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ua1994ai – Fondazione Gianfranco Ferré

ua1994ai

Collezione Prêt-à-porter

“Ripensare alle radici, riflettere sulle origini di un guardaroba che trova il suo modello e la sua scansione nelle fogge d’inizio secolo, dopo la rivoluzione industriale…

Immergersi in un clima solido e sobrio, vibrante di energia, come lo descrisse Thomas Mann: “sagome stranamente austere, un ancestrale susseguirsi di cimase, torrette, portici, fontane, il morso del vento, del vento forte” (dal Tonio Kröger).

Risentire il freddo intenso e pungente dei ghiacci in un’atmosfera che ricorda le eroiche spedizioni polari, da Roald Amundsen a Shackleton.

Ritrovare l’asciuttezza severa del Nord, delle coste baltiche, dell’Inghilterra. L’eleganza determinata e virile degli uomini che costruirono l’industria moderna.

Così, nella collezione, ho lasciato i colori forti per sfumature di toni seppiati, neutri, bluastri da vecchia fotografia, da documento d’archivio. Ho a lungo lavorato sulla giacca per restituirle una forma sempre abbottonata verso l’alto, che dà una conformazione diversa alla figura.

“Ho talvolta sostituito il blusotto di nylon con la giacca sport dai tessuti corposi e dalle tasche a sottilissimi soffietti. Perché ritengo che abbia perso senso parlare di sportswear come di un modo alternativo di vestire, un segno della differenza tra vita formale e informale. Oggi, determinato il proprio abbigliamento – con giacca più molle, destrutturata e pantaloni più confortevoli lo si modula sulla città e sulla campagna. Come una dimostrazione di coerenza”

Gianfranco Ferré

IL GILET

Alternativa formale alla giacca, declinato secondo scelte e ricerche estetiche, al limite quasi narcisistiche. Gilet con rever, risvolti a scialle, stretto e lungo con richiami al primo Novecento. Di gros-grain e grain de poudre fine Ottocento. Sposato a camicie dalle righe ampie, a tessuti gessati quasi da tight o da clergyman.

LA MAGLIA E L’EFFETTO MAGLIA

Calorosa consistenza dei tessuti che giocano con un effetto di doppia tramatura: chevron, cheviot, in due toni di flanella mélange. Tessuti mossi: dalle crepelle con lavorazione cotelé, slegata, che ricorda il tricot a un’inedita mescolanza di cotone e maglia. Fino ad arrivare ai pantaloni di maglia a coste, che donano un aspetto sciolto e decostruito al vestito nero. Voluminosi filati jaspé per spolverini, caban e pullover mélange.

IL VESTITO DI FLANELLA GRIGIA

Sobrio come una divisa sotto i cappotti in spazzolino di lana e nylon, a effetto teddy-bear. Segno contrapposto di ordine e disordine. L’ordine delle fogge conservative, con giacche piuttosto chiuse che quasi nascondono la camicia e colletti volutamente alti, diritti. Non sempre completati dalla cravatta.

Il disordine che ai colletti bianchi sostituisce una formula liberatoria e cosciente del vestire. Come la t-shirt bianca o nera.

LA CAMICIA BIANCA

Formula aggiornata del comfort di sempre. In flanella, cotone grattato, parpaiana, solida e robusta, la camicia bianca si porta in relax con pantaloni di pelle, velluto, flanella grossa. Sofisticata la ricerca sul colletto, che può essere a solino, amovibile secondo la tradizione ottocentesca, trapuntato.

IL CAPPOTTO DI CAMMELLO

Caposaldo della tradizione, certezza del guardaroba maschile, simbolo di rispettabile solidità… Ma le fogge classiche sono completamente destrutturate, sovrapposte l’una sull’altra, nascoste da impermeabili verde esercito o di un intenso color cachi, come i jeans e i pantaloni da lavoro che li completano.

Trasformato in interno e amovibile, il paltò di cammello riscalda il trench militare di tessuto oleato e lavato; oppure diventa quasi una vestaglia, da portare sulla salopette, con la t-shirt bianca o con la camicia di cotone trapunto. O doppia l’impermeabile, lungo e guarnito di zip, o un altro cappotto piuttosto strizzato in vita, con martingala.

LO SPIRITO DELL’UNIFORME

Ispirata alla giacca prussiana da caserma, alle prime divise delle industrie siderurgiche tedesche, ad un’ammirevole sobrietà, la giacca ritrova la sua foggia più romantica. Di tessuto o velluto grattato, chiusa fino al collo per sostituire la camicia, nelle sfumature del verde e del blu. Sono giacche che bastano a se stesse, riprendendo il concetto dell’uniforme come abbigliamento per tutte le funzioni: una risposta costante a domande diverse.

Riprendendo la formula del Sakko tirolese, ecco le giacche senza colletto, da contadino, in tessuti corposi. Ecco i giacconi di forma elementare e i montgomery di stoffe insolite e lane spesse. Da portare con i jeans confezionati al contrario per mostrare una mano ruvida.

Ecco i gessati di velluto e crepella garzata nei toni nordici che sfumano tra il grigio, il blu e il marrone. Giacche diritte o stondate, per indossare anche il vestito formale con atteggiamenti disinvolti e liberati.

LA SERA

Esercizio di eleganza intorno al non-colore – il nero come uniforme – e a un personale, bisogno di libertà. Soddisfacendo queste due necessità, si possono individuare soluzioni sorprendenti, idee inaspettate. Come unire il cappotto trapuntato ai jeans di pelle e alla t-shirt bianca. Sostituire la camicia con una sciarpa. Cambiare la giacca: allungata, senza colletto, trapuntata, matelassé, doppiata. Alternarla con pullover, cardigan o quanto risponde – in quel momento, in quel luogo – alla nostra necessità.

IL GUSTO DEGLI ACCESSORI

Se le scarpe connotano il decoro, le fogge siano accurate, precise. Alla dandy, allungate, squadrate, con suole triple di cuoio. Formali e lucide come certe scarpe da clero. Consistenti e solide, tipo pantofola, con la tomaia di pelli già doppiate e suola di gomma, para, carro armato di fibra. Cinture molto spesse a strisce di rettili diversi, in colori fangosi e nebbiosi. Uso ponderato della cravatta: quando c’é, é importante come una sciarpa e richiama i tessuti di giacche e camicie. Oppure si snoda sottile e agile e pare sottolineare solo l’andamento del colletto.