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da2003ai – Fondazione Gianfranco Ferré

da2003ai

Collezione Prêt-à-porter

Dal Quartier Generale, 24 fiorile (13 maggio), anno IV della Repubblica (1796).

Il Generale Bonaparte scrive:

“Attendo con impazienza Murat per poter sapere in ogni particolare tutto ciò che fai, tutto ciò che dici, le persone che vedi, gli abiti che indossi; ogni cosa che riguarda la mia adorabile amica, cara al mio cuore, ansioso di sapere…”

Indirizzo: alla cittadina Bonaparte, rue Chantereine, numero 6, a Parigi.

“Armonia degli opposti. Un desiderio di grazia e di fierezza insieme, di semplificazione e di enfasi percorre per intero questa collezione, che si dipana come una storia di magiche fogge trasformate per riportarle sempre più al corpo. Dimensioni ridotte, linee assottigliate, vita innalzata appena sotto il seno generano un’impressione di scioltezza e fluidità, che dà risalto a volumi intenzionalmente accresciuti, ricalibrati in modo talvolta eccentrico, soprattutto in certe parti dell’abito: colletto, maniche, polsi.

Mi sono lasciato conquistare da un gioco di costruzione e decostruzione delle forme, che è anche un gioco con la Storia, con un’epoca che ritengo mirabile, perché ha visto i canoni dell’eleganza cambiare e diventare moderni. Perdere leziosità e acquisire purezza ed energia.

Con un’intenzione assoluta di modernità, ho esplorato certi segni estetici del Direttorio e del primo Napoleone, uomo di grandissima forza e di eloquente eleganza, nato – guarda caso – il 15 agosto, come me.

Ho riletto al futuro i segni di un’epoca in cui si sommano l’espressività allegorica di matrice militare e la femminilità composta e regale delle sue protagoniste, da Joséphine Beauharnais a Paolina Borghese, a Madame Récamier ritratta da David.

Manipolando le suggestioni della Storia, ho ridefinito l’architettura dell’abito, sperimentato assonanze nuove tra i pezzi del guardaroba, ricercato alchimie singolari di materie.

La pulizia fondamentale delle linee si completa in una sequenza di ampiezze, rotondità, gonfiori calibrati, prodotti da tagli singolari, coulisse, lacci, drappeggi. Il cappotto assume una conformazione bombata per le pinces cucite a spirale che generano ruches. Le maniche raddoppiano la prestanza perché i polsi si rigirano sin quasi alle spalle. La gonna in lana double finita a “strappo” ha un godet anatomico sul davanti e cade affusolata dietro.

I volumi possono crescere, le strutture semplificarsi. Il trench e il blouson dal collo doppio (alto e sostenuto, simile al pastrano degli ufficiali della Grande Armée) sono chiusi e solcati da zip che si possono aprire: parzialmente per creare i revers, oppure del tutto per trasformare a sorpresa in marsina il capo, eliminandone la parte anteriore.

Il cappotto minuto da città si sovrappone alla tuta double in georgette, la giacca-corsetto alla T-shirt di pizzo. La redingote di satin rosso con la svasatura esasperata al ginocchio sta sopra il pull di mohair grattato. Il trench di visone è nappato in esterno e operato a strisce all’interno, il giacchino-marsina può essere in coccodrillo kaki.

La sera sprigiona la magia severa del nero. Incredibili tagli a rettangolo di georgette creano abiti che cadono a colonna sul davanti, con il seno altissimo appena velato e sostenuto da piccole imbottiture e fasce ricamate. Ma acquistano sontuosità sul dorso perché si allungano in uno strascico trattenuto a terra dall’orlo di velluto pesante. Abiti dalla scollatura abissale si combinano a T-shirt. Pizzi e drappeggi che muovono le maniche disegnano una nuova, incantata versione della camicia da notte di Paolina.

Un intento di moderna preziosità, che concilia forme precise e declinazioni eccentriche, modula anche la gamma degli accessori. Le borse hanno il manico a scettro, in argento autentico. Sono di cavallino o pitone in tonalità classiche e si ripiegano in due per custodire nel mezzo l’ombrello. Sono minuscole – in iguana, tejus, coccodrillo grigio con l’interno viola – poco più grandi di un portafoglio attrezzato.

Non meno varie e femminilmente accattivanti sono le fogge delle calzature. Gli stivali alti danno slancio al piede. Le pantofole ultra-piatte e ultra-affusolate sono in vitello morbido o in jersey pesante. Piccoli nodi sul davanti le ingentiliscono, suole solcate per il lungo da una giuntura le rendono uniche. Il sandalo di coccodrillo con la zeppa, da portare con le calze coprenti o persino con i calzettoni pesanti, se il pantalone si ferma al ginocchio.

Allo stesso modo, l’equilibrio tra compostezza e slancio segna l’identità cromatica della collezione, pacata e variata. Accanto ai non-colori dell’inverno, solidi e naturali – il grigio urbano, il verde militare e oliva, il kaki – ho voluto il bianco tenero ed il rosa poudre dell’incarnato delle “merveilleuses”, il nero severo e prezioso, il rosso imperiale, il fucsia della Martinica che forse Joséphine portò con sé a Parigi, nei suoi ricordi e nel suo cuore…”

Gianfranco Ferré