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collezioni – Pagina 3 – Fondazione Gianfranco Ferré

dp1993ai

“Felice senso della ragione … O forse, realtà trasfigurata, piacere nel vedersi e sentirsi a proprio agio, energia che nasce dall’equilibrio e dal comfort… Per questa donna diversa, che ha desiderio di bellezza ma non di fuga, di relax ma senza esotismi e abbandoni, ho pensato a una silhouette nuova, allungata e fluida, con spalle minute … Veloce come un disegno a matita … Una silhouette che sposa il colore alla forma, seguendo il principio che ogni oggetto ha, naturalmente, un colore: così il cappotto che sembra un caftano è bianco, il cappotto che copre con praticità è beige, la ruota di velluto panne è blu … Forme elementari, dunque forti, che gli accessori sottolineano in modo puro, essenziale … Disegnando e immaginando situazioni reali, occasioni concrete di vita quotidiana, mi sono accorto che d’istinto andavo scegliendo il bianco, il rosso, il cappotto, il tailleur di ispirazione maschile, l’oro, il décor, la fantasia … Il lessico Ferré, il mio costante alfabeto espressivo …”

Gianfranco Ferré

Rosso. Una pennellata decisa, una vibrazione forte, un impulso segnaletico. Rosso per i pantaloni tagliati come jeans e il parka di satin sul pullover gonfio in leggera nappa e costa inglese.

Trench. Elegantemente avorio, come esigono storia e tradizione. Lungo a sfiorare la caviglia o disinvoltamente corto. Nelle stoffe asciutte che danno linea e scatto: canneté, popeline di cotone, gabardine, duchesse. Sempre strizzato in vita, che si porti sul tailleur o sulla T-shirt bianca.

Maschile. Nel continuo incrociarsi tra il maschile e il femminile, il tailleur cambia le proporzioni e si enfatizza, con la giacca molto corta o, all’opposto, lunghissima. Da completare soltanto con le calze e lo stivale morbido, piatto. Grisaglie, tweed, tessuti tipici del guardaroba da uomo nelle tonalità grigio, ferro, asfalto. Con pantaloni e pullover da cui balena l’essenza di un polsino bianco.

Abito. Una pennellata sempre nera, un lungo tratto di inchiostro. Dagli spacchi che si aprono sui fianchi escono gonne e pantaloni, sulle spalle si drappeggia a volte uno scialle.

Trapunto. Il calore e la leggerezza di un’imbottitura tecnica. Da portare con un semplice stacco di bottoni mentre caban e spolverini, ripiegati, entrano anche in una sacca.

Cappotto. Steli sottili, corolle rovesciate, scampanature. Gioco di silhouette che segna tutta la collezione … Mantelli di velluto froissé o cashmere, cappotti candidi a pieghe che ricordano certe divise militari. Nervature sul dorso come “la fustarella” greca. Caftani turchesi, pavone e violetti. Bordi di velluto blu o verde che definiscono la linea.

White Shirts. Camicie a nuvola. Gonfie casacche di organza o taffetà rettangolari, con maniche a sbuffo. Pantaloni o gonna di velluto a nervature o finemente plissettate per disegnare una figura sottile e mobile.

Preziosità. Platino in provetta, alchemico, da mago del lusso. Nel tweed jacquard si intreccia un filo di lamé che dà uno scintillio intermittente a bassa frequenza.

Jeans. Realizzati in lampasso stretch che crea effetti di goffratura, nei colori Luigi XVII: turchese, verde, smeraldo. Sopra, pullover di visone morbidissimo e sfoderato.

Oro. Rame e oro, ma più opachi e polverosi, di gusto sportivo, colati e fusi sul blouson di pelle doppiato di calda pelliccia.

Tenuta da sera. Il gioco fantastico delle trasparenze, delle ombre, dell’improvviso svaporarsi del tessuto in una rete di tulle. La giacca da smoking – severità, uniforme – diventa fluida e scompare. Restano il colletto, le maniche, parti di dorso. Scompaiono le maniche e un lembo sul davanti.

Fantasia. Dall’artefice del “Power Swimsuit”, il costume da bagno urbano, vestiti con dettaglio di tulle opaco, ma non trasparente per effetti di sovrapposizione. Inserti di cuoio che riproducono parti anatomiche, trasformati in cartigli e immersi in una colata d’oro. Una suggestione mitologica alla ‘ ….. Ferdinand Knopf, tra Minerva e guerriera. L’impressione potente di una statua rivestita di metallo e sospesa su misteriosi specchi marezzati.

dp1992ai

“Percorso tra le impressioni di un “Occidente e un Oriente che non possono essere presi qui come realtà … piuttosto si tratta della possibilità di una differenza, di un mutamento, di una rivoluzione nella proprietà dei sistemi simbolici”

(Roland Barthes)

Come in un viaggio intorno a me stesso, a ogni collezione preciso idee e sensazioni. Mi fondo nella memoria per attingere spunti, riferimenti, immagini che passano veloci come lampi. … Se viste o sognate, quasi non so, perché il ricordo le intreccia e le fa reali … Si sovrappongono certi ritratti di donne eccentriche e formidabili, veri dandy d’inizio secolo, agli splendori delle chinoiserie, romanticismi a esotismi, in una sintesi di sontuosa nettezza, di severità fastosa … Perché solo gli opposti convivono in armonia …”

Gianfranco Ferré

Vaga anglofilia del grigio che rimanda ai colori naturali, al tabacco e al rosso… Magico rosso delle lacche cinesi e rugosità delle superfici trattate come pelli d’elefante (ma è l’effetto sorprendente ottenuto da un mohair di alpaca). Quadri rossi e neri mescolati ai decori orientali… I colori dell’ambra, delle corniole, dell’oro declinati in ogni tonalità possibile.

Dal lusso depurato deriva naturalmente una foggia moderna e femminile. Una silhouette che spinge verso l’alto il punto vita, in uno slancio che suggerisce leggerezza … con la giacca ben accostata dietro, ampia davanti, stretta dalla cintura; con il tailleur elementare senza colletto, quasi senza bottoni. ..

Il morbido volume dei tessuti trapuntati regala un calore che non ha peso: con il cappotto di seta paracadute chiuso dalla zip e tagliato a coda di rondine, con le giacche rosse e arancio di jersey e velluto (indossate nel relax dei pantaloni, delle scarpe basse, della gonna sexy) … Illusioni e allusioni, intrecci. .. il nylon laccato ultraleggero dà vita a una giacca che sembra fastosa, con bordi di pelliccia.

