tradotto le aderenze nette soltanto in materiali elastici, addirittura ultra-elastici, che segnano il corpo più per un bisogno di tonicità e di agilità che non per una volontà di ostentazione. All’opposto, i tessuti a trama allentata – che mi piace definire laschi – mi hanno permesso di concepire fogge più strutturate, anche se mai sovradimensionate e sempre nitide. Con la garanzia di un aplomb sartoriale, preciso e facile, evidente nel completo formale, da portare, ovviamente, con la cravatta.

Altrettanto logica, anche se per nulla ovvia, è la scansione dei colori, che mi ha portato a privilegiare tonalità intense, intenzionalmente conservative, molto maschili: testa di moro, blu marine, brique che, a sorpresa, si oppone al grigio nell’abbinamento giacca-pantalone. Anche il rosso, quando c’è, rivela una profondità speciale. Quasi per reazione, ho trovato necessario attenuare questa densità con squarci di chiarore, forti e delicati insieme. Così, per accrescere la freschezza del summer suit, ho sfumato il bianco nelle più naturali gradazioni del crema, conservandolo invece in tutta la sua luminosità nelle camicie da sera in organza di cotone intagliate ad a-jour e nei tuxedo candidi.

In un percorso più istintivo che ragionato di sintonie e rimandi, ho interpretato nel segno dell’immediatezza tutti gli elementi e le tipologie del guardaroba, sino agli accessori, prestando la consueta attenzione al piacere dell’unicità e della novità. La maglieria offre la discrezione raffinata di polo e T-shirt in seta e seta-cachemire, ultra-easy e ultra-light, come se fossero nate per vivere sotto la giacca. Le scarpe sono rigorosamente stringate, ma non danno il minimo senso di costrizione, perché sono sfoderate, appoggiate su una suola pressoché priva di spessore, bicolori. Gli occhiali – appena nati, ipertecnologici, esclusivi – sono in magnesio, un materiale che ha il peso di una piuma, è completamente anallergico, non inquina… Perché il benessere è una componente essenziale di questa nuova, sostenibilissima leggerezza dell’essere. Che mi sembra applicare, in qualche modo, una delle più belle regole di Mies van der Rohe: “Vogliamo restare con i piedi ben saldi per terra, ma avere la testa tra le stelle “.

Gianfranco Ferré

up2002ai

“Quando ho cominciato a disegnare la collezione, a scandirla per momenti ed occasioni, mi sono accorto che prevalevano suggestioni di libertà e di essenzialità, rafforzate dalla volontà di rileggere le formule abituali del vestire in un’ottica di scioltezza e di solidità. Per questo, ho voluto correggere la natura formale di certi canoni con accenti sportivi ed una propensione spiccata al comfort, che si traduce in una linea più comoda e dettagli di intelligente praticità. Così, la giacca in tweed bianco e nero è dotata di un gilet attrezzato, tasche a soffietto rifinite con precisione, soffietti a carniere sulla schiena. Il gilet, costruito con rigore e perfezione, è però in tecno-pelliccia e si infila sopra la giacca senza intaccarne l’agilità.

Per sciogliere ancora di più le forme, ho svuotato l’interno di spalline e imbottiture, lasciando soltanto una leggera arricciatura alla spalla, che dà alla linea della giacca un’assoluta naturalezza. Nella logica della radicalità, la giacca risulta dichiaratamente oversize: non semplicemente larga, ma almeno di un paio di misure più ampia, se si porta con il pullover a collo alto. Oppure è decisamente asciutta e snella, fino a sembrare una fodera sul corpo, virata in tinte pastello che mi piace definire austriache, perché mi ricordano quelle delle ceramiche e dell’Augarten Porzellan.

Superando tipologie scontate – soprattutto blouson, parka e giubbotti – ho fuso in modo insolito il formale e l’informale, attribuendo dotazioni tecnico-sportive ai pezzi iperclassici del guardaroba. Sottolineando, al contempo, la necessità di coprire, riscaldare, proteggere dalle temperature sottozero. Ho imbottito, per esempio, il consueto paltò da città, trasformandolo in cappotto-piumino, che sia di cachemire Principe di Galles, che sia di tweed, o gessato bianco e nero, con l’interno in materiale termoisolante. A prova di grande freddo, ho imbottito anche le giacche in tessuti più leggeri. A sorpresa, ho realizzato il paltò sartoriale in denim, associandolo al pantalone di velluto stretch, che sembra solcato da pieghe e striature dovute all’uso. Ho coibentato il camoscio per lo scarponcino che ricorda le vecchie scarpe da basket ed ha la suola in gomma abbastanza alta da creare un’ulteriore barriera contro il gelo.

Con volontà deliberata, ho accostato segni di normalità, dichiarazioni di eccentricità e manipolazioni alchemiche. Ho mescolato il nero al grigio in maniera desueta anche se volutamente rigorosa. Assortendo flanelle e cachemire, li ho privilegiati insieme al velluto, che offre il piacere ed il vantaggio di superfici più dolci del normale cotone. Ho voluto i loden tradizionali in sfumature marroni e grigio nebbia, ma anche i velluti e i fustagni in versione tartan, avvicinati a stampe mimetiche in cavallino, vagamente absburgiche. Ho abbinato alle severe giacche da sera blu notte con i revers alti e chiusi i cappotti di grossa tela di cotone stretch imbottiti di pelle bordeaux. Insieme a cravatte e maglie finissime che paiono lavorate ai ferri, sciarpe in visone stropicciato ed appiattito dal lavaggio, soprabiti in seta foderati con la pelliccia di castoro traforata ed aerea.

Sono i segni di un’eleganza personalissima, che mi richiama alla mente certe immagini di Gustav Mahler, ritratto con le mani in tasca sotto le arcate dell’Opera di Vienna. Oppure stretto nel cappotto scuro, mentre attraversa la Piazza della Città Vecchia di Praga sferzata dal vento. E forse dalla Storia…”

Gianfranco Ferré

up2002pe

“Tutta la collezione dà voce a un desiderio di semplificare, di arrivare alla radice di ciò che è necessario, elementare. E insieme risponde a un desiderio di luce, di solarità che percorre il formulario conservativo del vestire maschile. Con forme vicine al corpo e dimensioni mai eccessive, colori tenui e misurati che si aggiungono alla severità del nero.

Nell’interpretare gli elementi tipici del guardaroba da uomo, ho concesso spazio a nicchie di pacatezza e naturalezza. Così, ho eliminato volutamente dal militare ogni enfasi army, preferendo esprimermi con tocchi calibrati: camicia kaki sul pantalone di bisso, pantalone extawide con il blazer di lino nei toni dell’indaco smerigliato. Oppure il blu denim per i pantaloni e qualche camicia, stupefacente perché in tussah selvaggio sdrucito e macchiato.

Segnando ogni passo con l’impronta della qualità e del lusso, ho voluto rileggere la durezza e l’energia del giubbotto da motociclista: vissuto, invecchiato, chiazzato di fango, ma preziosissimo perché realizzato in anaconda, coccodrillo, nappa, virati a sorpresa nei toni soffici del rosa, beige, cammello, grigio. Allo stesso modo, ho stemperato la rude praticità della giacca attrezzata da pilota d’auto con la seta paracadute doppiata in jersey, con la nappa ultralight accoppiata ala viscosa e alla seta. E per liberarla dalla logica della stagionalità, ho infilato la giacca di cachemire sopra la semplice T-shirt.

Ma ho anche sentito e sottolineato la volontà – meglio sarebbe dire la necessità – di una fuga colorata, da Manhattan a Hermosillo: con la camicia candida di lino tropical che sarebbe piaciuta ad Edward Weston, solcata e decorata da mille cuciture grafiche. Con il pigiama dalla giacca a guru nei colori della Sierra Madre su cui, con noncuranza, si gettano vestaglie e caftani messicani (“chapan”) a fantasie caleidoscopiche che paiono rubate ai murales di Diego Rivera.

Nel gioco tra ordine e disordine, mi sono mosso per incisi e contrappunti. All’assolutismo del pullover nero a collo alto ho reagito specularmente con la leziosità della camicia a bande di lino e organza ricamate. Al perbenismo del completo con il gilet di seta a microchecks bianchi e neri ho opposto l’eccentricità dello spolverino nelle sfumature del mastice rosato sopra l’abito negli stessi toni abbinato alla camicia nera, oppure la nonchalance con cui si porta il vestito di lino rosa. Alla pratica spontaneità delle scarpe ginniche ho accostato tinte e materie raffinate. Nella logica dei rimandi e delle allusioni, il polacchino da globe trotter, che sembra strapazzato dall’uso e dall’avventura, rivela un modo di essere, un modo elegante e appassionato di partecipare alla vita…”.

Gianfranco Ferré

up2001ai

“Le uniformi sono lo sportswear del ventesimo secolo”.

Diana Vreeland

“Stiamo anche molto bene con la nostra uniforme e questo ci separa dalla disgrazia di quella gente che va in giro con i propri vestiti”.

Robert Walser, “Jakob von Gunten”

“Mi sono sempre piaciuti gli uomini in divisa e a te sta che è un incanto”.

Mae West

“Rappel à l’ordre: bisogno profondo, istintivo di regola, di disciplina. Di creare una propria uniforme sentendo fortissimi il richiamo e la memoria della divisa. Essenziale e ricercata, austera e sontuosa, chiamata per vocazione a esprimere potenza e vigore anche fisico. Divise imperiali, divise formali: Federico il Grande e l’Armata Rossa, Stalin e i Dragoni della regina Vittoria. Questo desiderio di tradizione mi ha portato a puntualizzare forma e costruzione della giacca intesa in chiave sportiva, connotata da tagli incisivi e da nuove pinces inclinate sulle spalle e sul collo, che imprimono carenature più marcate. Un tocco impeccabile, che ho voluto mediare sottolineando l’approccio attuale al vestire maschile, mai programmato, mai precostituito, sempre fortemente individuale. Spezzando la severità con la ribellione di certi accostamenti, come lo smoking con il parka lucente a stampa mimetica, foderato di pelliccia.

Ho individuato, per accentuare la virilità e la serietà dei capi, una gamma precisa e raffinata di tessuti d’alta qualità e di colori maschili. Miscele dense e classiche di verdi foresta, grigi, blu, ma anche toni d’autunno potenti e aranciati, cammelli chiari e pastosi, il nero, burgundy e blu dei cappotti da sera lunghi e corti, scanditi da camicie, candide oppure colorate in un effetto tono su tono. Materie che conferiscono prestanza anche ai capi meno formali: cover garzato all’interno, alpache pressate, flanella di cachemire. Perfino astrakan selvaggio per i cappotti a vestaglia.

Nella sartorialità rigorosa ho trovato logiche e risorse che danno un senso straordinario allo stile. Come nei capi doppiati in pelliccia, utilizzando visoni d’epoca, rasati in modo inconsueto per gli interni caldi e mascolini. Nel piccolo cappotto di cover color pietra, un po’ gendarme, un po’ dandy, perfetto perché asciugato, stilizzato, alleggerito di ogni particolare superfluo. Nella marsina da cadetto ravvicinata al corpo e percorsa da una rete fittissima di impunture da interno, che diventano visibili e decorative.

In una ricca, sontuosa definizione dei dettagli ho concentrato fantasia, passione alchemica, gusto per i viaggi incantati. Rimescolando latitudini, sovvertendo climi, inventando una virtuale, magica fauna artica. Per il giubbotto da aviatore, opossum australiano schiarito che ricorda la volpe dell’Ontario; anaconda bianco e grigio, giuntato e grattato fino a scolorirsi nei toni del ghiaccio e della pietra: zampe di struzzo assemblate patchwork che richiamano le squame dei pesci mentre guizzano nelle gelide acque del mare di Barents; coccodrillo smerigliato e spazzolato perché sia prodigiosamente morbido. Con un tocco snob, la cravatta diventa immacolata come la camicia, le scarpe uniscono il velluto alla gomma, le cinture il velluto colorato al cuoio.”

Gianfranco Ferré

up2001pe

“Come sempre, quando comincio a studiare la collezione mi confronto con un’esigenza: dare una ragione sempre più forte alle scelte del design e focalizzare il valore del prodotto, soprattutto nella dimensione dell’uomo dove si colgono movimenti e cambiamenti importanti. A partire da un modo nuovo di essere e di porsi agli altri che tiene conto di una raggiunta consapevolezza del corpo non solo come dato naturale ma anche come certezza mentale e come scelta culturale. Da qui nasce un desiderio sottile di unicità e individualità. Di trasgressione intesa come rilettura fuori da ogni standard di ciò che è trascorso e normale, che ha un senso e una prospettiva d’uso ben precisi. Un desiderio che è anche snobismo e narcisismo, espressioni che appartengono profondamente all’uomo e che, a parer mio, si traducono ora in un abbigliamento che ha superato i vincoli della stagionalità per rispondere al bisogno basilare di proteggere dal caldo o dal freddo, ai comportamenti mutati, a una ricerca sempre più accentuata di leggerezza…”

Gianfranco Ferré

Impressioni di un viaggio intorno a un guardaroba. Note, appunti….

La corposità e la leggerezza dello spolverino estivo in tweed di lino, da portare con il pantalone bianco e con quello sdrucito che può essere di due stagioni fa. Dei vestiti grigi extralight: duecento grammi di peso, quasi un foulard, nervosi e scattanti, sostenuti da interni in pelo di cammello invece delle solite spalline La sensualità della giacca più accostata al corpo, con le spalle arrotondate. Di uno city sportswear nei tessuti a disegni drapperia o in struzzo doppiati in finissima nappa – La nuova in-consistenza delle camicie di bisso candide e impalpabili, quasi trasparenti, dei lini areati, degli Oxford dilatati e alleggeriti da mescolare alle grisaglie – La piacevolezza del cardigan di lino e cachemire da portare sulla camicia, della giacca da lavoro saggiamente abbinata a camicia e cravatta, di quella sportiva e attrezzata ma finita a mano, del pantalone molle quasi fosse usato – La presenza determinante della camicia bianca, di quella rigata “a zone”, di quella in tela grezza ricamata – Gli eccessi delle vestaglie da boxeur anni ’20, foderate di spugna, colorate e decorate, o del pitone e dell’anaconda in toni virili e squillanti – I segni di una fuga verso paesi lontani, verso l’Oriente: le giacche di organza doppia quasi senza colletto, oppure da mandarino, ricamate e indossate sui pantaloni blu a sostituire lo spencer. Sempre blu, in triplo satin, il pantalone da portare invece a torso nudo e con la cintura di corda. Il jeans in seta dalla larghezza rubata al chimono – La solidità delle scarpe studiate per dare elasticità al passo e derivate da una ricerca sulle calzature giapponesi, con le dita segnate e la suola asimmetrica – La raffinatezza straordinaria degli accessori, in vitello lucidissimo doppiato con il cuoio grosso – Il dandismo estremo di scarpe, pantofole, cinture in galoucha o in velluto…

… una ricerca personale, istintiva, per costruire, pezzo dopo pezzo, una silhouette non precostituita.

up2000ai

“Da bambino, tra fantasia e progettazione, ho sempre associato il concetto di futuro a un’immagine estrema e possente, con caschi, scarpe pesanti, tute che cancellano il corpo…

Di quelle visioni lontane, depurate e filtrate, mi è rimasta la convinzione che il futuro può fornire oggetti che salvaguardano e proteggono, ma che sono anche umani, plasmati cioè secondo la cultura del corpo e studiati per renderlo più potente e insieme più bello. Coscientemente e volutamente, l’uomo per cui nascono questi capi da anni passa sempre più tempo a coltivare il proprio corpo ed è capace di piacersi. Dunque scegli vestiti veri: per l’eccellenza, l’impianto sartoriale, la duttilità con cui si adattano a forma e movimento. E li attrezza per le proprie esigenze – spostarsi veloce, sfrecciare nel traffico, vivere nella città – con supporti anatomici che si tolgono con un colpo di velcro: paratorace, ginocchiere, copri braccia. Strumenti che carenano e irrobustiscono abiti che un tempo sarebbero stati definiti formali, ma che adesso sono soltanto la “pelle”, la divisa maschile. Sempre in tessuti di altissima qualità e comfort, perché a volte di stretch, a volte di crêpe.

