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da2002ai – Fondazione Gianfranco Ferré

da2002ai

Collezione Prêt-à-porter

“Un sentimento insolito, un equilibrio nuovo, di delicata solidità, tra descrizione e determinazione, libertà e dolcezza. Così, lasciando correre immaginazione e volontà lungo la via della tenerezza, ho declinato questo intento secondo il modo di porgersi, il modo di essere e di muoversi. Soprattutto, ho segnato la silhouette, che appare sempre minuta e femminile anche quando definisce i pezzi più sportivi, romantica, ma sempre in modo naturale, anche quando si trasforma in abiti da sera. Ne deriva un nitore di linee e di forme che non potrebbe esistere senza una magica gamma di interventi e di alchimie sulla materia, di assonanze inedite. Realizzato in morbida alpaca “strappata” e foderato di nappa – oppure di breitschwanz rosso lacca alleggerito dalla concia al naturale – il trench cade fluido come una seconda pelle. Il cappotto che si strizza al corpo grazie alla cintura di cuoio è in duttile cachemire. Mentre il breitschwanz reinventa la “giacca a vento” con le spalle appuntite e la vita piccolissima, l’agnello riccio color grigio e il visone fulvo si accoppiano nel trench che ha l’aplomb facile di un accappatoio. Il mohair risplende con la lucentezza di una pelliccia, ma rivela un’anima ultralight anche quando è doppiato di seta. A sorpresa, tessuti maschili e femminili si mescolano gli uni agli altri secondo carature e fantasie differenti: grisaglia e pois, Principe di Galles e point d’esprit…

Con lo stesso proposito di misura e di concretezza, ho ritenuto importante riverificare l’equilibrio delle forme rispetto al corpo, nel segno di una purezza singolare e geometrica che contraddistingue volumi, proporzioni, costruzioni e che richiama alla mente la lezione sublime di Balenciaga che sosteneva che per portare i suoi modelli “una donna non ha bisogno di essere perfetta, anzi neppure bella: sarà il vestito a renderla tale”. Fermato in vita, il trench corto acquista verso il basso un’ampiezza “new look”; la gonna “Cinderella” in reps nero – portata sotto il giubbino neo-motard in pelliccia e velluto, o sotto il blazer sciolto intarsiato di pelo – assume una forma a botte ottenuta unicamente da nervature orizzontali profilate da festoni quasi invisibili; il paltò accresce le sue dimensioni per ricalibrare l’assoluta elementarità dell’abito scivolato come una calza-body; il piccolo trapezio senza cuciture si appoggia sulla T-shirt – calzamaglia in jersey di seta completa di guanti incorporati; anche l’abito in gros è privo di qualsiasi giuntura, ma si adatta impeccabile alla figura perché è interessante e minuziosamente pieghettato…

Attento, come sempre, più alla sostanza che all’apparenza del lusso, ho voluto dare spazio al suo volume autentico, esaltandone le espressioni meglio rispondenti alla realtà. Un’operazione che mi ha portato, quasi spontaneamente, a rivalutare le straordinarie risorse di perizia e di pazienza di un certo artigianato, grande e unico. Necessario per dar vita ad una qualità vera, interiore, che sia lontana dall’ostentazione. Così, un meticoloso lavoro all’uncinetto costruisce abiti fatti di mille listerelle di tessuto intrecciate; il crêpe pesante del tailleur è perforato e trapunto da nastri in raso; il taffetà tricottato è finito dal passanastro e da fettucce di velluto; il velluto a coste – autentico, oppure imitato da accostamenti di visone e cuoio – dà sostanza ai piccoli paltò ed alle giacche a baschina strutturate da giunture minuziose; i giacchini imbottiti e corti sono percorsi da cuciture a zig-zag che sembrano frutto di uno strano divertissement; miriadi di cristalli sono applicati a mosaico qua e là, con effetti “bajadère”, su tuniche e pantaloni assolutamente unici…

Per ammorbidire la discrezione e l’austerità di certi capi, ho indugiato nel compiacimento per la bellezza e per la raffinata funzionalità degli accessori. Delle borse, innanzitutto: sempre di dimensioni misurate, in materiali ricercati – cinghialino, lucertola, tejus – e in colori accattivanti. Definite da lavorazioni a mano che giungono dalla più colta e nobile tradizione dei maestri pellettieri milanesi. Delle calzature: stivali solidi e scarpe sport con la suola consistente, ma anche scarpe che lasciano nudo il piede coprendone soltanto la punta e cingendo la caviglia di lacci festonati che si stagliano sulla calza nera. Degli occhiali, nuovi e speciali: di impatto quasi maschile in titanio iperleggero con montatura e lenti ramate; di rigore geometrico, in acetato pluristrato con contrasti di bianco e neri nei profili; ultrapreziosi, in oro vero, bianco e giallo; a conformazione anatomica, con visiera a mascherina e barre montate in basso…

In questo orizzonte di voluta pacatezza mi è sembrato quasi necessario fare esplodere una sarabanda di colori intensi e appassionati. Quelli degli anemoni, dei ciclamini, degli amarilli. E quelli ancora più fondi, quasi oscuri – tra blu e porpora – dell’agapanto, della genziana, delle prime viole che sbocciano quando ancora c’è la neve. Lasciando risplendere la sera di riflessi candidi e incantati, quelli della luna d’inverno…

E quasi da subito ho immaginato che questa collezione si muovesse su un tappeto di note rarefatte, sospese, evocative. Interrotte però da tocchi più ritmati, profondi, sensuali…”.

Gianfranco Ferré