Gli estenuati velluti froissé si mescolano al volume rude della pelliccia di marmotta, la camicia bianca pieghettata si trasforma in giacca …

Il gold si mescola alla pelle stropicciata che sembra agnello, i broccati alla colata d’oro di una gonna plissettata.

Ma nel gioco delle sovrapposizioni e delle eccentricità, il cappotto lunghissimo a vestaglia (forse genere Wally Simpson in Cina?) permette il blazer con i bottoni-scultura a testa di leone e la giacca tartan con i risvolti ricamati d’oro sui pantaloni neri. Da cadetto scozzese.

dp1991ai

“Humor all’inglese … Con quel divino tocco di eccentricità del maschile rovesciato al femminile, delle regole così esasperate da diventare eccezione, dello spirito d’avventura che mantiene il senso interiore della forma … Un vestire molto urbano. civilizzato e nello stesso tempo ironico, che gioca sulle contrapposizioni e sui rimandi. Perché disegnare una collezione per me significa anche attingere a un patrimonio costante di forme e consolidare le classiche voci Ferré: camicia bianca, redingote nera, ascot di picché bianco o di castoro rosso … Ma immerse ogni volta in un sogno diverso …”

Gianfranco Ferré

Il nitore della forma. Tonda, naturalmente sostenuta, o vicina al corpo. Con qualche accenno di silhouette lunga.

Lo strato compatto del colore: rosso e nero con tocchi di bianco. Il rosso Ferré che si mescola, si diluisce, diventa un rosa quasi fluorescente.

Il languore di abiti nati maschili. La giacca a smoking sagomata dai drappeggi invece che dalle pinces. La giacca lunga tipo marsina. Il mantello ispirato al Mackintosh da caccia, ma di gros color fuoco. Il paltò alla caviglia di cuoio scuro come un buon vino, dalla foggia da aviatore che sarebbe piaciuta ad Amelia Erhart, indossato sulla camicia di georgette. L’anorak di pelle immacolata, quasi da sci, imbottito di struzzo o stampato a piume bianche e nere.

Il senso di un calore lussuoso. Cappotto a vestaglia in orsetto di alpaca, doppiato di raso e profilato da uno spruzzo di pelliccia interna. L’argentina gigante. sempre di alpaca. Il pullover con i bordi di marabù da portare con i jeans di moiré grigio. La tuta nera con il colletto dalle dimensioni enfatiche.

La trasformazione di tessuti e disegni attraverso una magica lente di ingrandimento che esaspera e dilata: come gli overcheck dei cappotti da uomo appoggiati su una rete di ciniglia che crea effetto chevron.

La miscela alchemica di materiali e sfumature, di fogge e forme, per un bal masqué carico di misteriose allusioni. Ruche come creste, penne di fagiano per le maniche di un abito a pois quasi impercettibili. Lo scialle di nylon plissettato che sulla T-shirt si trasforma nella ruche di un animale da favola. Il point d’eprit come un soave maculato, le piume di tulle sul vestito grigio. Simili a fagianelle e tortore di una voliera fantastica.

dp1990ai

“Memorie di libri, ricordi di viaggi, favole, racconti fantastici … Il drago d’Oriente che divora la voluta barocca. .. Le terre del Sol Levante e la Cina viste da un osservatorio europeo, guardate attraverso i vetri di una lanterna magica … Ho mescolato sentimenti, immagini, cultura per arrivare a questa morbidezza orientale, a questa sintesi felice tra elementarità e opulenza. Che sboccia come una fioritura rigogliosa … “

Gianfranco Ferré

Il segno. Figura compatta, silhouette sottile dalle gonne piccole che si arrestano sopra il ginocchio e dai pantaloni svelti che si fermano alla caviglia. Enfasi dei volumi sul busto e alle spalle, ottenuti con il manicotto o il cappuccio gigante, il bavero rialzato a corona, le proporzioni dilatate del montgomery o del giubbotto. Una “ricchezza lussuosamente spoglia” – come la definiva Mallet – Stevens – caratterizza cappotti, trench, montgomery, chimoni dalla forma lineare e dal tessuto ricchissimo, rielaborato fino a ottenere una nuova specie, esclusiva e personale: doppio broccato di lana, due laminati sovrapposti, pizzi laminati accostati per conquistare una corposità che supera il concetto stesso di disegno ed acquista magica luminosità.

La materia. Un senso di pienezza, di movimento. Una plasticità intrinseca anima il grigio: stampato sulla flanella come galuchat, rivestito con il soutage, tramutato di nuovo in una imprevedibile flanella trapungendo la georgette bianca e nera. Il tricot di lambswool, spolverato da una gommatura leggera, mostra una sostanza ricca e lucida. Un tocco di tenerezza, di abbandono soffice addolciscono il beige: mosso, lavorato, cremoso. Ottenuto fondendo in un unico capo montone spagnolo e bouclé. Unendo pelouche piatto, tipico dei capi sportivi, al rat marezzato e cangiante.

La metrica. Tipica del gioco della contrapposizione, sottolinea la scelta dei colori, densi o arditi. Il blu e i verdi gemmati delle lacche cinesi accompagnano forme ampie e morbide (il cappotto con il colletto – scialle di cashmere doppio, avvolgente come un mantello; la canadienne di duchesse sui pantaloni di flanella grigi). Magici broccati doppiati e trapuntati donano uno sfolgorante splendore al trench, al montgomery, al chimono: Sfumature piene si fondono come un minerale prezioso nelle materie nobili: drap di cashmere, pitone, satin, duchesse, doppio panno di alpaca trapuntato di taffetas cangiante.

L’accento. Oro mescolato al tweed, jacquard a squame d’oro, jersey di tulle d’oro, pizzo su pizzo d’oro. Bagliori, fremiti, riflessi per la tuta di maglia con il cappuccio; per la t-shirt in tulle gonfia, per le giacche da sera con una strana scollatura arrotondata, a metà tra la marsina e la giacca da camera cinese. Una colata d’oro fuso sul tricot laccato. Febbre dell’ oro per le giacche e le t-shirt di paillettes liquide. Spirali di cordoncino placcato d’oro per i pullover. Bijoux spessi, pesanti. Bracciali che escono come guanti dalle maniche della giacca.