Per comodità o per piacere, l’uomo può sostituire la camicia con un pullover a collo alto, che rende la figura ancora più compatta, meno didascalica. Con la stessa disinvoltura con cui s’infila l’abito, può decidere per la giacca di doppio nylon imbottito, con tasche che – volendo – si staccano e diventano guanti. Completandola con la maglia di lana termica e i pantaloni dal taglio anatomico. Secondo un proprio codice di libertà e di naturalezza, si copre in maniera intenzionale, con tessuti che paiono maglia e velluto di cashmere, duttile e aderente. Tra lo sportivo e il raffinato non esistono più confini. Così, il cappotto di mongolia a pelo rasato, cammello, va sopra il pullover come sopra il vestito. Il paltò di vicuña si associa al jeans, mentre la giacca stretta, che sembra quasi un cappotto austro-ungarico, si amalgama con il nuovo jeans, di lana doppia, molle e morbida.

Tutto appare sciolto, ma con un senso di educazione nel proporsi e nel vestire. Un equilibrio anche eccentrico, suggerito da una cintura, un pullover di velluto, una scarpa di velluto con la suola di gomma. Un’enfasi che non rischia mai di diventare ostentazione, neppure quando inventa interni in pelliccia autentica, sontuosa, fantasiosa, virile. I colori sono civili, urbani: blu mastice scuro, nero che diventa quasi verde, il color vicuña molto caldo. Toni decisamente profondi, sottolineati dal tocco – che appartiene a una mente amante dell’ordine – della camicia bianca. Con un intento preciso di piacersi, mai cedendo al disordine della casualità…”

Gianfranco Ferré

up2000pe

“… Maturata consapevolezza di un modo libero di essere, di vivere con il proprio corpo, di plasmarlo per essere dinamici, energici, veloci quanto la realtà richiede. Così, all’elasticità e alla scioltezza che ogni attività motoria comporta deve adeguarsi tutto ciò che si indossa…

Disegnando questa collezione, ho voluto dedicare un’attenzione particolare alla costruzione anatomica del corpo umano, che per naturale trasformazione si sta allungando e affinando. Ho studiato e considerato la precisione plastica dei fasci muscolari, seguendone l’andamento con tagli e forme che enfatizzano la struttura, resa più stilizzata dall’uso di jersey e tessuti stretch…

Tesa e compatta, la linea sembra prendere velocità, con i pantaloni lunghi e snelli che mettono in evidenza i muscoli delle gambe. Con la giacca scolpita, che appoggia solida sulle spalle ma scivola sul torace, come potrebbe fare un capo molto più vicino alla pelle. Capace, pur nel rigore formale, di perdere i bottoni per infilarla e sfilarla più velocemente…

Tutta la figura appare ridimensionata: più forte, più solida, più slanciata. Sensuale in una maniera insolita, che rimanda alle immagini asciutte e snelle degli eroi dei primi, epici western movies, da “The Great Train Robbery” a “The Gun Fighter”…”.

Gianfranco Ferré

Nuovi punti d’attrazione. Camicie e golf senza bottoni, con lacci per chiudere e stringere. Polsini della giacca lunghi il doppio del normale, ma rigirati e fissati per dare l’impressione che non tutto sia perfettamente rifinito, calibrato, consueto. Jeans con tagli anatomici che accompagnano il corpo e seguono il gioco dei muscoli.

Nuove logiche della qualità. Pelle spessa, conciata su entrambi i lati, traforata e intrecciata a patchwork, oppure doppiata di seta per favorire la vestibilità. Taffetà solcato da fili di metallo, che lo increspano leggermente. Seta in tulle le declinazioni, dal faille della giacca arricciata dagli strozzatori al tussah dell’impermeabile che diventa quasi un burnus. Lino alleggerito e cascante per lo spolverino-redingote.

Nuovo gusto del dettaglio. Maglieria tubolare senza cuciture (lo stesso metodo usato per l’underwear), ma con zip sottilissime e invisibili, dalle quali appare il corpo. Mocassini affusolati che diventano pantofola, da portare con o senza calze.

Nuovo senso del colore. Marrone più scuro dell’ebano. Stemperato dai toni ambrati, aranciati, immersi nel miele, addolciti dalla luce.

up1999ai

“Nel vestire che cambia, niente cambia più del vestire da uomo, con le sue impreviste combinazioni di libertà e di atteggiamenti. Una miscela ad alto tasso di variabilità che obbliga anche te, che stai disegnando, ad esprimere una concretezza, una ragione d’essere dei singoli pezzi ed elementi che poi ognuno declina ed adatta secondo lo spirito e la propria personalissima volontà di volare.

A questo punto del percorso, allo stilista spetta il compito di realizzare – in modo quasi emblematico – il formulario della buona qualità, della naturalezza, di quella sofisticazione che nasce dalla solidità consapevole del gusto. Così, ho lavorato secondo questo spirito elementare, spontaneo, ma certo non minimale. Anzi, direi lussuoso, perché ho applicato le tecnologie più avanzate a materiali puri quali lana, cachemire e feltro di cachemire, pressato come quello dei cappelli.

Ho dato sveltezza e dinamismo ai caratteri formali della giacca e del cappotto, rinforzando, trapuntando, gonfiando in alcuni punti la struttura e foderando il paltò con uno strato leggero di piume d’oca e di pellicola termocoibente. Al jeans, protetto con un trattamento simile a quello usato per le tute da moto, ho aggiunto solidità e spessore. Per suggerire un senso di massima scioltezza che rimandi alla natura del capo, dei volumi, degli elementi che lo compongono, si può passare dal visone autentico al visone artificiale per gli interni, dal nylon alla foca per i giubbotti larghi. Mentre i paltò di feltro sono approntati con accuratezza tradizionale ed i cappotti di normalissima lana, per contrasto, sono tagliati con il laser.

Il comfort della forma a uovo, avvolgente, quasi tonda, è sottolineato, a parere mio dalla scelta morbida dei colori: marrone bruma misto a viola e grigio, verde unito all’acciaio, avorio e il classico cammello con il nero assoluto. Ma ho voluto realizzare anche una linea più asciutta e sartoriale, con revers piccoli e con spalle costruite ed accentuate da sottospalline di crine. Senza compiacimenti e lusinghe.

Certi narcisismi, mi sembra, sono stati superati dalla libertà dei gesti. Più che narciso, oggi l’uomo è libero: libro di scegliere, di mescolare il giorno alla sera, di portare la T-shirt sotto il cappotto non come indizio di raffinatezza, ma di barbara esultanza. E perfino il breitschwanz sulla flanella perde ogni allusione classica per colare come una macchia d’olio. Una pennellata selvaggia di silicone…”

Gianfranco Ferré

up1999pe

“La scioltezza rilassata del tutto nero anche d’estate, il comfort della linea e delle nuove strutture, l’intelligenza di formule che, della qualità, fanno la giusta misura degli investimenti…

Ho tradotto questo percorso logico ed insieme estetico nel concetto di reversibilità. Quindi, giacche di voile che, rigirate, mostrano l’interno uguale all’esterno. Ma anche stoffe doppiate o double, in lino e lana, foderate di voile, dall’effetto ipersottile e fluido sul corpo. Interni insolitamente portati all’esterno, tessuti usati per i rinforzi da sartoria trasformati in canape o in sete…

Mi sono accorto, disegnandola, che circolava un vago senso di narcisismo in questa collezione. Il piacere di essere libero da ogni complesso e rigidità, con la consapevolezza di mostrare quello che si è o che si vuole gli altri vedano. Seta, dunque. Gabardine di seta simile al denim, abiti impeccabili in taffettà, in faille…

Se ogni tessuto è trasformato da invenzioni ed alchimie, la pelle appare stropicciata come se fosse stata infilata in tasca, le camicie sembrano solide come giacche. Le giacche sfoderate leggere come camicie. Il denim a tripla ritorcitura appare leggero e malleabile: da tagliare, modellare, foderare, costruendo giacche calibratissime e quasi sartoriali, nervaturando le pieghe per conferire ufficialità al jeans più tradizionale, ma con un aspetto lussuoso…

Con spirito di perfetta innocenza e gusto di scolastica trasgressione, ho preparato pantaloni stretti e piccoli di taffettà, uno sportswear elegantemente disinvolto di faille o di raso di cotone, per dare tocchi di luce senza cadere nel colore. Così, la sabbia sporca il nero e lo tramuta in beige, ma i colletti non sono mai stati così bianchi…

Anche il passo all’insegna del comfort: suole in poliuretano aerato, per zoccoli in cocco, in legno molleggiato o in gomma iperlucida. Tradizione ed ancora trasgressione: cocco con legno, gros con gomma, gomma con cuoio … “

Gianfranco Ferré

up1998ai

“Pensare una collezione. Pensare una collezione maschile… Oggi per me significa esprimere una volontà radicale e severa di pulizia, plasmando la materia, consolidando alcune forme e variandone altre, eliminando riferimenti troppo voluti. Come un certo neodandismo, certi compiacimenti estetici che generano solo divise: la divisa del giovane, la divisa del bello, la divisa del palestrato. Mentre l’abbigliamento – io credo – dovrebbe essere elementare, sciolto, con quella ragionata spontaneità che ci porta a fare scelte anche opposte: tanto/poco, smilzo/ampio… Così diventa naturale vivere con un pullover a collo alto o a girocollo nero, elastico, la cui dimensione, appiccicata o abbondante, varia secondo il modo di essere e di comportarsi. Diventa naturale che la giacca si allunghi o si accorci avvicinandosi al corpo, che si trasformi in un pratico overcoat: abbastanza lungo perché protegga dal freddo e garantisca il comfort del cappotto al quale di fatto si sostituisce. È naturale, in un futuro in cui le condizioni, le temperature ed i luoghi nei quali si vive influenzano sempre meno la nostra attitudine al vestire, passare dall’ipertecnico (elementi quasi da tuta da astronauta) al neutro, al primario e persino primitivo, al senza tempo (quasi vecchi k-way da pescatori del Nord). È naturale relegare il colore a pure scelte individualistiche, mimetizzandosi nelle tonalità indefinite ed indefinibili quasi da tuta da operaio, dal nero stinto al grigio-verde. Come è naturale, per proteggersi, ricorrere a strani effetti plastificati che mutano la consistenza e le tonalità di alpaca e cachemire”

Gianfranco Ferré

Futuro. Le parole per dirlo

Gomma. Spalmata sull’alpaca e sul montone per impermeabilizzarli, sulla flanella (quasi una seconda pelle), sul cuoio delle scarpe per isolarle termicamente, vulcanizzata per le suole anfibie.

Pelliccia. Per le grandi avventure, nella versione di tenero orsetto, quasi peluche da bambini, oppure ispida, siliconata perché diventi impermeabile (come ai tempi in cui veniva rifinita con l’impeciatura)

Mischie. Di lana/cotone e viscosa/seta, simile ad una flanella grattata, un velluto, ma leggerissimo. Per camicie asciutte, niente più che uno strato tra corpo e giacca.

Piombo. Sigilli, borchiature per rinforzare l’aggressività della pelle, bulloni avvitati che ricordano vecchie tute da palombaro. Un nuovo aspetto metallico, ma duttile.

Alpaca. Sciolta e morbida, poco ritorta e tessuta con seta e viscosa per tessuti leggeri e caldi. Con una compattezza ed uno spessore che riportano ai feltri ed ai panni da uniforme.

Velluto. Preziosissimo ma anche floccato, che ricordi la flanella. Utile per tute da lavoro e pantaloni da operaio. Marezzato tra ombre e luce, secondo l’abitudine di stendere il colore solo sulla trama per enfatizzare le increspature naturali del tessuto.

Jeans. Superata la stagionalità del vestire, partecipano all’avventura di sfidate il freddo. Spalmati, imbottiti, doppiati, rinforzati da una fibra di alluminio tra fodera e tessuto che funziona da coibente termico.

up1998pe

“Se dovessi definire questa collezione, direi che è pervasa da un senso cosciente di libertà e da una volontà decisa di virilità. Ma senza cadere nell’eccesso, senza esasperare… Tutto è osservato con lo sguardo di chi si appropria, con autonomia, di formule, codici, forme estetiche dalla forte impronta mediterranea, che arriva a sconfinare con il Nord Africa, letto ed esplorato con l’intelligenza un po’ dissacrante e molto occidentale di Paul Bowles. Nessuna strizzata d’occhio all’esotismo, al marocchino o al berbero. Mi piace però sottolineare la parola Mediterraneo perché contiene una certa dolcezza, una saggia semplicità, una tranquillità che ci appartengono. Per senso di civiltà e per volontà di essere civili, sfuggendo all’asfissia di un solo passato, una sola tribù, una sola cultura, il cui effetto è, per paradosso, la mancanza di cultura…”

Gianfranco Ferré

C’è un senso appropriato e naturale del CORPO e della sua struttura, ma, al tempo stesso, un desiderio di libertà e un rifiuto di ogni costrizione, che privilegiano istintivamente le forme più ampie. Così, la giacca leggera è costruita sostenendo le spalle, segnate dalle spalline di misura giusta, e scendendo poi morbida intorno al bacino. I pantaloni sono larghi di gamba, ma si appoggiano sui fianchi, al contrario del genere baggy.

Superato il minimalismo, la ricerca di ELEMENTARIETA’ si esprime nella particolarità del tessuto, declinando in modo inedito materie come l’organzino anche per abiti, T-shirt, tute. Oppure ricorrendo a mischie in gabardine e seta con effetto cangiante, ma velato da un’ombra di opaco. O allo chambray di cotone, che permette di confermare formule diverse del vestire. Formule che rimandano a mille culture e che ora appartengono alle mille, nuove tribù del vivere di oggi: la camicia senza colletto, lo spolverino che veste come una camicia da lavoro o una giacca allungata, la giacca-camicia in crêpe di lana leggerissimo e svuotato, con la tasca interna e una linea sciolta, morbida.

