“La mia idea di moda si fonda sul principio di un intervento ragionato sulle forme come punto di partenza per la creazione dell’abito, che è sempre il risultato di un processo di costruzione e di un progetto. Vestire una donna o un uomo significa dunque ragionare in termini di linee, volumi, proporzioni. Esattamente come “vestire” uno spazio. La differenza, importantissima, risiede nel fatto che per il fashion designer l’elemento di riferimento primario è il corpo umano, ovvero un’entità in movimento che come tale va considerato sin dal primissimo abbozzo d’idea per un abito. Inoltre, in entrambe le situazioni non può e non deve mancare anche un approccio emozionale, dettato dalla fantasia e dalla sensibilità.”
“Credo si debba sempre ricercare un equilibrio tra l’approccio “cerebrale” all’abito – inteso cioè come risultato di un processo di elaborazione creativa ragionato e pianificato – e l’approccio emozionale che fa dell’abito il risultato di un’intuizione di pura fantasia. Ciò vale per il creatore non meno che per i potenziali fruitori che intendono e vivono l’abito come oggetto ad alta definizione funzionale, ma dal potenziale emozionale non meno intenso. Un oggetto d’uso dunque: che si butta facilmente in valigia, ma che non si butta via dopo una stagione; che si presta ad un utilizzo versatile, ad un consumo magari veloce, ma sempre ragionato e realistico; che vale perché è “fatto bene”, perché è bello e confortevole insieme. E poi c’è la valenza espressiva dell’abito, che in una dimensione di vita omologata ha il potere di rendere individuo ogni uomo e ogni donna, di dar corpo e visibilità a desideri, sogni, emozioni, volontà, slanci. L’abito è un mezzo, uno strumento, attraverso il quale si compie il contatto tra vita interiore e vita reale”.