Il tocco. Vertigini, ebbrezze, nuvole di ricami per la sera in nero e crema. Completi che hanno la cadenza impeccabile dello smoking, con tanto di banda laterale sul pantalone: ma da portare a pelle nuda. Montgomery di duchesse lunghi fino ai piedi. Scollature abissali sulla schiena, spalle in libertà. Tuniche fluide dai colori densi o dai magici e polverosi riflessi di metalli antichi, con cappucci, sciarpe e manicotti a delinearne i morbidi volumi.

dp1989ai

“Ho cominciato a disegnare questa collezione spinto da un desiderio impreciso e fortissimo: la leggerezza, il turbinare soffice della maglia e della pelliccia, la forza silenziosa di certi colori … il beige, il nero, il bianco, il grigio,il rosso. Una gamma di tonalità classiche che mi rimandava a materie impreviste. Compatte, ma con effetti di rilievo, disegnate ma non stampate, morbide ma non cascanti … Materie che si esprimono attraverso i volumi. Giochi di assimilazione, con rimandi ottici precisi … Mi piaceva sottolineare una predisposizione istintiva all’eccentricità, ma sbarazzandola da ogni enfasi con un atteggiamento sportivo… II cappello che scende fino a coprire gli occhi perché forse non sono truccati, il trench legato da una cintura forse maschile, forse di georgette, forse una sciarpa con le frange. Le tuniche per cento occasioni, tutte beige, tutte confortevoli come djellaba … Così, lavorando, mi sono accorto di provare un profondo desiderio di serietà, ma non statica, noiosa … e che il convenzionale mi offriva infinite possibilità di intervenire in modo anomalo … “

Gianfranco Ferré

Sui percorsi dell’illusione e dei parallelismi segreti, il bianco e nero dilagano, naturalmente, nelle strisce della zebra. Il cammello pieno e denso ondeggia e si muove fino a trasformarsi in magico maculato dalle origini misteriose. Il grigio della flanella, naturalmente marezzata, sconfina nei saggi craquelé dell’elefante, fra infinite pieghe e minuscole rughe. Il marrone assume le trasparenze e la plasticità della pelle di struzzo grazie a tecniche nuove, velette, point d’esprit.

Nel segno dell’invenzione, come nel magico Henry Rousseau, detto il Doganiere, le volpi stampate e intarsiate creano naturalmente nuove pellicce a macchie. La zebra si gonfia, voluminosa, intrecciando volpi e finto pelo. La tigre nasce dal casto connubio di peli diversi. Il lapin, doppiato con la georgettè, è stampato a giaguaro.

Sul filo dell’illusione, tra fantasia e memoria, il falso vero rimanda al vero finto. Mescolato al tweed, scaglia su scaglia, il pitone forma superfici indefinite. Tagliato a strisce e applicato sulla maglia, il coccodrillo svela una natura duttile e arrendevole. Da reinventare anche con il velluto trapuntato e il gazar stampato a caldo. Sfrangiato, il pelo di Agnona borda golf, sciarpe e guanti. Intarsiata, la zebra fodera la giacca sciolta come una robe de chambre. O movimenta il trench stampato di cavallino.

Ricercando le affinità elettive tra forma e colore, la silhouette guizza compatta: tutta opaca e tutta lucida. Il grigio annega nella dolcezza del cachemire e del mohair. I classici disegni zig-zag, da uomo, hanno la nuova corposità della maglia. I toni forti, intensi, danno naturalmente slancio alla più molle delle gonne di camoscio, al trench di moiré, al cappotto – vestaglia da annodare in vita.

Ripensando all’ eleganza di una sera d’inverno, la camicia, in crêpe de chine, ha scolli, aperture, varchi come fosse sempre sul punto di scivolare. La gonna di gazaar, a coccodrillo o a pitone, completa la T-shirt minima, più preziosa di un gioiello. Il vestito scivolato ha il colletto simile a una sciarpa ad anello. Il cappotto di taffetà cangiante, bordato di pelo, si porta come una stola, appoggiato basso sulle spalle.

dp1988ai

“Affiorano due umori in questa collezione, due desideri che sembrano opposti e invece mostrano punti sotterranei di contatto. Il bisogno di nitore, di una precisione elementare dei contorni e il desiderio di un guizzo imprevisto … Un tocco di civetteria infantile, un languore che sembra nascere da un sogno, la memoria di vecchie fiabe … C’é la volpe che corre dappertutto, dall’orlo del cappotto alla cintura. Ci sono il lampo di un paio di scarpette rosse e il candore delle camicie. Ci sono la ricchezza un po’ stazzonata dei velluti, l’opulenza dei broccati e delle spille di ottone brunito … Per un senso di gioco, per affermare una libertà di gusto e di ispirazione. Infatti mai come oggi l’immagine mi appare svelta, morbida, vivace. Nitida”.

Gianfranco Ferré

Forme elementari, ma con un guizzo di infantile civetteria. Sempre la camicia bianca, sempre il candore di un polsino, lo sbocciare di un colletto; sempre il tocco di una pochette ricamata.

Giochi di abilità, come il rincorrersi delle parole in una sciarada. La volpe che orla il cappotto di lana cotta può diventare la cintura di un pullover, bordare il tricot di cammello, diventare il trompe-l’oeil di una giacca. Il fazzoletto che sprizza dal taschino diventa un pizzo; il pizzo diventa una giacca – però nera e gommata – o si ingigantisce fino a trasformarsi in uno strascico…

Impreviste morbidezze. Il trench: ondeggia per il taglio a godet, lo sweater sportivo si allarga dolcemente sopra la vita.

Contrasto del montone red and black per il giubbotto tipo ussaro, lucentezza del cavallino nero per trench e tailleur; provocazione del coccodrillo stampato sul montone.

Gusto dandy per la giacca simile a una lunga marsina; per il cappotto stretto e il trench punteggiato da bottoni d’oro; per la giacca di broccato contraddetta dai jeans di camoscio stinto.

La coincidenza tra aspetto e contenuto. Ogni forma ha il suo tessuto, ogni tessuto ha il suo colore canonico. L’alpaca, il montone ultramorbido, il cashmere variano dal burro al caramello. Lane pettinate, gazaar e raso splendono nei toni dei rossi: immancabili – ricorrenti – nero, blu e bianco.