Il principio del COMFORT è alla base di un guardaroba che offre anche shorts, scarpe dalla suola di bufalo e gomma, pullover che sembrano tinti e sporcati a mano, camicie di tela lavata. Perfino la preziosa seta viene spazzolata perché diventi simile alla ciniglia.

Si sommano gamme di COLORI mediterranei, densi e scuri: terra, muri, rocce. Di colori chiari: grigi sabbiati, bianco alba. Di azzurri slavati, come cieli al mattino presto.

Nell’orizzonte JEANS si colgono segni forti di novità: l’utilizzo dello chambray, laccato, leggerissimo e mescolato a un filo di taffettà per le camicie, e soprattutto l’uso della canapa. Con questa fibra pura e vegetale, che è resistentissima all’usura ed ha in sé il concetto stesso di ecologia, Gianfranco Ferré ha realizzato jeans, camicie e giubbotti, lavati e rilavati perché la mano del tessuto diventi morbida e vissuta. Senza tingerli, per mantenerne il colore naturale.

up1997ai

“C’è una tendenza, nell’uomo, che cresce e si rafforza secondo una logica di continuità. Un’esigenza ed una volontà di conoscersi, valutarsi e studiarsi che si spingono fino al narcisismo, inteso come individualità e consapevolezza assoluta di sé, del proprio essere e del proprio corpo. E’ il desiderio di rompere qualsiasi schema e, al tempo stesso, di appropriarsene. Con la massima libertà, si attinge al grande patrimonio della storia, scegliendo pezzi che appartengono a tutte le culture, dalle uniformi alle divise. Sino alle più recenti, come il vestirsi di pelle nera, interpretato ora con un atteggiamento meno ostentato e duro, più cosciente. Perché anche i modi di esprimersi e di porsi, oggi, sono cambiati. Insieme ai valori… “

Gianfranco Ferré

PAROLE PER DIRLO

Comfort: ogni capo è volutamente, deliberatamente confortevole, anche quando ha forme molto aderenti, ottenute grazie a moderne modellazioni di origine sartoriale. Logica: negli intendimenti. I colori appartengono all’origine ed alla tradizione del capo e della materia. Così il camelhair è color cammello, ma può avere spessori e compattezze differenti, dal peso piuma all’ultra-infeltrito. Il cashmere sceglie i suoi toni naturali. Qualità: sublimata dalla foggia. Alpaca corposa che può essere usata senza intelaiature; flanelle doppie come panni; lane e cotoni incollati, doppiati e garzati sino a divenire un unico nuovo tessuto per cappotti morbidi e caldi. Giacche double, sfoderate, belle all’esterno come all’interno: una moderna ricerca giocata su soluzioni sartoriali, che vivono grazie agli accorgimenti tecnici con cui è costruito il tessuto. Effetti: flanelle, grisaglie, millerighe hanno una mano morbida e vellutata, quasi setosa. Simil-broccati per camicie, realizzati sovrapponendo ricami elettronici. Aspetto consistente, soffice, caldo: tutto sembra pesante, ma nasconde un’anima leggera. Libertà: lo stile non deve essere formale per esprimere eleganza, né informale per sdrammatizzare. Il giorno si trova a suo agio nella sera. Cambiano solo gli atteggiamenti, il modo di porsi. Silhouette: allungata, nera, blu, grigia con pardessus che toccano terra. Giacche lunghe, accostate, indossate con attitudine quasi da uniforme militare. Jeans: di velluto in cotone e viscosa, a tripla tintura, per ottenere l’effetto cangiante e la morbidezza che dà l’uso. Come sempre, diversi. Diversi come il jeans di Gianfranco Ferré Jeans.

up1997pe

“L’impressione, osservando i vestiti, è che siano stati plasmati: forme ampie, strutturate, ma realizzate con tessuti cadenti, si contrappongono a forme più snelle e vicine al corpo, senza subire la costrizione dello stretch. In una ricerca di naturalezza, le esperienze tecnologiche non sono più esaltate ma contribuiscono a costruire la concretezza, la solidità dei colori e delle linee, la qualità dei tessuti… Su tutto, ho voluto che aleggiasse un senso di maschia naturalezza, come si potrebbe trovare in un Anthony Quinn giovane, in Raf Vallone o Alexandros Panagulis. Ho voluto che soffiasse una brezza mediterranea, leggibile negli accessori, nell’assenza deliberata di decori, in certi atteggiamenti dall’impronta quasi infantile: come la camicia senza colletto sul pantalone blu, o il pantalone nero con la camicia di percalle avorio…

Nei colori delle pietre, ho realizzato abiti che sono senza tempo: il completo formale, ma talmente morbido che si porta come se fosse un vestito per il relax; il completo sportivo che è talmente vicino al corpo da diventare quasi un’uniforme, le camicie che hanno fogge canoniche…

La vita è segnata, naturalmente; la spalla è arrotondata in un disegno nitido ed elementare, pulito. Con un effetto di leggerezza che tocca anche i capi in pelle, dove ho mescolato anaconda vero e finto, in un’alchimia un po’ stregata, gallapawa sudamericano: pelli soffici e leggere che sarebbero piaciute ad Apelle, figlio di Apollo… Da indossare perfino con i pantaloni gessati marroni e le scarpe dalla suola di bufalo…

Per il vivere quotidiano, per le differenti realtà in cui destreggiarsi ogni giorno, ho messo a punto un nuovo progetto: la Gianfranco Ferré Jeans, prodotta e distribuita da ITJ – Gruppo Ittierre. Un progetto complesso, che solo la tecnologia rende possibile dando consistenza alla fantasia. Così ho tradotto nella disinvoltura dello stile denim i tessuti e i colori del formale: con giubbotti di gabardine lavata e rifinita come in una giacca; jeans di nylon e viscosa con effetti cangianti, capi in carta da pacco tipo sacchetto del pane, che si stropiccia…”

Gianfranco Ferré

up1996ai

“A parer mio, la necessità di scioltezza e una praticità che non slabbri nell’incuria e nella sciatteria sono oggi i segni più forti del vestire maschile. Dove cade ogni barriera tra formale ed informale, tra il tessuto sportivo e l’abito ufficiale, perché è il modo di interpretare questi formulari e di adattarli alla personalità che determina la differenza tra i momenti e le occasioni… Per costruire abiti dalla vera disinvoltura e dalla assoluta funzionalità, ho approfondito anche la ricerca sulla tecnologia dello sportswear e delle divise riportandoli all’abbigliamento della quotidianità: più che mai duttile e naturale, nel senso di vicino al corpo, visto che perfino tweed e shetland sono sostenuti da un filo di elastomero che consente fluidità e aderenza…”

Gianfranco Ferré

FORMA

La figura è sciolta e insieme sottile, leggermente allargata verso il basso. Come nella tradizione sportiva e militare che vuole le giacche più comode sul bacino, dove sono collocate le tasche attrezzate. Anche se la vita è appena segnata, tutto è meno rigido e strizzalo, si appoggia facilmente sul corpo. Come nella sartoria di un tempo, le spalle hanno una foggia il più possibile anatomica, con spalline arrotondate. Oppure sono sostenute da cuciture aperte a girelli dello stesso tessuto, in sostituzione delle spalline.

RICERCA

Modifiche strutturali sulle stoffe più tradizionali del mondo: così i tessuti diventano elastici, spessi, adattabili alla linea.

L’elastomero applicato alla lana permette di costruire una foggia più aderente e svelta.

La tecnologia dello sport rielaborata per il guardaroba di ogni giorno dà una diversa praticità a capi caratterizzati da un’ampia libertà interpretativa. Se l’abito è scuro, per esempio, può ben rappresentare anche la formalità senza essere di crêpe o di lana fine.

La pelle, doppiata di nylon o foderata di pile, si conferma una materia all’avanguardia: per l’elasticità, l’animalità, la capacità di durare nel tempo.

TRASFORMAZIONI

Cambia il cappotto: accorciato come un car-coat (al massimo lungo cento centimetri). Sciolto, ma solido: di shetland calandrato, quindi lucido; di cover elastico, dunque gonfio; di alpaca lavata, harris tweed, camel hair imbottiti di orsetto.

Cambia il cappotto aderente, che diventa simile a una giacca allungata: la morning jacket della tradizione, in tessuto morbido. Cambia il blusotto, ispirato ai capi tecnici usati per il bob.

Cambia il vestire per la sera. Bastano un pullover sottile con il collo alto. Bastano polo e T-shirt di velluto giuntato a colori diversi, bastano scozzesi e velluti marezzati.

COLORI

Appartengono alla casistica tradizionale del vestire da uomo. Neutri mielati, blu inchiostro per i gessati stretch. Marroni ombrati per le materie più corpose. Toni oscuri e opachi, da sottobosco e palude, per spazzolini e alpaca lavata. Avorio e nero per i tessuti a check, tweed, puntinati all’inglese.

SOSTANZA

La materia è corposa, spesso compatta: flanella double, garzata da entrambe le parti; flanella con rovescio di seta e viscosa, fluida al vestire.

Maglieria spessa perchè follata. Punto stoffa di cammello per pullover dalla linea semplicissima. Regimental che rispettano la tradizione con bande di canneté e panno applicate sui maglioni a punto stoffa.

Camicie aderenti, piccole, spesso di maglia simile a jersey, sul genere di polo e magliette. Camicie di tessuto stretch che riprendono la formula classica: colletto amovibile, come scelta di decoro, e trasformabile perché si può piegare in maniera diversa, sino a diventare un modello a solino per la cravatta.

up1996pe

“Che cosa significa progettare per l’uomo, quali comportamenti e valori siano sottintesi nell’abbigliamento, è una riflessione che vado precisando con il tempo. Consapevole come sono che analisi ed eccessi deliberati ci allontanano dalla nostra cultura, appannando la coscienza di vivere in una realtà con regole di comportamento da conoscere e in qualche modo rispettare, ho lavorato sulla duttilità del formulario tradizionale, senza scivolare in gag o travestimenti… Sottolineando sempre di più il rapporto tra forma e materia, ho accentuato la ricerca tecnologica sulla tessitura e la finitura e sperimentato nuove combinazioni e trasformazioni di materiali. Per appagare canoni classici, pur adattandoli a fogge contemporanee ed elastiche, che assecondano il nuovo dinamismo dell’uomo, la sua radicata necessità di piacersi. Che non indulge al narcisismo, non scade nel compiacimento, ma rispecchia amore per il corpo e conoscenza determinata di sé …”

Gianfranco Ferré

FORMA

Equilibrio degli opposti: la giacca, che pure rispetta le tipologie più elementari e determinate del vestire da uomo con una costruzione di spalle e rever adeguata, muta consistenza: molle e peso-piuma in triplo crêpe dall’increspatura naturale. Elementare e compatta in lana stretch, con una foggia più corta e piccola, aderente, in lino calandrato. Grossi tessuti a maglia di viscosa e nylon accentuano l’effetto cascante. Pantaloni morbidi, definiti dalle scarpe solide con suole elastiche e leggere, o più aderenti e affusolati sul fianco.

COLORE

Una gamma di ultraneutri, dal bianco al sabbia, a un’invitante sfumatura nocciola tostata. Il silenzio del grigio, la profondità del nero e del blu. Tocchi decorativi di rosso.

Le segnaletiche più evidenti: grossi damier bianchi e neri; enormi righe gesso e carbone (costruite con particolari operazioni di patchwork) per le camicie; galles gigante e operato per le giacche stile Casinò; gessature al neon per gli abiti stile night a Portofino; bianco e blu per le righe marinare.

STRETCH

Dinamismo e fisicità, evidenza e slancio. Per affrancarsi dalla rigidità della giacca e assecondare l’agilità di comportamento di un uomo educato dallo sport, un filo elastico percorre giacche, pantaloni, camicie. Sottolinea i movimenti pur rispettando la struttura formale degli abiti. Dà sostanza e spessore ai tessuti.

CORPO

Il segno dei movimenti, l’accento di un gesto: quella tecnica particolare che è la calandratura che dà una mano lucente a lini e cotoni, diventa una firma, un elemento di riconoscibilità. Ogni gesto incide una piega leggera, lascia una traccia. Ogni abito prende una forma personalissima, diventa un secondo corpo.

DIVISA

Un lessico impeccabile e familiare che si esprime con il tutto nero accentuato dalla camicia di popeline bianco (all stretch). Il comfort dell’uniforme da lavoro, con un senso di provvisorietà aggiustata, per gli abiti di crêpe sabbiato o marrone, chiusi al collo da un piccolo occhiello esterno. L’elegante praticità delle giacche-sport pieghevoli in tela paracadute, con soffietti e ampiezza calibrati. I completi in rasatello di cotone grigio e i gessati corposi e spessi, che superano il formalismo per andare alla radice della tradizione.

up1995ai

“Mi piace il vento aspro dell’Est. La forza vitale che porta con sé, la corsa al futuro che conserva istinti di rudezza e spontaneità… In questo passato che diventa presente, ho individuato le radici di certe forme elementari, ultra-anatomiche, vicine al corpo. Con spalle arrotondate, fortemente virili… In tessuti apparentemente corposi, che paiono ruvidi ma sono soffici e leggeri, ho trasfuso uno spirito quasi da asceta, duro, che evoca atteggiamenti spartani, confortati dalla morbidezza di camicie senza colletto, di flanella infeltrita… Alternando energia ed abbandono, purezza e sfarzo, ho disegnato una figura che ha il vigore dei ginnasti russi o di certi ballerini acrobatici: Vaslav Nijinsky, Michel Fokine, il clima dei Ballets Russes, la forza alata di Mikhail Baryshnikov…”

Gianfranco Ferré

SENSO DEL DINAMISMO

Scarpe svelte e confortevoli per un passo veloce e solido: stivali molli, suole di para molto porosa, scarpe con le suole di cuoio e la tomaia di tricot elastico. Maglieria leggermente elasticizzata per assecondare i movimenti: interlock, crêpe doppio e triplo con il rovescio di cashmere. Calzemaglie e pullover stretti, che disegnano il corpo nel pieno del dinamismo atletico. Blu, bianco e grigio palestra.

GUSTO DEL VESTIRE TRADIZIONALE

Giacche piuttosto allungate con il colletto stretto e l’abbottonatura alta. Fogge piccole e molto arrotondate, plasmate intorno al corpo, ma sempre slentate e slanciate. Fitta corposità dei tessuti tubici, realizzata con filati gonfi come la ciniglia, misti a crêpe di lana. Vestiti miele e marrone castagna completamente di maglia. Ricchi gessati con il filo di ciniglia in rilievo a colori vivi. Camicie di grosso nido d’ape, colletti di satin amovibili.