N. B. Ci sono tecniche elaborate in questa collezione. Il velluto di cotone e viscosa è lavato per ottenere pieghe e ammaccature, il pizzo immerso nella gomma. Le stoffe sono doppiate, il taffetà cangiante incollato. Per ottenere l’effetto sorprendente di un’ eleganza trasognata, immersa in una specie di incanto.

dp1987ai

“Leggere la norma in chiave eccentrica, ottenuta attraverso contrapposizioni di forma e materia, forma e colore. Un dandysmo stilizzato: più la linea è depurata, più il linguaggio si affida alla decorazione. Un’eccentricità che diventa elettricità, fa sprizzare la silhouette. Ora per un colore, ora per un allargarsi di pieghe, che sbocciano per un gesto improvviso e deliberato … “

Gianfranco Ferré

Rapporti eccentrici tra materia e forma. Il cappotto di maglia inglese, (come i pullover di cashmere) sopra il più formale dei tailleur blu. Il paltò simile a un opulento accappatoio: in vera spugna di lana merinos, con i bordi ricamati e il monogramma, accostato a quell’insieme canonico che sono i pantaloni e la camicetta di cadì blu. Il tricot e il jersey di mohair garzato, con i bordi giganti di lupo per combinare un particolarissimo twin-set.

Rapporti eccentrici tra forma e colore. Il cappotto genere Chesterfield sconcertato dal cashmere color Mazarino. Oppure il paltò di cashmere blu ultraleggero, doppiopetto, infilato sul completo tipo pijama.

Eccentricità dei volumi. Una forma-cupola a tutto tondo, ottenuta in parte con i materiali gonfi, in parte con una costruzione naturale di pieghe: legata a una tonalità pura, il porpora, o a un jersey compatto e granuloso.

Eccentricità dei rapporti tra classico e opulento. La pelle saffiano per le giacche corte, i cappotti doppiati con i tessuti a pelo alto di Agnona, il materiale prezioso e la forma elementare. Le giacche di foggia diversa, impreziosita da cinque bottoni gioiello, uno diverso dall’altro. Oppure decorate con spille vittoriane. E in sovrappiù, un colore nobile e fastoso come il porpora. Le giacche percorse da motivi in rilievo di passamaneria dorata, quasi un ricordo indefinito di esercito e divise.

Eccentricità dei rapporti tra linea e decorazione. Sulla giacca di velluto di seta stampato a mano, mauve, polsi di volpe della stessa sfumatura. Sul pullover, la sciarpa profilata di lupo. O lo scialle porpora di velluto Gallenga. Sul dorso dell’ abito diritto e blu, un ventaglio di plissé bianco. Come sul giacchino color carbone, portato con la t-shirt e i pantaloni da smoking blu. Sull’impermeabile di canneté, che, slacciato, rivela l’interno di plissé, i bordi di volpe nera.

Eccentricità della semplicità. La scarpa a pantofola, piatta, esagerata da un fiocco o da una fibbia. Il tacco a rocchetto. Il velluto e il tessuto-pelliccia, il saffiano e il pitone colorato. Il vestito pullover per le sere austere, lungo, nero, interamente abbottonato sulla schiena; da aprire all’orlo, o al collo, fino ai limiti personale del pudore. Ma anche da tenere vistosamente allacciato.

dp1979ai

L’ispirazione: la metropoli, il suo fascino, il suo movimento, i molteplici impegni che il vivere in essa comporta: la silhouette che vi si muove è morbida, geometricamente rigorosa …

La collezione recupera, perché sempre validi anche in questa nuova immagine, alcuni “pezzi” dell’ultima stagione, mutandone colori e materiali, che diventano così dei “classici” della linea Gianfranco Ferré.

Vengono proposti, in tutti i materiali usati capi che rispondano alle più svariate esigenze ed attitudini: dinamici per gli impegni del giorno, divertenti, diversi, in qualche misura alternativi quelli per le lunghe serate. Così, in pelle, sono presentati blazers, princesses o due pezzi in leggera suède, 3/4, 9/10 e cappotti in montone o nappa riscaldata da fodera imbottita a piumino per il giorno e brevi giacche di pitone per la sera.

Anche in maglia la proposta è ampia: dai cardigans a blazer imbottiti, in angora e misto cachemire, ai tween-set bicolori con collo a cagoule o a sciarpa, dai morbidi abiti indossati con giacconi 9/10 di cachemire e raso trapunta, ai pull-over a grossi patch-work in lamé, rayon e cachemire, agli abiti per la sera in cachemire, flanella e velluto pané. Per il tessuto: tailleurs in lana pettinata da uomo, pesanti e corte giacche a sacchetto, giacconi 7/8 e 9/10 in velours, cappotti a loden, a raglan mono o doppio petto) e classici mantelli a kimono, abiti a tubo in crêpe di lana e  camicie in mussola di lana o grisaglia di vaiella per il giorno; e per la sera bluse in crêpe de chine e raso e completi in ottoman e georgette con corte giacche e gonne voluminose. lnfine anche nella pellicceria capi per i l giorno, quali giacche a 3/4 o 9/10 in castoro, in opossum a pelle intera, in gatto selvatico ultraleggere e impermeabili; giacche a patchwork,  e volpi lavorate a piumino per la sera.

Le linee: la silhouette appare più ridimensionata rispetto al passato e sono  accentuati la linearità e il rigore geometrico, senza perderne la morbidezza, grazie a diverse soluzioni tecniche: dalle spalle alla vita la linea è sottolineata da pinces o tagli a triangolo, per cui nelle giacche e nei cappotti a trapezio si avvolge maggiormente al corpo o vi si gonfia addosso nei giacconi lineari dalle spalle tonde. Le maniche tendono ad assottigliarsi verso il fondo ed i colli sono piccoli, talvolta sostituiti da effetti di incroci verso la nuca. Le gonne diritte si aprono al movimento grazie alla funzione di pieghe diversamente modulate, aperte verso l’orlo, o sul fianco o dietro. Le lunghezze scendono appena sotto il ginocchio.

I colori: grigio – rosso – nero nelle loro sfumature dovute alla peculiarità dei materiali usati, si accostano nei gessati, nei pied-de-coq, nei principe di Galles o nelle più fantasiose disegnature arlecchino.

Gli accessori, tutti disegnati da Gianfranco Ferré: cinture di elastico intrecciato, pochette o sacchette di pelle con profili di canneté, borse di forma geometrica e divertenti buste in tessuto per la sera. Anche per le calzature (realizzate da Guido Pasquali) è rinnovato l’uso del tessuto per la classica decolleté, riproposta anche in pelle stampata, usata pure per i polacchini a tacco alto con interno colorato e per le scarpe da casa alla caviglia, senza tacco. I foulards sono in seta ed in georgette, a disegnatura arlecchino (realizzati dai Paralleli) Calze colorate in lana leggera di Rede. Guanti bicolore. Acconciatura di Lella. Make up di Helena Rubinstein.

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“C’è molta tranquillità, molta. calma interiore in questa collezione, molta cultura nel senso di comportamento acquisito. Perché l’aggressività, il bisogno di affermazione, la disinvoltura programmata appartengono al passato, sono state macinate lentamente e assorbite solo quanto basta e si sente necessario. Mentre oggi riaffiora un senso di quiete e di semp1icità, che si traduce nel comfort per il comfort, nella scelta spontanea di ciò che piace, sia l’espadrilla di cinghiale ricamato sia la décolleté a scultura, che mescola la zeppa con il tacco. Niente è innaturale o artificiale. Anche i lembi che si piegano, si drappeggiano, si avvolgono intorno al corpo nascono da gesti semplici, istintivi…. Con un nitore che ricorda certe discip1ine orientali …. Così mi sembra che questi abiti alludano a qualità particolari: l’individualità, l’intelligenza, l’autonomia. Come se dicessero: la moda sei tu”.

Gianfranco Ferré

E’ il momento di scegliere liberamente e con naturalezza: le giacche smilze più corte dietro più lunghe davanti, per un effetto verticale e sfuggente.

Le giacche oversize di georgette pesante: quasi una camicia da uomo con effetto di pieghe invisibili sotto il cannoncino, da abbinare alle camicie in garza di cotone.

I pantaloni morbidi,  comodi, abbondanti con tasche tagliate tra le pieghe, in tessuti inediti: taffetà di seta, popeline di seta, fiocco di cotone. La giacca affidata alla spontaneità di un nodo che raccoglie l’ampiezza, davanti strizzato, dietro blusante. La tunica dritta con il pannello sovrapposto, che crea drappeggio semplicemente infilando le mani in tasca. L’abito dinoccolato e spoglio, con la sopragonna a pieghe in mezzo sbieco, non stirate che ondeggiano al passo. Pullover rettangolari, il collo a occhiello, da infilare con sovrana indifferenza: davanti o dietro non importa, ricadranno mollemente in scollature abissali. Le gonne giganti da annodare a fascia e lasciar spiovere in pieghe centrali. I costumi drappeggiati in pieghe minute e naturali (effetto della sovradimensione della lycra). Il cervo double face  per i camiciotti dalle spalle sostenute ma spioventi, con il bordo a sciarpa di seta per annodarlo più strettamente.

Le nuove formule del nero: la gonna di marocain appuntita e allacciata fittamente come un gilet, con la camicia da smoking di organza trasparente. Il vestito bustier, sempre con le doppie punte e l’allacciatura fittissima con il fazzoletto infilato nelle tasche, o che sbuca alla cintura, o che ricade sul dorso (è il dettaglio rivelatore della stagione). I pullover o le canottiere a coste in filo d’oro, i cardigan e gli sweater di marocain come le gonne etniche. Gli stampati vortice a disegni concentrici, la spugna di lana e seta, la garza di cotone “inamidata” la fiandra, la doppia-seta tinta in filo, il lino tessuto a trama larga, rubato alla collezione uomo, seguendo due gusti opposti ma non contrastanti: tessuti morbidi e sfiniti, tessuti scattanti e fruscianti. I colori opachi e densi, come il blu unito al marrone e al nero.

I colori energetici da bonzo tibetano, giallo e arancio

I colori spirituali, bianco assoluto, bianco relativo e sabbiati.

PER UNA COLLEZIONE ZEN (Da leggere, volendo , secondo la massima zen “Nel camminare, camminate. Sedendo,sedete. Soprattutto non tentennate”).

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“Sinuosa ma con ironia, seria ma ammiccante, un guizzo di umorismo … Mi piacerebbe dire “bentornata” a questa donna per cui ho disegnato la collezione. E’ stata mia complice nei viaggi, ha condiviso scoperte di climi e di colori, si è appassionata alle stesse avventure. E’ libera e consapevole… Indossa le forme più semplici, ma le serra strettamente sui fianchi, una fascia altissima, impunturata, che schizza la silhouette e suggerisce movimenti felini.

Sceglie la giacca maschile per una forma di sicurezza, per riconoscersi in un classico, poi la smentisce con una cravatta gigante a pois che ha la stessa funzione del top. E si diverte a mescolare le carte… Infila pullover con scollature abissali, alterna il lungo-lungo ( 80 centimetri) al lungo che copre il ginocchio… Assomiglia un po’ alla compagna di Finch-Hatton, il grande cacciatore, un pò alla protagonista di una canzone di Frank Sinatra, The lady is a tramp. Ha questo gusto vagabondo nel mescolare pezzi e objets trouvés, che ha imparato ad apprezzare in India o in Africa … Ma depurati, filtrati. In un certo senso purificati ” .

Gianfranco Ferré

Ritrovare nuovi concetti e nuove parole dell’abbigliamento.

I drappeggi.

Sono la soluzione imprevista per il colletto, ora sul dorso ora sul seno: un risvolto misteriosamente tubolare illanguidisce la forma a T, spoglia e diritta, degli abiti, mentre spesso lacci piatti, a bretella, si incrociano a grata e mimetizzano la scollatura.

Le canottiere.

Invece delle camicie, ma insolite, bizzarre. Strutturate con tagli sbiechi, fasce, pieghe, evitando l’eccesso della ricerca, del disegno per il disegno.

Il doppio.

Mai credere ai propri occhi: sotto il caban si muove liberamente una fodera di seta. Il blazer, spalle energiche, cintura-bustino, si rispecchia nella giacca ingrandita tipo spolverino. La giacca-blusa, sciolta e leggera, si infila sotto una giacca-giacca fotocopiata.

Il trench.

E’ un vestito, una cintura, una situazione: un abito di gabardine dalla gonna sagomata e sfuggente, ampi revers, e una cintura alta 15 centimetri per strizzarlo in vita.

L’argentina.

Lunga, ampia, di camoscio, con il bordo in tricot alto più di una spanna, che ripiegato mostra tinte contrastanti.

La giacca tipo Ascot.

A quadretti, in grisaglia, spina pesce, con un gilet allusivo e una gonna che sfiora la caviglia a disegni cravatta ( ma per la sera ).

Il pijama.

Languore, morbidezza, estetismo della giacca in doppio marocain bianco, della canottiera di raso, dei pantaloni molli, disegnati in vita da una fusciacca preziosissima.

La leggerezza.

Quasi un manifesto programmatico: contro tutto ciò che è rigido, pesante, sostenuto. Le garze sono aperate, lo shantung è impalpabile, la crepella di lana sottilissima ( mentre la mano, ingannevole, suggerisce corpo e sostanza ), il crêpe de chine a doppia frontura imita un effetto di righe maschili, la gabardine pesopiuma, sfoderato, è unita alla nappa setosa tipo camicia.