RICORDI DI UNA DIVISA

Ufficiali della flotta del Baltico, allievi della Scuola di Ballo di San Pietroburgo, soldati della Guardia, piloti, lavoratori delle acciaierie: retaggi di un formulario maschile mescolato e contraddetto dall’uso rilassato per il tempo libero…

Giubbotti da aviatore, di una misura almeno più grandi del necessario. Pelli di “foca” trattata (tinta di grigio, annerita, smerigliata per creare un effetto craquelé) e doppiata con l’orsetto. Giacche blu ton dettagli cachi, oro vecchio, bianco, come segni di antiche mostrine e gradi. La segnaletica del bottone per un’esigenza d’ordine. Giacche a colori fortissimi di fogge elementari, confortate dalle camicie bianche spesso sbottonate. Senza colletto o con il colletto piatto, di seta lavata, molle, quasi infeltrita.

DUTTILITA’ DEL PALTO’

Forme lunghe e costruite, colletti ridotti, sciancrature un po’ bombate, ampiezze cascanti. In alternativa, pelli vere e sintetiche come le fodere di certi impermeabili, completate dai pantaloni imbottiti. Astrakan leggero, schiarito con la soda per ottenere ombre e screpolature, misto a nylon. Trench di pelle. Giacche matelassé, così lunghe da sostituire il cappotto, portate con pantaloni color calcina e camiciotti morbidi da operaio.

SORPRESA DEL COLORE

Terra e nebbia, marrone e grigio. Splendore di tinte preziose: cobalto, lapislazzulo, malachite, il rosso delle lacche. Colori balcanici per i pullover diritti come una T-shirt, tricottati a patchwork vivaci. Le stesse note intense, come allegorie, ricorrono negli scozzesi e nei principe di Galles.

VIVO GUSTO PER IL DECORO

Un senso nuovo dell’ornamento si riappropria di disegni e fantasie dagli echi storici, tra Ottocento e primo Novecento. Con naturalezza, con normalità, ricorrono tocchi fantasiosi anche nel guardaroba più sobrio: fodere di jacquard cangiante che donano opulenza alle giacche gessate. Pantaloni a fantasie sovrapposte dove ogni disegno è fuso e mescolato, ricchi gilet, sontuose cravatte. Quadretti e principe di Galles accostati al broccato: memoria dell’eleganza di certi emigranti russi o dei dandy d’inizio secolo. Vanità e antica qualità sulle quali posa la patina del tempo e dell’uso.

up1995pe

“Gente di mare, ma immersa nel paesaggio urbano di un’ipotetica e più moderna città (Genova, forse Marsiglia); nell’atmosfera intensa di un porto e dei suoi incontri ho idealmente ambientato la mia collezione… In questo luogo-limite, dove frontiera significa mescolanza, contaminazione, fantasie di gente, di viaggi e di memorie, si sono radicate tradizioni e formalità, certe libertà e deliberati tocchi esotici. Così l’abbigliamento maschile viene da me rivisitato accentuando le forme, ricercando i candori delle divise marinare, mescolando la consuetudine dei colori sportivi. Ma ho anche sottolineato la severità di comportamento e delle fogge, lette e declinate in una gamma che, dagli abiti da lavoro, si spinge verso forme più tecniche. Ho percorso una strada dove storie diverse si mescolano e si dribblano, si intrecciano spontaneamente: il perfetto gentiluomo alla marinara si accosta all’eccentrico, il militare trascolora nel tecnico, la tuta da sub fa da eco per abiti essenziali…”

Gianfranco Ferré

LE FORME

Serrate, più vicine al corpo. Con spalla dalla caduta anatomica, ottenuta arrotondando o svuotando la costruzione dell’abito. Ma coesistono anche fogge più ampie e cadenti, che assolvono esigenze di movimento e comodità. La silhouette si allunga. I pantaloni, anche i jeans, la sagomano verso l’alto. Le camicie sono realizzate con tessuti morbidi, spesso di jersey, per avere minor volume, oppure vengono sostituite da T-shirt e, in città, da pullover a collo alto.

Si fissano immagini precise di abbigliamenti diversi, in una casistica da grande viaggiatore. Camicie cinesi, compreso il gilet corto detto ma-kua, con pantaloni di juta scurita. Il vestito aderentissimo, quasi inamidato, nero e lucido, come vuole la tradizione del Sud. La divisa da marinaio bianca impeccabilmente stirata, che conserva i segni delle pieghe. La formula del bianco e nero, bianco e marrone, bianco e beige, di foggia conservativa, condotta con spirito più libero e rilassato.

COLORI

Domina la gamma dei blu, nei toni suggeriti da culture diverse. Blu cinese e mediterraneo. Blu delle lacche persiane che arriva a sfiorare il viola. Blu di Genova, blu dell’indaco. Le sfumature della juta e della canapa. Rosso segnaletico e fosforescente. Disegni selvaggi e misteriosi, tra foresta e mosaici.

LE ATTREZZATURE

Solidità e comfort del mondo maschile. Gilet e marsupi di rete pieghevoli. Tasche interne amovibili con agganci per reggere il telefono, il portafoglio, il portadocumenti. La tecnologia del nylon leggero misto a seta e cotone. Il tessuto futuribile delle tute ultraleggere di gommato misto a nylon. Le scarpe con suola di gomma, le espadrillas in marocain di seta o shantung, per rendere il passo leggero.

LE MATERIE

Corpose ma aerate perché circoli la brezza estiva. Lino stampato a rovescio che assomiglia alla juta, con un aspetto solido e una sostanza lieve. Crêpe lavorati. Seersucker ottenuto con tessuti tubolari o goffrati. Viscosa leggera e quasi sempre sfoderata per le giacche. Maglia a traforo, spesso accoppiata a tessuto che imita l’effetto tricot. Pelle che sembra goffrata e strizzata. Bottoni d’argento massiccio, fibbie argentate e scurite dal tempo.

up1994ai

“Ripensare alle radici, riflettere sulle origini di un guardaroba che trova il suo modello e la sua scansione nelle fogge d’inizio secolo, dopo la rivoluzione industriale…

Immergersi in un clima solido e sobrio, vibrante di energia, come lo descrisse Thomas Mann: “sagome stranamente austere, un ancestrale susseguirsi di cimase, torrette, portici, fontane, il morso del vento, del vento forte” (dal Tonio Kröger).

Risentire il freddo intenso e pungente dei ghiacci in un’atmosfera che ricorda le eroiche spedizioni polari, da Roald Amundsen a Shackleton.

Ritrovare l’asciuttezza severa del Nord, delle coste baltiche, dell’Inghilterra. L’eleganza determinata e virile degli uomini che costruirono l’industria moderna.

Così, nella collezione, ho lasciato i colori forti per sfumature di toni seppiati, neutri, bluastri da vecchia fotografia, da documento d’archivio. Ho a lungo lavorato sulla giacca per restituirle una forma sempre abbottonata verso l’alto, che dà una conformazione diversa alla figura.

Ho talvolta sostituito il blusotto di nylon con la giacca sport dai tessuti corposi e dalle tasche a sottilissimi soffietti. Perché ritengo che abbia perso senso parlare di sportswear come di un modo alternativo di vestire, un segno della differenza tra vita formale e informale. Oggi, determinato il proprio abbigliamento – con giacca più molle, destrutturata e pantaloni più confortevoli lo si modula sulla città e sulla campagna. Come una dimostrazione di coerenza”

Gianfranco Ferré

IL GILET

Alternativa formale alla giacca, declinato secondo scelte e ricerche estetiche, al limite quasi narcisistiche. Gilet con rever, risvolti a scialle, stretto e lungo con richiami al primo Novecento. Di gros-grain e grain de poudre fine Ottocento. Sposato a camicie dalle righe ampie, a tessuti gessati quasi da tight o da clergyman.

LA MAGLIA E L’EFFETTO MAGLIA

Calorosa consistenza dei tessuti che giocano con un effetto di doppia tramatura: chevron, cheviot, in due toni di flanella mélange. Tessuti mossi: dalle crepelle con lavorazione cotelé, slegata, che ricorda il tricot a un’inedita mescolanza di cotone e maglia. Fino ad arrivare ai pantaloni di maglia a coste, che donano un aspetto sciolto e decostruito al vestito nero. Voluminosi filati jaspé per spolverini, caban e pullover mélange.

IL VESTITO DI FLANELLA GRIGIA

Sobrio come una divisa sotto i cappotti in spazzolino di lana e nylon, a effetto teddy-bear. Segno contrapposto di ordine e disordine. L’ordine delle fogge conservative, con giacche piuttosto chiuse che quasi nascondono la camicia e colletti volutamente alti, diritti. Non sempre completati dalla cravatta.

Il disordine che ai colletti bianchi sostituisce una formula liberatoria e cosciente del vestire. Come la t-shirt bianca o nera.

LA CAMICIA BIANCA

Formula aggiornata del comfort di sempre. In flanella, cotone grattato, parpaiana, solida e robusta, la camicia bianca si porta in relax con pantaloni di pelle, velluto, flanella grossa. Sofisticata la ricerca sul colletto, che può essere a solino, amovibile secondo la tradizione ottocentesca, trapuntato.

IL CAPPOTTO DI CAMMELLO

Caposaldo della tradizione, certezza del guardaroba maschile, simbolo di rispettabile solidità… Ma le fogge classiche sono completamente destrutturate, sovrapposte l’una sull’altra, nascoste da impermeabili verde esercito o di un intenso color cachi, come i jeans e i pantaloni da lavoro che li completano.

Trasformato in interno e amovibile, il paltò di cammello riscalda il trench militare di tessuto oleato e lavato; oppure diventa quasi una vestaglia, da portare sulla salopette, con la t-shirt bianca o con la camicia di cotone trapunto. O doppia l’impermeabile, lungo e guarnito di zip, o un altro cappotto piuttosto strizzato in vita, con martingala.

LO SPIRITO DELL’UNIFORME

Ispirata alla giacca prussiana da caserma, alle prime divise delle industrie siderurgiche tedesche, ad un’ammirevole sobrietà, la giacca ritrova la sua foggia più romantica. Di tessuto o velluto grattato, chiusa fino al collo per sostituire la camicia, nelle sfumature del verde e del blu. Sono giacche che bastano a se stesse, riprendendo il concetto dell’uniforme come abbigliamento per tutte le funzioni: una risposta costante a domande diverse.

Riprendendo la formula del Sakko tirolese, ecco le giacche senza colletto, da contadino, in tessuti corposi. Ecco i giacconi di forma elementare e i montgomery di stoffe insolite e lane spesse. Da portare con i jeans confezionati al contrario per mostrare una mano ruvida.

Ecco i gessati di velluto e crepella garzata nei toni nordici che sfumano tra il grigio, il blu e il marrone. Giacche diritte o stondate, per indossare anche il vestito formale con atteggiamenti disinvolti e liberati.

LA SERA

Esercizio di eleganza intorno al non-colore – il nero come uniforme – e a un personale, bisogno di libertà. Soddisfacendo queste due necessità, si possono individuare soluzioni sorprendenti, idee inaspettate. Come unire il cappotto trapuntato ai jeans di pelle e alla t-shirt bianca. Sostituire la camicia con una sciarpa. Cambiare la giacca: allungata, senza colletto, trapuntata, matelassé, doppiata. Alternarla con pullover, cardigan o quanto risponde – in quel momento, in quel luogo – alla nostra necessità.

IL GUSTO DEGLI ACCESSORI

Se le scarpe connotano il decoro, le fogge siano accurate, precise. Alla dandy, allungate, squadrate, con suole triple di cuoio. Formali e lucide come certe scarpe da clero. Consistenti e solide, tipo pantofola, con la tomaia di pelli già doppiate e suola di gomma, para, carro armato di fibra. Cinture molto spesse a strisce di rettili diversi, in colori fangosi e nebbiosi. Uso ponderato della cravatta: quando c’é, é importante come una sciarpa e richiama i tessuti di giacche e camicie. Oppure si snoda sottile e agile e pare sottolineare solo l’andamento del colletto.

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“Una collezione tutta italiana, con la libertà dell’invenzione e il tocco dell’eclettismo, con la sapienza della tradizione… Nel disegnare, ho raccontato un viaggio immaginario nella memoria tra i libri e le immagini del passato… In quella cultura che ormai è comportamento acquisito, conoscenza profonda dell’essere italiano. Così l’ho chiamato “lo stile delle cento città” per sottolineare la differenza dell’ispirazione…

Spirito marinaro che corrisponde al blu, al greggio, al nero e a un rifiuto del formale… Un formale che corrisponde a regole fantasiose e alla rielaborazione napoletana dello stile inglese… La disinvoltura romana delle giacche rosse sui pantaloni di seta greggi e il pullover a collo alto … I colori corda, sabbia, paglia secca, i toni calcinati e asciutti del caldo siciliano…”

(Gianfranco Ferré, 24 giugno 1993)

Procedendo per assonanze e somiglianze, per associazioni di idee e di linguaggio, la mollezza dei lini lavati, goffrati, mescolati con la seta, delle bourette doppiate di taffetà e delle garze, corrisponde a forme fluide, abiti destrutturati e spolverini senza peso, che stanno in un pugno o in una tasca … Il pullover, che è leggero e areato, si corruga a pelle di rinoceronte. Ma sulla pelle, perché no?, si può anche stampare un rinoceronte gigante …

Liquida fluidità dei colori che si mescolano, trascolorano, colano l’uno nell’altro fino a diventare un non-colore. Per assecondare una diversa anatomia della giacca, senza spalline ma aderente al corpo, in tessuti elastici. Camicie in quadricromia di toni sovrapposti: rosa, turchese, giallo mescolati con fantasia italiana per riscrivere lo stile anglosassone. Pantaloni solari o giacche stampate a disegni cashmere piazzati, in colori maschili, densi, che vivono per il valore della loro eccentricità …

La disinvoltura delle civiltà marinare, con i pantaloni gessati sul voile di crépon, le camicie di seersucker, i greggi e la virilità del color spago.

Le suggestioni della Sicilia… Bianco e beige asciutti, prosciugati dal vento e riarsi dal sole. Con le giacche in tessuto floscio di linea striminzita portate quasi senza camicia, più allungate ma sempre all’insegna del comfort… Con l’iconografia delle piante e degli arbusti siciliani, sezioni e spaccati di vulcani e di eruzioni, come quella da cui nacque (e dopo breve tempo sparì) l’isola Ferdinandea.

I colori romani delle giacche fiammeggianti: venti sfumature di rosso, dallo stemma al papavero, pantaloni greggi, pullover a collo alto, genere Dolce Vita.

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Tempi mutati, tempi – in un certo senso – più reali e severi, che mi portano a un conscio rifiuto dell’evasione e dell’esotismo, alla negazione dei revival. Che siano baronetti o figli dei fiori, mi appaiono come inutili allusioni e ricordi di fenomeni che mai potrebbero tornare uguali… Mentre forte, esigente, si fa strada la necessità della tradizione in cui far convivere comfort e realtà attraverso forme consolidate, determinate… Anche il senso dell’evasione si nutre della città e dell’ambiente urbano di certi sport, che si possono praticare o dei quali si ammirano i modi e le atmosfere. Come la boxe con i suoi echi classici… Ne deriva quel sano snobismo dell’essere come si vuole, del scegliere quel che si vuole…”

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 4 gennaio 1993)

Procedendo per istinti e sensazioni, costruendo il lessico di uno stile che si conferma e si arricchisce naturalmente, stagione dopo stagione, il gusto si delinea con sottigliezza, per passi logici. Così la giacca si allunga e il doppiopetto da quattro bottoni passa a otto. I colori squillanti sono immersi in una patina pastosa, che ha la profondità di un’ombra… I tessuti hanno un corpo e un volume che rendono più morbida la tonalità: il bianco e il nero delle lane spugnose, dei tessuti rigonfi ispirati alle magliette tecniche; il crêpe di lana blu lavorato a microtrecce; il pullover di ciniglie mescolate… Il gessato si moltiplica: blu copiativo sul nero, marrone scurissimo e mattone, verde abbinato al blu, blu a righe rosse o zucca…

Cambiando l’ordine degli addendi, il risultato cambia. Nell’aritmetica del gusto, è il modo di unire, assemblare, portare che disegna un’immagine nuova. Il cappotto di cammello – morbido come una vestaglia, come una coperta – si indossa sulla T-shirt e sul jeans gessato come sulla flanella. I blazer di cashmere, velluto liscio o ciniglia dai toni foschi (vinaccia, navy, verde pino) si completano con pantaloni e pullover neri, o con maglieria di ciniglia… Le giacche di lana che sembra cotta, di pesante satin in lana e seta, possono anche scegliere colori decisi, sfumature forti… Il trench color mastice, accorciato al ginocchio e con il colletto di montone, riscalda i vestiti di flanella. Gli abiti di lana gonfia (per l’intima ricchezza del filato) sono molli e sfoderati, con la quieta disinvoltura di un pullover…

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Movimento, azione. Il culto del dettaglio, l’educazione alla materia, la costruzione canonica del guardaroba maschile messa a punto da Gianfranco Ferré hanno preparato la vitalità di oggi, che mette l’accento sul muoversi e sulla duttilità degli abiti.

I temi dello sport riaffiorano lungo la collezione come realtà della linea e della forma, giochi cromatici che la libertà di oggi permette di affrontare e mescolare in perfetta autonomia. La silhouette allungata, con spalle ridotte, ha quel tanto di elastico che serve per il comfort, e di morbido che avvolge come un guanto, rispettando la struttura atletica del corpo. Senza imporre una muscolatura e un’estetica uguale per tutti.

Il piacere della differenza genera stili diversi, approcci all’eleganza mutevoli. Per esempio, lo spirito dell’avventura, pervaso di ricordi, rimanda a un viaggio totale nell’ambiente: ma per occuparsene, per prendersene cura. Il gioco delle attinenze porta a un black and white che riprende alcuni tratti del baseball e puntualizza l’uniforme composta da pantaloni neri e camicia bianca. Pantaloni che si gonfiano e vivono nelle pieghe e nei segni lasciati dai gesti e sono di Galles, damier, pied-de-coq, fil-à-fil, grain de poudre. Camicie in popeline con tasche, senza tasche, con colletto da chiudere o da lasciare aperto…

Il neutro sceglie i tessuti finora utilizzati per gli interni dei vestiti: teli e crini lavati e trattati, per giacche anatomiche quasi senza spalline e pantaloni con la vita alta. Il bianco ha il candore e la mano estenuata del lino, la leggerezza del voile e delle garze doppie, accompagnate dalla maglia a grana di riso rifinita con il cuoio naturale. L’abito assume il rigore dell’uniforme, total black, total blu e total caki.

Sprazzi di fantasia con la serie stars and stripes, ma tagliate e ricucite a pezzi, e con i pullover a check, zig-zag e righe. Espressione di forza e dinamismo, il cuoio naturale, uno dei segni di stagione. Con la pelle di camoscio lavata, bucata, foderata di tulle elastico. Il giubbotto-trofeo a strisce di coccodrillo, il gilet da caccia di Wips, una lucertola pregiata; i jeans che sembrano di anaconda, mentre sono realizzati in drill stampato. Seta selvaggia e corposa, o seta ritorta per il Galles e il gessato. Gessati con una sottile riga colorata. Giacche profilate di colore. Giacche completamente colorate: viola, rosa, rosso, framboise, zucca e verde… In un’esplosione di vitalità, come musica cajun.

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“Un mondo interiore di cultura e di abitudini si trasforma in un’elementare semplicità, dove si leggono i segni della storia dell’uomo… Il senso del viaggio – per le città e in campagne molto civilizzate – accentua la voglia di compiaciuto clan: gli amici tra di loro, le affinità di gusto e di emozioni che non equivalgono necessariamente al modo di essere… Le diversità accostate, vivendo consapevolmente origini, tradizioni e futuro. Perché il pianeta dell’uomo è così complesso che, per ritrovare la strada, servono una radice, una necessità…

Al bisogno inespresso di duttilità e scioltezza, ho risposto con le giacche anche senza colletto, comode come maglioni. Con tweed e scozzesi corposi, con mischie di seta e cashmere grattato, con tessuti a doppia frontura dolci al tatto e ispidi alla vista…

Tutta la collezione appare sotto il segno del dualismo: la ciniglia di seta è gonfia ma leggerissima, il capo di pelle con la fodera trapunta sembra voluminoso ma indosso non ha peso…

Nei colori di sempre: grigio chiaro, asfalto, foglia mescolata al cammello. Nei toni araldici, da stemma: giallo, blu Francia, rosso stendardo…”

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 3 gennaio 1992)

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“Sfogliando i libri di Jules Verne. Rileggendo Robinson Crusoe “Quando mi svegliai era giorno fatto, l’aria serena e lo tempesta diminuita tanto che il mare non era più così grosso e furioso. Ma ciò che mi sorprese di più fu il vedere che la marea, salendo…” Ripensando alle meraviglie del Nautilus, tra fantasia, memoria, nostalgia scaturisce il viaggio del capitano Nemo nei mondi sommersi ed emersi…

Mi affascina la tecnologia della muta subacquea. Il massimo della tecnica per muoversi con il massimo della naturalezza”, spiega Gianfranco Ferré. “Seguendo questa intuizione, ho provato a frugare in un immaginario baule, tra uniformi del passato e strumenti avveniristici. Ho tuffato le divise in un blu che diventa nero e in un blu che si trasforma in turchese. Nell’acqua di mare che stria e schiarisce, nel salino che brucia. Tra reti, stemmi, gomma … Lasciando – per esempio – sulla treccia fisherman dei maglioni una patina opaca e impermeabile, ottenuta con la catramatura… Perché proseguo nella mia ricerca del naturale; nel senso di ciò che appartiene da sempre all’uomo: che sia frutto della natura o risultato di una trasformazione tecnologica.

In questa atmosfera da moderno navigante alla Stevenson, la classica fibbia di metallo diventa di poliuretano. La rete di nylon filtra i colori elettrici ispirati alle attrezzature dei sub. La felpa blu da regata si scompone in un marsupio da legare in vita. La camicia a vento ha un cappuccio in popeline di seta che si può ripiegare e nascondere nella tasca. Caban e impermeabili sono trasformati dalla gommatura e dalla “talcatura”, un procedimento simile a quello usato prima di riporre la tuta per le immersioni.

All’opposto, fogge quasi volutamente stiff, impeccabili e corrette.

La camicia che sembra inamidata, il doppiopetto e la giacca formali, il bianco come puro, candido, lavato. I tessuti dolci dalla bella consistenza corposa: tussah, lino grosso, crêpe doppio, lino stramato. Le scarpe di cuoio con la doppia suola e le scarpe all’inglese. Ma anche comodità e comfort: le scarpe con la suola di gomma, il sandalo piatto, le espadrillas leggere.”

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 18 giugno 1991)

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“Procedendo nel lavoro, verificando giorno dopo giorno quanto ho disegnato, mi sono accorto che d’istinto organizzo un guardaroba che definirei naturale e che mi appartiene profondamente. Senza uno schema precostituito, se non per grandi linee e modelli culturali, ma privilegiando sentimenti e impressioni… Un uomo romantico potrebbe vestire magari con una camicia molle, senza cravatta… un uomo più formale ma con la disinvoltura di una educazione borghese superiore, forse di blu…

E’ il carattere a determinare le scelte, ma cercando le proprie coordinate per muoversi all’interno di un panorama che ha chiare radici europee. Perché questa nostra civiltà è sempre stata determinante nelle forme dell’abbigliamento maschile.”

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 9 gennaio 1991)

Immagini europee come film, libri e vecchie fotografie le consegnano alla memoria.

Il nero degli abiti a Londra, per un fenomeno urbano e vittoriano. Il verde scuro, vagamente fangoso, riassume Berlino, il rapporto natura-città, quello stile militare-industriale che riporta al Tirolo. Il grigio richiama Parigi all’inizio del secolo, quel modo di vestire conservativo della borghesia francese.

Colori declinati per certe forme convenzionali: il cappotto sciancrato, il taglio loden mitteleuropeo, il paltò di derivazione anglosassone, ma con maggiore dinamismo e comfort.

Quindi il cappotto lungo sale al ginocchio, il giaccone corto si allunga e diventa un autentico car-coat.

Desiderio di nitore e precisione, senza trasformazioni eccessive: ogni tessuto sembra esattamente ciò che è. La flanella riprende la sua consistenza, il crêpe lo sua asciuttezza.

Maglia e pelle rispondono alla funzione del tempo libero. Il cuoio ritrova una corposità elastica né troppo nuova né lucente. Il tricot conferma la sua anima duttile, con pullover fatti a mano, trapuntati per arrivare alla morbidezza e secondo un’idea del vestire che dà spazio a ogni intenzione e categoria.

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“La moda maschile per me è una questione di metodo. Una proposta nei confronti della tradizione e della qualità, che rifiuta la ricerca affannosa dell’idea di moda per affrontare quella – ampia e generale, in un certo senso assoluta – del vestire.

Così in ogni collezione tornano temi canonici, affiorano colori universali, si declinano un modo e un atteggiamento… Come parole nuove che compongono un linguaggio riconoscibile, uno stile costante”.

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 2 luglio 1990)

Umore contemplativo, memoria di estati tra il mare e la Provenza, una colta bucolicità. Abiti rilassati, che assecondano la necessità di un comportamento spontaneo, immediato.

Tessuti leggerissimi spesso forati, aerati. Tulli elastici per sahariane attrezzate, con tasche che si espandono per contenere oggetti. Lini greggi e teloni sulla cui oliatura ogni piega naturale diventa una traccia. Oxford di cotone e seta utilizzati anche per la giacca fil-à-fil come le camicie. Toile de Jouy, stampata su uno sfondo fil-à-fil.

Accenni agli sport – baseball. ciclismo, tennis, podismo – praticati al momento, per il piacere tutto fisico del gesto.

Colori eterni: il bianco, il grigio foschia del mattino, gli azzurri e i blu del Mediterraneo.

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“C’è il senso forte dell’inverno in questa collezione. Un’aria di gelo, un vento ghiacciato che arriva dal nord… Ma è all’Europa che penso, al grande freddo di Knut Hamsun tra i fiordi norvegesi, allo splendore accecante della Danimarca di Karen Blixen. Immagini che portiamo fisse negli occhi, culture che ci accomunano e condividiamo. Dove è forte il senso della tradizione, radicato il codice di comportamento, conosciuta la norma… Ho cercato di tradurre questi riferimenti profondi in un senso vero di comfort che per me significa elementarità. Quindi linee che in qualche modo riconosciamo e danno al nuovo l’autorevolezza e la disinvoltura di ciò che esiste da sempre…”

(da una conversazione con Gianfranco Ferré del 3 gennaio 1990)

VERSO L’ORDINE DELLA FORMA

Il tema della sartorialità – fissata attraverso regole costruite nel tempo dallo stile Ferré – e il tema della scioltezza, della foggia destrutturata. Per una risistemazione tutta personale e interiore dell’abbigliamento maschile che torni a far coincidere le scelte dell’apparire con le ragioni dell’essere. Così alla giacca formale corrisponderà il cappotto rigoroso, alla giacca-camicia il maglione e il blouson. Senza contraddire e mescolare i generi.

VERSO L’ARMONIA DELLA MATERIA

Nuove mollezze e nuove morbidezze, ma un effetto piacevole di vecchio e di usato nella lana chiné crema e nero, crema e marrone. La correttezza di crêpe, galles e côtelé, che si rispecchia anche nel cashmere e nella lana. Un senso di tradizione pregnante accentuata dalle pelli lucidate a mano, dai montoni ossidati, dal pecari utilizzato per sahariane e camicie imbottite. Il gusto dei riti virili nelle decorazioni fatte con medaglie al merito e nelle stampe dall’ispirazione allegorico-geografica: rose dei venti, segni zodiacali, stucchi, elementi di architettura.

VERSO L’EQUILIBRIO DEL COLORE

Il dilagare quieto e fondo dei neutri, che nei filati più preziosi assumono una sfumatura calda e dorata. Il richiamo sonoro dei colori bandiera nei filati più ispidi: rubino, smeraldo, blu stemma. Una “mano” mossa e frammentata nei jaspé di tonalità diverse, combinati con intarsi e lavorazioni a mano. La calda naturalezza di vicuña, cashmere e camel hair per i golf classici con cali e riporti.

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“Ritornano, nel mio lessico, concetti come tradizione, calma, rispetto di certi colori e certe fogge… Per un guardaroba canonico che vado ridefinendo attraverso i temi che più mi appartengono: la sartorialità e una forma di scioltezza che raggiunge la destrutturazione. Filtrate questa volta da un tocco che mi piace definire eccentrico e insieme moralista, da vita inglese nelle colonie. Come se avessi mescolato i film di Ivory, i romanzi di Forster, i libri di Kipling, i ricordi di tanta letteratura anglosassone. Ma con una punta di freddezza, di inevitabilità. Sull’onda di una frase di Vita Sackville-West: “Credo sia stato fin da quel ridicolo pranzo a Calcutta. Altrimenti non sarei andato a Fatihpur Sikhri…”

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 27 Giugno 1989)

IL CONCETTO DI LINEA

Abiti sartoriali con proporzioni nette, specifiche. La vestibilità caratteristica del prêt-à-porter è arricchita da finiture in gran parte manuali. I capi sono double-face, come il giubbotto in lino e tulle a “zanzariera”. Si coglie un’intenzione voluta per le forme calibrate, con spalle rilassate.

L’AROMA DEI COLORI INTENSI

Vibrano sfumature dense in contrasto con toni naturali, in nuances ghiaccio. I marroni della terra sono associati al grigio. Il bianco e ancora il marrone sostituiscono il consueto bianco e nero. Il porpora ed il rosso rubino e il color rame ricordano quelli di tappeti e abiti di seta antichi. Il verde oliva è quello della tradizione militare. Non manca il blu navy, laddove è necessario.

L’IMMAGINAZIONE E IL NUOVO UTILIZZO DEI TESSUTI

La seta ha una lavorazione corposa, declinata in righe regimental nella giacca indossata con il bermuda rosso intenso. I crêpe iridescenti peso-piuma sono di ascendenza inglese. Il panama di seta è stampato. Infinite varietà di seta sono proposte a doppio strato. Per le maglie, lini, cotoni e sete vengono immersi in un bagno di soda, per creare un effetto insieme soft e lucente. Vince la presenza costante di textures lavorate in doppio e aerate.