La Revue Nègre e una vaga allure Joséphine Baker, quando furoreggiava nel music-hall e tutta Parigi scopriva l’arte, la musica nera. Disegni bengala positivi e negativi che arrivano a declinazioni di blu impolverato, il blu che si mescola al grigio pietra e al viola. Le gamme del mastice. Il fucsia, l’arancio, il corallo nelle sfumature fredde delle sete a tintura vegetale.

” Amo la regola che corregge l’emozione”

Georges Braque

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La primavera, e soprattutto l’estate, invitano alla scioltezza ed al relax, ma secondo Gianfranco Ferré l’eleganza e la raffinatezza sono componenti senza stagione del vestire femminile. E quindi essenzialità, ricerca, nella costruzione, di nuove dimensioni, amore per il dettaglio più accurato sono la matrice dalla quale scaturisce anche la nuova collezione Primavera Estate 82.

E allora, per ottenere eleganza e raffinatezza, Gianfranco Ferré mischia i colori classici con spirito nuovo, adottando senza ritegno il blu e il bianco, accompagnati da tocchi di giallo, di rosso e di verde – i colori primari – trasformati in lucentezza dall’uso di materiali diversi; taglia i capi sottolineando le linee del corpo, crea nuovi effetti dimensionali intervenendo con particolari strutture della manica o con nuove ampiezze del pantalone, allunga la figura facendo scivolare il punto-vita, rinnova l’importanza del collo creando nuove forme con soluzioni o di assoluta rigidità o di morbida casualità; contrappone materiali diversi taffettà e camoscio, seta selvaggia e nylon, pelle laminata a crêpe di seta, organza e piquet di cotone, senza dimenticare i “classici” ottoman e gabardine di lana, popeline di cotone e lino.

Abbiamo detto eleganza e raffinatezza, aggiungiamo anche glamour: é l’”effetto parata”,che accompagna ogni proposta della collezione enfatizzato da certi particolarie suggerito dagli accessori, tra i quali spiccano le alte fasce di canneté colorato e le cinture finite da placche d’argento.

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“Per la mia collezione Primavera-Estate ’81 ho desiderato i tessuti essenziali: un tailleur di gabardine oppure di popeline in alternativa al lino. Una blusa? Di garza a righe, di crêpe tutto blu, tutto bianco. Un top e una gonna per il mare? Di una fiandra di seta peso piuma.

Ho amato i colori base, eleganti così come sono da sempre: marin, bianco naturale, kaki, più il suggerimento di metterli con il marrone “roccia rossa”, con il tabacco.

Ho cercato le “costruzioni-non costruzioni”: tante pieghe piatte, tante cuciture a roulot, tante impunture d’oro o colorate, tanti girimanica tagliati come nei caffettani, tante baschine in forma e asimmetriche nelle bluse come nei blouson di pelle.

Mi piacerebbe che la primavera-estate ’81 segnasse per la moda l’unico riflusso possibile: recuperare la dimensione di comfort, piacevolezza, vitalità, lo scopo primo, insomma, per il quale è nato il vestito. Qualcosa che non sia uno straccio o una coperta da buttarsi addosso. Qualcosa che non faccia nascere in una donna il complesso vestito uguale “status-symbol”.

Mi è piaciuto privilegiare dei “cheek-to cheek” che nascono dalla spontaneità di una donna elegante come il caban di panno blu o bianco con le maniche appena gonfiate da sfondi piega, portato su una gonna pantaloni vagamente marocchina, ma di nappa color cuoio.

Ho voluto restituire al tailleur la pulizia delle giacche senza collo, allacciate a burberry con piatte, sottili pieghe a portafoglio: una volta nel dorso, un’altra lungo le paramonture, le tasche, gli spacchetti.

Ho desiderato i tessuti essenziali: un tailleur? Di gabardine oppure di popeline in alternativa al lino. Una blusa? Di garza a righe, di crêpe tutto blu, tutto bianco. Un top e una gonna per il mare? Di una fiandra di seta peso piuma.

Ho amato i colori base, eleganti così come sono, da sempre: marin, bianco naturale, kaki più il suggerimento di metterli con il marrone “roccia rossa”, con il tabacco .

Ho cercato le”costruzioni non costruzioni”: tante pieghe piatte, tante cuciture a roulot, tante impunture d’oro o colorate, tanti girimanica tagliati come nei caffetani, tante baschine in forma e asimmetriche nelle bluse come nei blouson di pelle.

Ho trasformato i pantaloni: per conservarli come pezzo insostitubile del guardaroba ma levarli dal tunnel del classico, ho reinventato le braghe marocchine, sopra la caviglia, sotto il ginocchio, di folk nemmeno l’ombra.

Ho sfidato la banalità della tuta immaginandola a tagli netti e squadrati come i vestiti che si tagliano nella carta per le bambole.

Ho ceduto a un tocco di adulazione: i vestiti lunghi, di crêpe blu marin, dritti e sexy, con il trucco dell’orlo raccolto, le gambe in vista, lo scollo a punta che si apre in due lunghi revers”.

Gianfranco Ferré

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Linea allungata, rigore geometrico, tagli sapienti, con uno straordinario risultato di morbidezza; colori decisi, fantasie che hanno il profumo, il sapore, i colori dei nostri giardini; capi che si indossano tutto il giorno, ed anche la sera. E poi, anche un po’ di sogno…

Le linee: spalle arrotondate e ridotte, anche se sempre significative; maniche a kimono, ma con tagli particolari; molti colli a cardigan, molti colli classici, soprattutto nelle camicie; ampiezza ridimensionata nelle gonne, che sono assai simili per praticità e funzione ai pantaloni, lunghezze ridotte.

E alla base di questi elementi della nuova collezione, le soluzioni tecniche: pinces scucite, sovrapposte, a triangolo; pannelli; sfondi piega non stirati.

I capi: cardigans e blazers, tailleurs, spolverini-chemisiers camicie e pantaloni; e il beach-wear, grembiuloni, bermuda, body e costumi, accappatoi e tute.

I materiali: shantung di seta mélange impermeabile, lino a righe reso, rigatino di lana, piquet di cotone, spugna, raso di seta; filati di cotone, lino, lambswool e cachemire; suède forato, nappa unita o incredibilmente stampata.

I colori: le sfumature più tenere o più accese delle dalie, dei garofani, delle peonie, dei fiori di giugno che sono anche stampati su crêpe de chine, su popeline di cotone e su morbida nappa.