LA REINTERPRETAZIONE DEI MATERIALI

L’iguana marrone a scaglie giganti costruisce il bomber. Il nabuk nero è lucidato. Le calzature a pantofola con le suole vulcanizzate, per consentire un passo elastico e leggero.

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“E’ un guardaroba canonico, quello che ho preparato. Una serie costante che é arrivata ormai a una classificazione… Perché ho ridefinito il tema della sartorialità attraverso regole fissate nel tempo della tradizione Ferré, ma sono andato oltre, perfezionando il concetto della scioltezza, della destrutturazione… C’é anche un deliberato tocco eccentrico, che rifugge dalle categorie con cui ìn genere viene definito … Più che snobismo, direi che si tratta di una risistemazione mentale di ciò che da sempre esiste nell’abbigliamento…”

(Appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 2 gennaio 1989)

INTORNO ALLA TRADIZIONE

Gli abiti etichettati SARTORIAL: con le proporzioni precise, determinate, e i drop dalla vestibilità accurata che offre il pret-à-porter. Ma con rifiniture in gran parte manuali e tessuti importanti: cashmere, camel-hair, alpaca. I capi double, secondo quel gusto moderno di mescolare anime diverse: come i misti cashmere, lavati perché siano più sciolti, e i tessuti crêpe, sinonimo di mano leggera e svelta da indossare.

ALL’ORIGINE DELLA LINEA

Capi morbidi e insieme corposi, senza rigidità alcuna. Recupero del comfort spartano e rustico connaturato agli harris, ai mélange irregolari, ai mohair garzati. Ma rinvigorito con un certo spirito di uniforme, fatto di flanelle e melton dal fumo all’antracite, di vyelle e harris grigio. Rivoluzione russa. Una sfumatura sull’altra, interpretando quel senso dell’eleganza rilassata tipico degli inglesi che hanno viaggiato molto.

MESCOLANDO NOTE IMPREVISTE

Allusioni all’Anatolia e ai tappeti persiani nel tricot fuso e mescolato; nel patchwork dai toni rugginosi, come vecchi bauli, kilim arrotolati da generazioni, rilegature antiche di libri. Rigore nostalgico delle camicie da sera di voile. O di crêpe di seta (davanti) e cotone sulla schiena. O di crêpe de chine plissettato, sostenuto (dietro) dalla vyella.

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“Una collezione rigorosa, coerente. Una scelta di qualità omogenea, alta, con le punte di certi tessuti, certi double di lino che richiedono un’attrezzatura e una mano d’opera specializzate… Una collezione ricca, completa, che risponde a tutte le necessità del guardaroba con una serie di proposte flessibili… Da leggere come la conferma di quella semplicità, elementarità e ricerca che connota la “Ferré Uomo”. Da rileggere cercando il filo sotterraneo e unificante di alcune suggestioni: marinaio inizio secolo, coloniale, estate in città anni trenta… Presenze che non si contraddicono, umori che si riconoscono anche se appena accennati perché appartengono alla tradizione dell’eleganza virile…”

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré del 27 giugno 1988)

Definizione di un guardaroba maschile per tipologie, somiglianze, assonanze, conseguenze.

FORMALE

Tessuti a crêpe; sete naturali opalescenti; gabardine a titoli fini cangianti; lino sostenuto e foderato da abito all’inglese; popeline di cotone e seta. Complementi: camicie di popeline a righe, lino bianco inamidato, cravatte di seta jacquard o stampate su georgette pesante, cintura di pellame prezioso alta quattro centimetri – com’é la regola -, scarpe chevron ultraleggere. Ma anche l’innovazione delle giacche di lino double, in cui la trama traspare in superficie.

DISINVOLTO

Reps di lana e cotone, gabardine di lana e cotone. Mischie corpose di viscosa e lana. Pekary lavorato. Volumi più ampi sia nei pantaloni sia nelle camicie. Giacche soft, quasi destrutturate. Tessuti di peso diverso accostati in monocromia.

Complementi: cinture in tubolare di cuoio smerigliato, morbido. Scarpe sciolte, sfoderate, con la suola di bufalo multistrato e microporosa perché sia elastica e comoda.

GINNICO

Comfort e mancanza di ostentazione, quasi un vago gusto per tutto ciò che é vissuto, recuperato, in un certo senso – tutto interiore e intellettuale – già appartenuto. Cashmere e lambswool uniti a mano, tricot di cotone a patchwork di punti. Argentine in organdis di cotone leggero. Oxford declinato dalla camicia alla giacca ai bermuda. Giacche a vento di lambswool accoppiato al bemberg. Camoscio peso piuma spalmato di gomma, pekary naturale, giuntato con cuciture piatte.

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“Ironia, voglia di sorriso davanti alle nuove uniformi: il casual perchè fa comfort, il conservatorismo perché fa immagine, l’abbigliamento creativo perchè fa moda. Ma anche le sproporzioni programmate, il romanticismo della camicia bianca senza cravatta e con la giacca nera… Un vestire per ceti e mestieri che è diventato conformista, pigro… Mentre la scelta oggi dovrebbe essere matura, consapevole. Non c’è eroismo nell’indossare una giacca, c’è un senso di agio nella camicia ampia e morbida portata sotto il paltò, c’è divertimento nel mescolare innovazione e classico. Come una certa volontà di spirito selvaggio) vagamente napoleonico, con interni di pelo greggio, colletti di lupo… “

(da una conversazione con Gianfranco Ferré del 3/01/1988)

Trasformando

I tessuti sono compatti ma morbidi, grazie a un uso avanzato della tecnologia: il cotone accoppiato al cotone e lavato fino a modificare la materia e renderla plastica.

Il nylon ultraleggero unito alla lana e alla pelle, lavati ad alte temperature. La pelle spalmata di caucciù per renderlo impermeabile e reversibile.

Interpretando

Metodi anomali di concia per la linea leather: il cuoio inglese da scarpe, ammorbidito e lucidissimo; la pelle come pergamena da tamburo, leggera e doppiata di jersey.

Esasperando

La maglieria già confezionata viene lavata e infeltrita per le felpe e le sweat-shirt. Le calature diventano giganti nella maglieria tradizionale di cammello, cashmere, seta cashmere.

Fissando

La giacca ha le spalle più ridotte, il punto vita segnato, il bacino comodo. La forma leggermente triangolare diventa sciolta e arrotondata grazie alla particolare costruzione del capo con i tagli cuciti e non ribattuti. I colori sono canonici: pergamena e miele con punte di giallo e oro vecchio. Blu, bordò, rosso scuro mescolato al nero e al greggio.

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“Ho seguito le mie sensazioni. Un filo segreto che unisce un’emozione all’altra e ha la logica del gusto, più che della ragione. Così affiorano, in questa collezione, sentimenti in qualche modo affini: il morbido, il nitido, una freschezza che è interiore prima di essere esteriore. Una lievità che si traduce a volte nella forma, a volte nel tessuto… Restano fermi i valori classici dell’abbigliamento maschile come punti indiscutibili di un’educazione, ma senza schemi e categorie. Perché i modi di vestire sono tanti e alla mia libertà di creatore corrisponde la libertà del gesto…”

(conversando con Gianfranco Ferré, il 30 giugno 1987)

Le certezze della “sartorialità”, anche nel vestito leggero senza peso, nello spolverino di gabardine, nell’impermeabile di crêpe. Della camicia bianca, rosa, azzurra sul neutro dei pantaloni e delle giacche.

La praticità dei tessuti aerati. Delle giacche reversibili, dove l’interno più attrezzato equivale all’esterno più tradizionale. Delle giacche destrutturate sino ad essere svuotate nelle spalle. Della sahariana all’inglese, ma rielaborata e alleggerita.

La determinazione del coloniale in tutte le sue sfumature, fino a diventare un’astrazione, un non-colore. Dei tocchi forti come il rosso vivo e il blu royal. Della giacca di popeline fil-à-fil rosa sul beige. Del cotone e del lino puri, che rifiutano mischie e materiali avveniristici.

L’indipendenza del gusto, che protegge dall’uniformità della moda. E si manifesta scegliendo il comfort di scarpe morbide dalla pelle opaca oppure la classicità di quelle ultralucide e ultracostruite. La cintura di foca e di camoscio molle. Le cravatte a disegni tra cashmere e liberty, ma dai toni velati. Rifinite come tradizione comanda: senza fodera e con il sistema delle sette pieghe.

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“Per un vestire tra norma e forma, che l’impermeabile sia in vera gabardine di lana, rifinito con puntiglio sartoriale, e la giacca di vero harris, intenerito da un filo di mohair (l’anima è morbida, ma l’aspetto ruvido).

Che il trench ultraleggero sia sciolto e abbondante, e il cappotto per guidare corto e ben costruito.

Che la linea sia decisa e lo spirito severo: ogni colore secondo tradizione, il blu dov’è canonico l’uso del blu, il grigio e il nero come vuole l’abitudine. Ma anche gamme indefinite di colori, mescolate fino a ottenere un effetto monocromatico.

Che il disegno sia compatto (rinforzando la pelle con fodere di tela in modo che sembri più consistente pur restando elastica) e la qualità, artigianale (sostenendo con impunture in pelo di cammello l’interno dei cappotti).

Che i tessuti, anche i più rari, abbiano un’apparenza familiare ma lo spirito sia sofisticato: il crêpe doppio imita la lana, il jersey interlock sembra un tricot, il mohair è lavorato a rovescio come una gabardine, la baby alpaca si mescola al lambswool.

“Credo nell’abbigliamento formale … Negli abiti classici che possono – anzi devono – essere confortevoli, ma senza mescolare i ruoli, confondere le situazioni. Perché il vestire da città ha regole precise, come il tempo libero, e risponde a un codice già verificato. Ma si possono scambiare le esperienze, questo sì, e travasare certe soluzioni. Così, parte della ricerca svolta per la Gianfranco Ferré, che è una collezione formale, confluisce nella Oaks, che invece è informale. Ma ognuna si riferisce a momenti diversi, a usi diversi…

L’uomo che sceglie Ferré applica lo stesso principio di un collezionista o di un finanziere che gioca in borsa: sapendo che vestire è un piacere, sceglie cose molto belle, molto solide, che durano a lungo. Sono infatti convinto che sia l’obsolescenza, il sempre nuovo che appare subito già vecchio, a inflazionare il pianeta moda”.

(da una conversazione con Gianfranco Ferré del 5.1.1987)

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“Ho voglia di spirito agonistico, di senso della sfida… agonismo come recupero di certe forme più vicine al corpo, certi rinforzi alle maniche, i sostegni tipici dello sport sulla schiena o dove si forzano i muscoli… sfida nel riproporre il grigio d’estate, il bianco, i colori netti degli stendardi. Ma sempre con una ricerca di nobiltà, un fondo di classicismo che per me significa tradizione. Dentro la quale, ormai, c’è una lunghezza d’onda, una metrica evidente di ciò che piace nella collezione: la cravatta a pois, o sgargiante, o principe di galles tinto in filo. La giacca blu – magari più corposa – il trench beige – magari in popeline di seta impermeabile – il gessato, il vestito di gabardine. Quello a cui non si può rinunciare, o che non si vuole dimenticare, o di cui si ha bisogno… “

(da una conversazione con Gianfranco Ferré dell’ 1/7/86)

Di nuovo vigore. Giubbotti ridotti all’essenziale, di popeline rinforzato con la fodera: da infilare anche a camicia nei pantaloni. Pantaloni classici, ridimensionati nei volumi. Il braccio “corazzato” dello sportivo, con rinforzi di pelle.

Di nuovo comfort. Forme comode perché non abbondanti. Maniche accostate. Spalle decise ma ridotte: anche sette, otto centimetri meno. Tessuti che si moltiplicano: pelle su pelle, cotone su cotone, doppio tricot, da una parte seta dall’altra cotone garzato non ritorto. Capi doppiati in Bemberg da fodera, prelavato.

Di nuovo un codice. Il doppiopetto segnato a sei bottoni. Il bermuda e il pantalone lungo di piquet a nido d’ape bianco. La camicia con il colletto sostenuto dalle stecche, che si possono anche sfilare per ottenere una piega naturale. La cravatta grafica: a disegni in stile, ingigantiti o ridotti, su una seta che sembra raso. Le scarpe con la suola flessibile a tre strati di bufalo. I mocassini lussuosi di coccodrillo.

Di nuovo freschezza. Il blazer bianco di cotone per la sera, su camicie con il davanti realizzato nell’identico tessuto della giacca. Giacca da smoking di pelle sopra la polo di pelle. Giacca di popeline di seta come la camicia e i pantaloni in fresco di lana.

Di nuovo colore. I verdi e i rossi battaglieri, ispirati a un vecchio album fotografico dei giochi olimpici. I grigi, dal piombo al rondine. Il bianco. Una sfumatura ammaccata di nero.

Casistica aggiornata della tradizione Ferré. I tessuti aerati, ma questa volta ottenuti con il mohair, o con fibre a doppia, tripla frontura. La seta mista a lana e il fresco di lana. Lo shantung e il popeline di seta. Il tussah. Un effetto di pulizia ottenuto grazie alla calandratura dei lini, un procedimento che dà una specie di “mano” lucida e pastosa.

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“Il comfort come educazione della mente. Un comfort elementare per proporzioni e per materia: il jersey povero – la felpa – utilizzato nei veri capi spalla, cappotti, giacche, pantaloni. Le mischie di filati nobili, seta e cashmere, seta e camelhair, che danno un aspetto scattante e insieme morbido. L’interlock di alpaca per la maglieria, piatta ed elastica. E, sotteso a ogni capo, costante, un senso di pulizia e una semplicità che non ne occultano la prestanza e lo slancio: perché ho delineato una chiave modernista del vestire tradizionale senza costrizioni e, direi, senza premeditazioni. Tutti i colori si mescolano, tutte le forme sono previste e compatibili, ma l’immagine risulta forte. Compatta.”

(da una conversazione con Gianfranco Ferré del 7.1.1986)

Design. Ritornano la spalla tonda, la vita segnata dai tessuti gonfi ed elastici, il blusotto – per chi vuole un over corto e caldo – e il paltò aderente, stretto, lungo che equivale al cappotto classico di ieri – per chi preferisce un capo lungo. Grande varietà di forme nella maglieria: niki, polo, gilet, cardigan, sweater a collo alto.

Dettaglio. I bottoni sono nascosti. La toppa, caratteristica del tricot Ferré, è talmente voluminosa da coprire l’intera spalla. La cravatta è a disegni complessi e soffusi, tono su tono: grandi bandiere che sventolano su uno sfondo a puntini. Virgole cashmere l’una sull’altra, per un gioco di macro-strutture e di gigantismi. Fondi operati, ottenuti con una sovrastampa a pigmenti.

Evoluzione. Il jersey trattato a tessuto per cappotti dalla consistenza nuova. Il panno gommato all’esterno e craquelé, forte e resistente come un montone. La lana ristrutturata, che mescola al pelo un filo sottile per ottenere una trama flessibile. La camicia e i pantaloni di peso uguale e di uguale tessuto, per sottolineare il gusto della divisa. Il camoscio o il cuoio a concia vegetale dall’aspetto lucido, quasi fosse già stato usato, che si schiarisce lungo le cuciture.

Perfezionismi. La giacca di velluto, il gilet a doppio petto con il rever rialzato che rende di fatto invisibile la camicia; la giacca di velluto mosto con i pantaloni di velluto nero; il blazer di vicuna con i pantaloni smoking e il pullover a collo alto. Uguali eleganze per la notte: la vestaglia in doppia vyella, l’accappatoio foderato di spugna, il pigiama e la vestaglia coordinati. Ma anche i pantaloni del pigiama e la niki di felpa, o di alpaca, come pratica tenuta da casa.

Rilassatezze. I colori mescolati con quella noncuranza che è indizio di una cura raffinata: dagli ocra al cammello, dai blu ai neri, l’intera gamma dei neutri e dei freddissimi. Uniti, sovrapposti, articolati l’uno sull’altro, compresa la palette dei rossi fino a un’intensa sfumatura vino.

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“Ho pensato a una nuova scioltezza, a una souplesse che nasce da una cultura ben radicata, che restituisce il piacere di certi materiali, di certi accostamenti, che diventa gusto, scelta, comportamento. Ma tutto nel comfort, nella matrice di una educazione tradizionale… come tradizionale è il mio modo di pensare all’abbigliamento maschile, costruito con un senso del relax, una disinvoltura che è diventata ormai il lessico del mio lavoro. Se dovessi scegliere una parola, una frase che segna la collezione, direi: senza problemi. Senza problemi, il blu, che con lo stesso spirito diventa nero, o marrone fino al bordò, e si mescola al bianco. Senza problemi, il giubbotto, se è necessario. O la giacca, o il completo. Con una maturità di comportamento, una sicurezza che è il segno più preciso del gusto”.

(da una conversazione con Gianfranco Ferré del 2/7/85)

Nuovo relax. Con il jersey di lana e lino, o di lino e viscosa. Per giacche dove è rispettato ogni canone sartoriale, ma sciolte e destrutturate.

Nuovo rigore. Con un’immagine vagamente “uniforme”: argentina e pantaloni dello stesso colore e consistenza, a volte completate dalla giacca. La giacca che annulla il valore della camicia, con il collo all’impiedi, rigoroso. La camicia stretta, da portar fuori dai pantaloni, con tagli sbiechi che ridimensionano l’ampiezza. Il blu rinfrescato dalla tela Cina, i neutri, i coloniali.

Nuova fermezza. Con l’identica modellazione in materiali diversi: la maglia nido d’ape in cotone povero, la seta nobile a toni brillanti. Sempre la felpa, ma in lana e nel colore più tipico: il blu. Sempre i completi classici di grisaglia, lino, gessato a punta spillo: doppiopetto, camicia bianca e cravatta regimental, pois, rigata. Ma anche mimetica, quasi invisibile, ghiaccio su bianco.

Nuova praticità. Con l’impermeabile molto lungo, ma anche molto leggero in toni densi. Oppure al ginocchio, di solido canvas, o di tela doppiata e sostenuta, o di gabardine rigida. Con il giubbotto diritto, che non segna la vita e non fascia i fianchi. Con la camicia di taglio elementare, in drill smerigliato, seta, popeline. Ma anche con un certo spessore, una consistenza: in tela Cina, gabardine di lino, lavato perché perda rigidità e diventi lucido. Oppure stampata: pois sopra pois, grafismi da cravatta, simboli ingigantiti.

Nuova disinvoltura. Con pantaloni “a righe cameriere” blu su rosso, il blazer blu e la camicia color pesca, da play-boy. (Ma il blazer blu si presta a sei combinazioni diverse). Con il fresco di lana formale abbinato alla t-shirt. Con le righe materasso mescolate alla pelle ultra light, cucita al vivo. Con le scarpe in pelle di cervo e la suola a più strati in pelle di bufalo. O le espadrillas di tela rossa e rosa. O con i mocassini dalla suola di gomma e la tomaia di pelle sfoderata, tipo pantofola.

Nuova formalità. Con le giacche-smoking in tela di seta o picché di cotone sulla polo bianca. Con il blazer di lino corposo, ma di struttura sciolta. Con i tocchi di rosa e di rosso sui pantaloni tradizionali.

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“Non ho definizioni pronte, non mi sono basato su qualche suggestione … togliendo, sfrondando, eliminando sono arrivato a una linea sempre più pulita, sempre più dura, a un concetto del vestire come scelta del mettersi, non del proporsi agli altri. Ho unito con naturalezza certi pantaloni a certe giacche e a certe camicie, come se scegliessi in tutta calma da un guardaroba ben fornito. E ho segnato in maniera forte la tradizione: se ci sono dei perché, siano chiari e precisi. Se si prendono delle libertà, che non siano attenuate da compromessi. Senza insistere intorno nuove trasformazioni per il dovere di fare moda. Sono inutili dopo le esperienze sulla gestualità e sul movimento delle stagioni precedenti. Così si possono ritrovare elementi fissi, ripetuti francamente di anno in anno, ma interpretati con il gusto del momento: tessuti più consistenti, un senso reale di fisicità…”

Notare: le flanelle morbidissime, scattanti, ma sempre corpose. Il loden, trattato in modo da eliminarne l’ispidezza: per giacche, jeans, cappotti. Un grosso melton garzato, molto elastico: per niki, pullover zippati, fodere ad alta protezione. Le cuciture a riva, che escludono le doppie impunture per non appiattire e schiacciare: anche nelle tasche dei pantaloni.

“Mi sembra che ci sia una consapevolezza diversa, oggi: si accetta solo ciò che fa parte di caratteri già delineati, che non nasce per caso o finto estro, ma conta su una storia precedente. Per questo l’abito più significativo, lo stile che sento più mio, rimanda ad abitudini consolidate: completo di flanella grigia, bavero rialzato, paradossalmente invisibili la camicia e la cravatta… “

Notare: la lavorazione a filo flottato, tipica dei tessuti fine Ottocento. Gli effetti di righe, nitide o frantumate, brillanti e finissime. Il vero camoscio, macchiato, strappato, estenuato, in toni neutri. Le fodere: trapunte, o scozzesi, o di pelliccia, con colletti di lupo e di marmotta. l paltò di montone in sfumature opache, sbiadite.

“Ho seguito deliberatamente, ostinatamente, la strada della normalità, ma senza paura. Se si desiderasse l’impatto di un colore, ecco, c’è anche il colore…”

Notare: le gamme di grigi che diluiscono in azzurri insoliti, toni inglesi, punti più oscuri e decisi. Le gamme di verdi anneriti, con tocchi brillanti. Le idee per la sera: la giacca rubino con i pantaloni di velluto nero; il cardigan di cashmere e la camicia completamente ricamata; la giacca a disegni micro sopra l’oxford di seta; la giacca morbida sopra la camicia di twill bagnato a mano per renderlo più floscio, e i pantaloni di flanella.

“Non ci sono tendenze precostituite: via i giubbotti, solo paltò. Niente interi, soltanto spezzati. In questa collezione è raccolto tutto quello che serve, che dà comfort … “

Notare: i blouson sciolti, abbondanti o avvitati. Il car-coat ampio, di lunghezza giusta: cento centimetri. La giacca volutamente allentata sul torace, con dettagli sofisticati: la tasca a toppa applicata davanti per la moneta, i gettoni, un tesserino; i soffietti per muoversi con più agio. I pantaloni ben equilibrati, con le tasche doppie.

Per lo sport, un pant molto piatto, alto in vita. La maglieria a trecce piazzate, doppie, in mischia mélange. La camicia genere polo, il cardigan di doppio tricot sopra la giacca, invece del giaccone. Le camicie elementari di flanella, cashmere, seta, zephir di cotone. Volutamente nude e semplici.

“Scaletta” della conversazione con Gianfranco Ferré dell’8/1/’85″

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“Mi sono mosso lungo un filo conduttore, una parola chiave: semplificazione, comfort. Comfort delle strutture elementari, delle forme destrutturate, dei tessuti inconsueti. Fiocco di cotone doppiato; lino e seta a giro inglese per costruire trame aerate; crêpe naturalmente elastico, morbido; ottoman molle da cravatta. Molta seta pura mescolata al rayon e alla lana: per una maglieria dalla “mano” e dalla caduta diversa. Nessuna costrizione, nessun obbligo se non quello dell’intelligenza e delle buone abitudini. Perchè l’uomo che veste Ferrè pratica un rito ormai consolidato, sa come destreggiarsi. Non ha bisogno che qualcuno gli dica quando infilare il golf blu”.

(da una conversazione con Gianfranco Ferré del 3 luglio 1984)

Appunti per una collezione

Osservare i tessuti. Cool wool e lana mohair per tutti i capi, fino ai bermuda. I sintetici per un effetto particolare di morbidezza (come l’ ottoman di viscosa nella saharienne). Interlock di cotone a peso maglia per i giubbotti di camoscio. Popeline di seta.

Ri-vedere i colori. Bianchi indefiniti, neutri impolverati, marrone invaso di blu scurissimo. Sulla spiaggia, i disegni dei batik egiziani. Sfumature assolate: il bianco vira e diventa crema. Vaghi toni ingialliti.

Controllare le giacche. Dai blazer impostati (spalle normali ma comode) alle sahariennes ultra morbide, tasche larghe, soffietti che si aprono. Military jacket chiuse fino al collo. Uniform jacket con tasche alte. Gli impermeabili diventano spolverini molli e larghi. I blusotti sono leggeri come camicie molto importanti, formali, da indossare all’inglese con la cravatta e la camicia bianca. Spesso sono di nappa, con un sistema di occhielli di gomma.

Nuova attenzione ai pantaloni. Ritrovare i vecchi cotoni cangianti per i pantaloni universali. Oppure l’aplomb della cool wool. A tre pinces per dare forma, o diritti ma sempre comodi. Con scarpe classiche o da vacanza: espadrillas, cinghiale traforato, telaccia bianca.

La sera. Smoking bianchi, smoking neri. Giacche blu o nere con la polo in tricot di seta. Regimental molto scuri, da country club ai tropici.

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I luoghi: Dublino, il nord della Francia, la costa Baltica. “Bruma e un odore di nebbia, un vapore gelato che raffredda tutto”.

Le sensazioni: il confort, la scioltezza. “I tessuti sono ad armatura doppia, corposi e apparentemente pesanti. Molto tweed con un tocco di cachemire. Cravatte morbide, lunghe, che si ripiegano leggermente al di sotto del nodo. Pelle ultra-leggera appositamente ingrassata per i giubbotti, con tasche a sacchetto soffici come un guanto ripiegato”.

La ricerca: semplicità. “La toppa sulle maniche: mi piace, è solida, tradizionale. È un’autentica toppa gigante, che segue il movimento del gomito. Nei pullover l’ho posata sopra le coste cucite perché abbia un andamento irregolare”.

La memoria: le forme del vestire classico. “Pantaloni con pinces, completamente foderati, in lambswool e shetland. Cappotto lungo, giaccone appena sopra il ginocchio, tipo auto-coat”.

Le allusioni: viaggi, partenze, frontiere. “I cappotti con il collo di montone rovesciabile mi ricordano la Gare de Lyon. Certi beige, grigi, pietra hanno un sapore irlandese. Il golf a trecce bianco e tortora è come una partita di tennis in pieno inverno, in qualche campo vicino a Parigi”.

I giochi: contaminare elementi canonici, trasformarli. “Il blouson ha la struttura di un montgomery dimezzato, con ganci di metallo. Ma può anche essere di tricot leggero foderato di piumino, una felpa anomala imbottita e dilatata”.

Le certezze: il rispetto, la regola. “Il gilet di lana lavorato a vecchi punti. Il gessato blu o nero, che sia un gessato strictly formal, con la camicia di brillantine rosa o beige. Una sera tutta nera, declinata fino al lavagna, con camicie candide. E un cappotto di panno nero tipo Chesterfield, doppiato di madras”.

Le eccezioni: le abitudini sottosopra. “Ho interpretato lo smoking: giacca a nido d’ape di seta pesante, senza rever di raso, classici pantaloni con la banda lucida. Nessun disegno nei maglioni, solo coste dilatate e incrociate, molto elastiche. Monocolori”.

La nostalgia: la vita com’era. “Ho cercato di ottenere un blu opaco, da vecchia tuta. I grigi sono come l’ardesia, come certi licheni… Non sono mai stato in Irlanda, ma l’immagino così. Contraddizioni di blu e di rosso vivo. I cappotti diventano… cappottacci: montone nappato, galles dilatati, trench molli, con l’interno non trattenuto che oscilla al passo. Com’è ormai mia abitudine”.

(da una conversazione con Gianfranco Ferré del 4/1/’84)

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“Ritornare alle radici, a un gusto europeo… Nizza, Cannes, Venezia… passeggiate in niki blu e pantaloni di lino stropicciati… gesti consueti, piacere di assaporare parole e forme classiche… Ricercare la semplicità più complessa per arrivare a una nuova tradizione dell’abito maschile… Vestirsi per sé e non per ostentazione di sé… Riproporre tessuti, materiali, accostamenti senza l’equivoco del déjà-vu… Non diversamente dallo scrittore davanti al foglio bianco, ripulire, eliminare gli eccessi, andare all’essenza delle cose. Ricordando l’asciuttezza composta di Frederick Forsyth o di Raymond Chandler…”

(appunti da una conversazione con Gianfranco Ferré, luglio ’83)

Ri-comporre il colore. I bianchi tagliati con i neutri o con un algido color mastice. Una base virile di bordeaux, verde biliardo, blu opaco con una punta di grigio. Toni ben definiti e vitali.

Re-interpretare il tessuto. Crêpe di lana doppio (per giacche sfoderate e impalpabili). Piquet di lana, grisaglia scattante di lino e lana. Shantung di lana. Madras di seta e lino. Righe liftier in seta (le sfumature si intridono, si impastano, si frantumano). Effetti di grisaglie inglesi a trama aerata. Seersucker, gabardine di cotone rigato leggerissimo (ma per i pantaloni). Intercambiabilità tra i tessuti dei completi e degli spezzati.

Re-inventare i materiali. Patchwork di lavorazioni per il tricot. L’elasticità della costa si articola negli snodi (gomiti, giro-manica), mescolando pekari da guanto e maglia, panno peso piuma e maglia. Doppia faccia per la pelle: reversibile, camoscio e cinghiale in tonalità diverse, incorniciato da coste bicolori. Camoscio peso piuma per le polo e i pantaloni.

Ri-costituire la giacca. Spalle morbide, ma non spioventi, o tagliate in sbieco per dare enfasi alla figura (senza alterare le dimensioni). Un’accresciuta possibilità di movimenti ottenuta con sbiechi al giro manica. La leggerezza del tessuto camicia per moltiplicare le sfumature: esterno su interno, liberamente. La formalità del blazer blu alleggerita dalla lana ad armatura lucida e dai pantaloni nero carbone. Per la sera, lo smoking bianco in fresco di lana con i pantaloni in picchè di cotone. La giacca a righe pigiama sulla t-shirt in filo di scozia e pantaloni neri da smoking.