E poi, qua e là, il bianco, il nero, il blu, i classici.

Gli accessori disegnati da Gianfranco Ferré:

foulards e sciarpe multicolori, dalle forme strane, distribuiti da I PARALLELI;

borse a sacca floscia o divertenti grossi borsellini in pelle stampata, distribuiti da REDWALL;

scarpe da crociera ed espadrillas in tela e nabuk con suola in gomma o bufalo, o colorate decolté con tacco nervato, distribuite da GUIDO PASQUALI.

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“Ogni cosa al suo posto: tutto è ciò che sembra. Il paltò è un vero paltò, la giacca blu una vera giacca, il caban un vero caban. Niente ammiccamenti, e illusioni. Tentativi per nascondere, trasformare, travestire… Per esempio, alcuni trench, alcuni cappotti hanno l’identica base dei soprabiti primaverili. Solo irrobustiti per far fronte all’inverno. Perché non dirlo? Tutto è definito, visibile, evidente. Tutto ritrova lo spirito originale, nascosto dietro elaborazioni, interpretazioni, ripensamenti… Così lo stile diventa più depurato e nitido, disintossicante… Il cardigan a trecce bianco ritorna sulla camicia di seta in tinta e sui pantaloni di flanella. Il cappotto scozzese, ampio e sciolto, nasconde la giacca nera, la camicia a pois bordeaux e marrone… Classico? Meglio definirlo consolidato, senza problemi. Elegante perché naturale. Per questo ho rifatto, con grande piacere, le tradizionali gonne da party: lunghe e strette, di raso nero, o di suède finissima pieghettata. Dedicandole a una donna che ama trascorrere molto tempo in casa, ma da gran regina. Così risolta, matura, ricca di personalità da aver superato l’ansia delle feste, dei ricevimenti, della presenza costi quel che costi. Una donna autonoma, forte al punto di lasciar intuire la sua dolcezza … Penso a Fanny Ardant, per esempio, o a Katharine Hepburn. Come l’hanno consegnata alla memoria certe indimenticabili fotografie”.

Gianfranco Ferré

Il contrasto. Un lampo improvviso di luce sui tessuti pastosi e opachi, con un’elasticità che consente di eliminare le fodere: risvolti di seta trapuntata sui paltò, raso trapunta per i caban dall’interno di castoro. Di sera canottiglia d’argento per sweater all’americana senza maniche: sotto blazer di marocain champagne.

L’eclettismo. Il pullover doppio e morbido che si finge twin-set: lavorato in un solo pezzo perché risulti più “molle”. Il vestito rosso semaforo. Lungo e sottile, molto austero, anche se dallo spacco balena la gamba nuda. Il “tubino” di specchio: guizzante, luminoso, pericoloso: spacco fino al ginocchio, fascia ricamata d’oro inserita a cintura. Il tailleur da sera stile intellettuale francese: gonna lunga e diritta, sciarpa chilometrica intorno al collo e annodata molto bassa, giacca con pieghe sciolte sul dorso. Il paltò, sempre lungo, di marocain bianco, o il cappotto-vestaglia in velluto di seta anni trenta, soffice come una pelliccia.

Il cromatismo. Impressione generale di colori: il marrone (come nero declinato per il giorno) dal cappuccino chiaro al caffelatte, al caffè tostato. Sempre scuro o naturale quando si tratta di pelle e di suède. Zucchero e panna. Blu annebbiato unito al nero carbone oppure al marrone ghiacciato. Un velo di vapore freddo che raggela le sfumature. Argento, un tocco d’oro. Lo stop improvviso del rosso incandescente.

Il nitore. Una silhouette allungata, fluida, dinamica. Spalle rilevate ma asciutte, “magre”. Punto vita segnato, appena sceso verso il basso, spesso sottolineato da cinture annodate a vestaglia. Orli decisamente lunghi: quattro, cinque centimetri più su della caviglia, o decisamente al ginocchio: per certe gonne di flanella grigia, sagomate con tagli che aboliscono l’antiestetico cinturino.

Il gesto. Quello del chiudersi, del coprirsi freddoloso alzando i rever del colletto, accostando bene l’allacciatura. Gesti molto urbani per cappotti da città: il vero Chesterfield con il collettino di velluto; il paltò-accappatoio di camoscio con il collo di teddy color miele; l’impermeabile stile Bogart in popeline di cotone blu con finiture marroni oppure nel classico bianco strapazzato. Gesti insoliti: annodare i risvolti delle giacche, oppure lasciarli spenzolare disinvoltamente all’interno. Come autentiche sciarpe.

La ragione. Semplicità essenziale di pezzi e di formule, così elementari da risultare imprevedibili: il tailleur finestrato a colori chiari (tortora, fango e bianco nebbia) con il gilet bianco e la camicia ipermorbida di georgette. Il gilet lunghissimo e piatto sotto il blazer. I pantaloni maschili con tanto di risvolto, arrotondati sui fianchi e con la cintura abbastanza alta, almeno cinque centimetri. Le niki smisurate. I cardigan a grosse trecce di lana e seta, morbidi e cascanti.

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“Il gioco degli opposti … la luce e l’ombra, yang e ying, uomo e donna … Capovolgere, mescolare, sovvertire la regola per scoprire il principio che quella regola ha creato ..

Quindi utilizzare i tessuti tipici del guardaroba maschile, con la loro tradizione formale, per abiti femminili, senza sospetto di rigore o di severità. E spostare quelli femminili verso una linea sempre più austera. Ricostituire gli elementi classici dell’abbigliamento, gonna, blazer, abito, come una nota ricorrente … Immaginare, per questa donna che si evolve, nuove regole di seduzione. Negati i criteri hollywoodiani, la scollatura si sposta sul dorso. In vista polso e avambraccio. Colli alti e chiusi ( pudore? sfida ?). In rilievo l’incavo appena sotto la vita …

Gianfranco Ferré

La figura ridisegnata. Camicia in fil à fil azzurra da etoniano e gonna di vigogna grigia (ma la camicia è un enorme rettangolo, da stringere sulla schiena con la martingala o da drappeggiare con una cintura a nastro).

Giacca in flanella doppiata nei colori college – rubino, grigio, blu – e gonna di vigogna ferro (ma riscaldata da un enorme cardigan a maglia inglese).

Il paltò lungo a metà polpaccio, molle come accappatoio, senza bottoni, senza chiusura, a falde sovrapposte ma niente colletto, solo una sciarpa di tricot e castoro da ripiegare come l’asciugamano di un pugile).