Ri-disegnare i pantaloni. Scivolati, stretti in vita da cinghiette che calibrano il volume. Lino, seta mista a lino per alleggerire la “mano”.

Ri-valutare la camicia. Pieghe e soffietti per costruire l’ampiezza. Nel rispetto dei canoni classici: popeline, lino, seta fil à fil, collo a giro.

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“Rispetto della tradizione e volontà di innovare sono i canoni seguiti nella creazione della mia prima collezione uomo, per la quale ho avvertito la necessità di puntualizzare l’uso e la funzione di alcuni capi guida del guardaroba che, a mio parere, negli ultimi anni hanno talvolta subito trasformazioni tali da svisarne il significato.

Perciò ho individuato e separato i capi per il tempo libero, che si prestano a maggiori innovazioni nella scelta dei materiali e ad interessanti soluzioni tecnologiche e i capi che appartengono alla tradizione del vestire maschile – il cappotto, l’impermeabile, l’abito – che ripropongo con intenti chiari, rispettando la loro precisa funzione, ritenendo che non debbano essere falsamente moda o falsamente sport.

In questo modo si spiega la scelta a favore di linee sciolte, naturalmente ammorbidite, con spalle appena insellate e vestibilità confortevole, con dimensioni naturali ottenute rispettando precisi e tradizionali rapporti. Altrettanto chiara e motivata è la scelta dei colori strettamente legata alla funzione dei capi: da una parte i neutri, talvolta vivacizzati da filettature o dalle disegnature dei galles e dei pied-de-coq, dal l’altra una gamma di colori densi, colti dai toni del mosto, delle olive mature, della mostarda, e infine un ritorno importante del classico blu.

Nel dettaglio, alcuni dei temi fondamentali della collezione:

per cominciare, il pantalone, che ho voluto “pulito”, senza sovrastrutture o complicazioni, proporzionato nell’ampiezza del bacino e del fondo, facilmente abbinabile. Ad esempio un pantalone di cavallery di cotone, doppiato in tela, senza pinces o con pinces stirate molto laterali, ampio senza esasperazioni, può essere indossato e col pullover e col classico blazer senza perdere grinta e senza che l’immagine venga deformata.

Per la giacca ripropongo forme consolidate, nel pieno rispetto dei rapporti tra rever, dimensione della spalla e punto vita: unita al “suo” pantalone o sfusa, con o senza fodera, mono o doppio petto, ho voluto che la giacca riprendesse il suo ruolo importante, sia nella sua funzione “formale” sia nella versione tempo libero.

Anche della camicia ho colto i due usi fondamentali: se indossata con la cravatta, la camicia non può avere sconvolgimenti formali (anzi, anche i tessuti sono i tradizionali oxford e popeline) e l’attenzione è volta alla forma e alla compostezza del colletto; se usata per il tempo libero, ne ho enfatizzato la funzionalità: perché protegga di più, ho sfruttato il sistema della doppiatura sul davanti, ripreso dalla tradizione della camiceria inglese e l’ho sostituita con una niki o con un gilet raddoppiato dello stesso tessuto.

I capi in pelle sono previsti in particolare per il tempo libero e lo sport, data la peculiarità del materiale che garantisce compattezza, confort e dinamismo. Giaccone, giubbotto e pantalone in pelle sono per me dei classici, riproposti proprio nelle loro forme più basilari, privati di inutili complicazioni e accessori, ma innovati nei materiali – quali la nappa rugosa e poi smerigliata – nei colori assolutamente vincolati alla tipologia del prodotto e negli abbinamenti degli interni, orsetto, nylon e cover coat, materiali questi ultimi che ancora una volta appartengono alla tradizione dell’abbigliamento maschile.

Anche per la maglieria ho previsto solo la versione tempo libero, con una scelta preferenziale per i tessuti a maglia assolutamente piatta e consistente, in filati di alpaca, cachemire o cammello, innovati e resi grintosi e funzionali da inserti a toppa in pelle, fustagno, cavallery o gabardine di cotone impermeabile.”

Gianfranco Ferré

Accessori

Scarpe con suola di para, mocassini stringati con suola carroarmato, scarpe con puntale e stringatura classica, anche in coccodrillo naturale opacizzato.

Cinture in fustagno, in coccodrillo o in pesante vitello smerigliato coloratissimo.

Sciarpe in cachemire.

Cravatte regimental su fondi operati a quadrati di grandi cachemire.

Materiali

Raso a doppia tramatura di cotone, doppio cavallery di lana per gli impermeabili; leggeri cover coat e cheviot lavorati e filettati brillantemente, tessuti a doppia frontura e grisaglie per gli abiti; cavallery e reps di lana, fustagno, pelo di cammello a grossa diagonale, damier a rilievo per le giacche; cavallery di cotone e di lana, tessuti a doppia trama, reps di lana, fustagno per i pantaloni; oxford, gabardine di cotone, popeline unito o rigato, fil à fil di seta, voile o piquet nido d’ape per le camicie; cammello, cachemire, alpaca per la maglieria; nappa, pelle smerigliata, suède per la pelle.

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“La tradizione… Può essere una parola vuota, senza alcun significato. Ripetuta per giustificare la monotonia senza coraggio. Si è tradizionali per negare il nuovo, non per rispetto dell’esistente. Ma quando si riesce a fondere questi due principi, il nuovo e il consolidato, la tradizione si nobilita, sia nella forma sia nello spirito. Per questo su canoni riconoscibili sono intervenuto con elementi di modernità: tasche in più, giacche che si ispirano al gilet, l’uso costante dello sfoderato. Ho cambiato i gesti, perchè l’abito si esprime nel movimento. Ma ho mantenuto, fino in fondo, le regole evidenti dello schema, utilizzando anche il principe di Galles, anche il paltò con la martingala… Confermando alcuni principi di comportamento: mettersi il cappotto, infilarsi il vestito… Ricreando situazioni precise”.

Gianfranco Ferré

L’importanza degli interni. Il trench, doppiato di lana a spina di pesce, con tasca nascosta, oppure con tasche e paramonture di velluto. La giacca a vento perfettamente double, due capi in uno. Il blouson di camoscio morbidissimo doppiato in cashmere, per moltiplicare il calore e la leggerezza. La camicia di pelle consistente, doppiata di nylon, sopra la t-shirt. Il golf, in maglia a due fronture di tonalità diverse.

L’importanza delle tasche. Inserite nel taglio delle pinces, volanti all’interno, tagliate basse nelle camicie.

L’importanza del materiale. Riscoprire / ricostituire i tessuti old fashion: cover doppio (con interno scozzese) per giacche sfoderate e trench; feltro per caban raddoppiati in popeline; caledon trasformato in madras di tweed.

L’importanza, nuova, della camicia. Doppiata, sostenuta, rinforzata fino alla vita oppure per interno, con il carré dello stesso tessuto. Confort della vayella stampata a disegni cravatta e scozzesi; del velluto a coste sottili, della tela e del piqué grezzo. Nitore di righe a più dimensioni e del collo bianco e rigido, quasi un ricordo di inamidature.

L’importanza, riconosciuta, della cravatta. Jacquard, in grisaglie ultrafini e sovrastampate, di lana a toni neutri, con tracce di azzurro, di verde, di rubino. I colori del gusto inglese.

L’importanza, insistita, della vestibilità. Pantaloni con tasche sottolineate da inserti di pelle o con cinturini diagonali. Spalle arrotondate per una maggiore comodità sul torace.

L’importanza della sera. Smoking, logicamente, anche nella versione dinner. La giacca stile Eton, in uno scozzese notturno, su pantaloni neri con il bordo laterale di raso. Il cappotto king size con il collo di satin opaco.

L’importanza, sommessa, del colore. Una somma di ricordi, di ambienti, di paesaggi fantastici. Riferimenti imprecisi, per suggerire luoghi dello spirito. Un senso di naturalezza. L’Irlanda, i verdi della brughiera, lo scuro del pietrisco, il chiarore dell’acqua. Il tema della pesca, il tema della roccia: sfumature da vita sportiva, i colori autentici delle lane, dei cotoni, del filo di lino. Né bianco né beige, ma grigio miele.

“Far spiccare è il gesto essenziale dell’arte classica. Il pittore fa spiccare, un tratto, un’ombra, all’occasione l’ingrandisce, l’inverte, ne fa un’opera”.

(Roland Barthes)

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Identificazione di un uomo

“Mi piace pensare che il protagonista sempre coerente, sempre uguale, eternamente forte, sia stato superato. E che l’uomo abbia invece raggiunto, attraverso le esperienze, il modo di vivere, i cambiamenti di gusto e di costume, un rapporto con se stesso. Direi addirittura fisico, con la propria faccia. Quindi sia diverso, secondo i momenti e le occasioni. Se lavora al Fondo Monetario, la responsabilità e il ruolo esigono si presenti come un business-man. Se viaggia – e credo avvenga spesso, per scelta e per affari – assorbe i colori, il clima, la rilassatezza dell’ambiente. Li conserva dentro di sé come una nostalgia. È quel sentimento indefinito che i grandi cosmopoliti chiamano mal d’Africa, mal d’India. La somma di più società, filtrate dalla memoria. E forse Errol Flynn”.

(Gianfranco Ferré, conversazione registrata il 3 luglio ’82)

Gli elementi del gioco

Vestire classico. Nessuna interpretazione, nessuna scappatella di linea o di tessuto. Se dev’essere formale, che sia impeccabile: giacche con la spalla importante e morbida, revers ben visibili, il leggero “fresco” di lino, la mischia tropicale di cotone e lino, di seta e cotone.

Vestire sport. Un ricordo di polo e di cricket, nel bianco mescolato ai classici colori inglesi. Più il tocco di uno stemma. Con tasche tipo gilet in due toni contrastati, blusotto in pekary forato, niki in spugna.

Vestire caccia. Ma nella savana e nei deserti, assolutamente mimetico tra la terra e i tronchi. Il giubbotto e la camicia saharienne hanno tasche volanti – paravento e portadocumenti – in grisette di cotone con applicazioni di pekary forato. l pantaloni sono a vita alta, con doppio passante e tasca sigillata antisabbia.

Vestire naturale. Come in una fattoria sugli altipiani del Kenia, in una vacanza nel Rajastan, in un bar di Nairobi. Giacche leggere, a rigature da straccio indiano, addirittura a quadretti tipo asciugamano. Colori da mercato di spezie, orientali, uniti al bianco pelle d’uovo della camicia e dei pantaloni, al cuoio delle scarpe Old England bicolori. Camicie spesso senza collo, talvolta senza bottoni, con la chiusura semplicemente a soffietto.

Vestire di maglia. Interlock con patch di camoscio. Spugna, dal verso cimato e al contrario, con popeline di cotone. Pekary forato e mélange di fibre naturali a formare righe. Seta/lino, cotone/lino, grezzi come se fossero lavorati a mano, con maniche di cotone da rimboccare. Il massimo del comfort, come le scarpe silenziose a espadrillas, ma di cuoio, e le cinture morbide, a intrecci di materiali diversi.

(Ripercorrere l’itinerario leggendo Breve la vita felice di Francis Macomber, di E. Hemingway).

“Gianfranco Ferré. Disegni” / Legnano

Giovedì 3 febbraio, il volume “Gianfranco Ferré. Disegni” è stato presentato a Legnano, dove lo stilista è nato e ha vissuto, presso il Maniero della Contrada di San Bernardino, una delle otto in cui storicamente si divide la città.

Dopo l’introduzione al libro di Amanda Dell’Acqua, organizzatrice dei “Giovedì letterari al Maniero”, il Direttore della Fondazione Gianfranco Ferré, Rita Airaghi e il Professor Fabrizio Rovesti, critico d’arte e Direttore dell’Associazione Artistica Legnanese, hanno ampiamente analizzato il rapporto tra Ferré e il disegno, tra disegni e arte, tra riferimenti e tecniche.

Medaglia istituzionale del Sindaco di Roma

Venerdì 28 gennaio, a seguito della presentazione del volume “Gianfranco Ferré. Disegni”, il Sindaco di Roma ha incontrato in Campidoglio Rita Airaghi, Direttore della Fondazione Gianfranco Ferré e le ha donato una Medaglia Istituzionale.

Il riconoscimento attesta il valore culturale delle attività svolte dalla Fondazione, finalizzate alla conservazione e alla divulgazione dell’opera creativa dell’Architetto Gianfranco Ferré, ricordando come una sua parte estremamente significativa ha avuto come scenario proprio la città di Roma, dove lo stilista ha presentato le sue collezioni di Alta Moda dal 1986 al 1989.

“Gianfranco Ferré. Disegni” / Milano

Martedì 30 novembre, presso la sede della Fondazione Gianfranco Ferré in Via Tortona 37, ha avuto luogo la presentazione del volume “Gianfranco  Ferré. Disegni”, con interventi di Francesca Alfano Miglietti, teorica dell’arte, di Alessandro Guerriero, Presidente dell’Advisory Board della NABA, e del critico d’arte Giuseppe Scaraffia.

Edito da Skira, su progetto editoriale di Rita Airaghi, Direttore della Fondazione, e con la direzione artistica di Luca Stoppini, il volume, con testi di Rita Airaghi e di Giusi Ferré, propone 375 disegni di Gianfranco Ferré, riferiti alle collezioni Donna di Prêt-à-Porter e di Alta Moda, ma anche a varie linee disegnate dallo stilista, negli anni Settanta, prima che nascesse la griffe che porta il suo nome.

“Gianfranco Ferré. Disegni” nasce dall’intento di “raccontare” quanto il disegno fosse un passaggio fondamentale nel percorso creativo di Gianfranco Ferré, finalizzato alla realizzazione di una collezione. Un percorso progettuale scandito da fasi, organizzate razionalmente e rigorosamente, che accompagnano il primario input schiettamente creativo.

“Gianfranco Ferré. Lezioni di moda” / Venezia

Mercoledì 24 marzo, a Venezia, presso la sede della Fondazione Bevilacqua La Masa in Piazza San Marco 71/c, avrà luogo la presentazione del volume “Gianfranco Ferré. Lezioni di Moda”.

L’evento è organizzato dalla Facoltà di Design e Arti, Corso di Laurea in Design della Moda, dell’Università IUAV, in collaborazione con la Fondazione Gianfranco Ferré, la Fondazione Bevilacqua La Masa e la Camera di Commercio di Treviso

Presieduto da Mario Lupano dell’Università Iuav, l’incontro prevede un’introduzione di Angela Vettese, Presidente della Fondazione Bevilacqua La Masa, e gli interventi di Elsa Danese e Raimonda Riccini dell’Università IUAV, oltre che della giornalista Ansa Roberta Filippini.

Partecipano anche  Rita Airaghi, Direttore della Fondazione Gianfranco Ferré, e Maria Luisa Frisa, curatore del libro.

Milano, 24 marzo 2010

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