Le funzioni ritrovate. La robe manteau gessata (ma sotto il trench blu navy).

Il tubino high-society, accollatissimo davanti, scollatissimo dietro, (ma che copre il malleolo).

Il cappotto bon-ton (ma con i risvolti ” paravento ” in castoro).

La sera inventata. La canottiera (ma in cristalli d’oro), la giacca (ma da ufficiale di marina), i pantaloni (ma in principe di galles bordati di ottoman di seta).

Lo smoking (ma la giacca è ampissima e stondata) con la camicia (però completamente aperta sulla schiena).

Il tailleur (ma la giacca è a ruota, in grisaglia di lana, e la gonna di flanella sfiora la caviglia) con la camicia (ma di raso drappeggiato).

I colori impossibili. Blu marine fino al l’azzurro, i bianchi sfatti della gabardine tipo trench, il grigio come nuovo nero ma il taffetà doppia la niki di angora, la grisaglia è doppiata in oro, il panno è doppiato di flanella, il tessuto si raddoppia: tutto è diverso da quello che sembra. Controllare, toccare … )

I lampi di luce: tessuti lucidi vicino all’ opaco, scarpe di vernice nera, una cintura lunghissima – di vernice – da annodare e lasciar libera per segnare il movimento (vedere i futuristi, Man Ray… )

“Le donne, infine, le donne, a cui basta un gesto, una linea, un’audacia nello sguardo, un movimento della persona per divenire qualcosa di affascinante”.

Pierre Reverdy

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Se fosse attrice, sarebbe Barbara Sukowa. Se fosse rock-star, sarebbe Laurie Anderson. Se fosse ballerina, sarebbe Carolyn Carlson. Se fosse scrittrice, sarebbe Lilian Hellman. Se fosse innamorata, sarebbe Fanny Ardant. Una donna volitiva e indipendente. Passo sicuro, sguardo diretto. Capelli bruni, forse, e una faccia disegnata a china. Un’ironia di fondo, una voglia precisa di giocare la partita, qualunque sia, in prima persona.

Inquietante, perchè no? Ieri così decisa, probabilmente severa, in un abito nero e liscio, senza una distrazione.

Oggi, camminando, lo stesso vestito ondeggiava, svelando una ruota, una cappa improvvisa, una fila di bottoni sul dorso. Chi li allaccerà? E il mantello pesante quasi un poncho, sollevando un lembo ha incorniciato le spalle. Quale gesto è più femminile che accostarlo con le mani, indugiando nel sistemare una piega? Faites vos jeux, riprendetevi l’intelligenza sottile della scelta.

Perchè il glamour non è che l’altra faccia dell’intelligenza.

“Ogni donna è racchiusa in una danza di forme, quadrati, losanghe, rettangoli, parallelogrammi di stati d’animo e delizie siderali, armonie sottili e misteri arrendevoli. Sono fatte di luci e di spazi, labirinti e molecole intangibili che possono mutare a seconda di come le si guarda”.

Anais Nin, Il Diario

I colori. Nero, una base multiforme e inquietante. Grigio e beige annebbiati, sordi, sommessi. Spot continui e rabbrividenti di rosso rubino, verde smeraldo cabochon, giallo topazio, zaffiro. Precious stones. Per affinità, più i toni si abbassano, più la forma è avvolgente e il tessuto morbido.

La linea. Uno schema geometrico, ma relativo. Trasformabile intorno al corpo. Un taglio triangolare che gira sulla schiena e diventa sciarpa. Un rettangolo che si dispone in sbieco e si incrocia. Asimmetria, asimmetria. La somma dà l’equilibrio. I pantaloni a spirale si rispecchiano in un collo a roulé, il vestito fa la ruota. Le cappe girano in tondo, ma il lato diventa sciarpa, o cappuccio.

I contrasti. Uno stesso colore declinato in quattro tessuti diversi, velluto, flanella, taffetà, pelle, per uno stesso capo. Il dorso morbido, movimentato da cappe e da pieghe, il davanti spoglio. Le maniche trasformiste: si aprono, ondeggiano. Perfino le toppe, i soliti classici salvagomiti, sono staccate per suggerire plasticità. I colletti, grandissimi, morbidi, spesso di pelo. Tagliati sulla schiena perché si possano alzare fino ad avvolgere il viso.

L’effetto sera. La giacca corta, un lato nero, uno colorato. La T-shirt di georgette. La camicia da Casanova di plissé diritto o incrociato.

I tessuti. Mouflon doppio, mouflon più pettinato, canvas, drapperia tradizionale, flanella, cover-coat, crêpe diagonale, nappa ultramorbida mista a suède e a cavallino, velluto, crêpon di seta, satin.

“Sono andato avanti nella ricerca, pensando a cose più dolci e morbide nelle forme, nei materiali, nei colori. Cose che si trasformassero intorno al corpo, fossero docili, e si prestassero a manipolazioni personali, senza imbottiture, fodere o rigidità. Ho voluto dare alla donna la possibilità di osare e di sfidare“.

Gianfranco Ferré

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Per il prossimo inverno 1980 Gianfranco Ferré propone una immagine femminile assai scattante, nitida nelle linee e nei volumi, suggerita da aspetti molteplici. Contrapposti in modo naturale e spigliato, con un denominatore comune: “dimensione sport” sempre; persino nei momenti eleganti, con glamour, con un pizzico di ironia.

Rifuggendo da schematismi o riferimenti, anche il tema più classico è reso estremamente attuale e vivo, perché ogni capo vale per la sua praticità, per la sua facilità, per la sua funzione, e allora tanti, tanti pantaloni, e gonne ampie perché confortevoli o a tubo essenziali, impermeabili di telone e cappotti di cammello rigorosamente aderenti al corpo, e allora, anche per la sera, parka; ma con l’interno in lamé o pantaloni e abiti a cappotto, assolutamente lineari, ma con scollatura e allacciatura sul dorso.

Nei materiali usati va sottolineata la qualità e l’attenta ricerca di nuove tecniche di lavorazione, per cui la swakara è trattato a tessuto, il gabardine è garzato all’interno per diventare più morbido, il pettinato di stampo maschile acquista lucentezza, il più classico dei tweed è illuminato da piccole scaglie d’oro, l’organza, gli jacquard, il taffetà di seta sono sempre più preziosi. Prezioso e raffinato anche il gioco dei colori: i toni naturali del cammello e della vicuna, mischiati anche nelle loro più profonde gradazioni, possono essere ravvivate o da tonalità squillanti o dai bagliori dell’oro.