Se fosse attrice, sarebbe Barbara Sukowa. Se fosse rock-star, sarebbe Laurie Anderson. Se fosse ballerina, sarebbe Carolyn Carlson. Se fosse scrittrice, sarebbe Lilian Hellman. Se fosse innamorata, sarebbe Fanny Ardant. Una donna volitiva e indipendente. Passo sicuro, sguardo diretto. Capelli bruni, forse, e una faccia disegnata a china. Un’ironia di fondo, una voglia precisa di giocare la partita, qualunque sia, in prima persona.
Inquietante, perchè no? Ieri così decisa, probabilmente severa, in un abito nero e liscio, senza una distrazione.
Oggi, camminando, lo stesso vestito ondeggiava, svelando una ruota, una cappa improvvisa, una fila di bottoni sul dorso. Chi li allaccerà? E il mantello pesante quasi un poncho, sollevando un lembo ha incorniciato le spalle. Quale gesto è più femminile che accostarlo con le mani, indugiando nel sistemare una piega? Faites vos jeux, riprendetevi l’intelligenza sottile della scelta.
Perchè il glamour non è che l’altra faccia dell’intelligenza.
“Ogni donna è racchiusa in una danza di forme, quadrati, losanghe, rettangoli, parallelogrammi di stati d’animo e delizie siderali, armonie sottili e misteri arrendevoli. Sono fatte di luci e di spazi, labirinti e molecole intangibili che possono mutare a seconda di come le si guarda”.
Anais Nin, Il Diario
I colori. Nero, una base multiforme e inquietante. Grigio e beige annebbiati, sordi, sommessi. Spot continui e rabbrividenti di rosso rubino, verde smeraldo cabochon, giallo topazio, zaffiro. Precious stones. Per affinità, più i toni si abbassano, più la forma è avvolgente e il tessuto morbido.
La linea. Uno schema geometrico, ma relativo. Trasformabile intorno al corpo. Un taglio triangolare che gira sulla schiena e diventa sciarpa. Un rettangolo che si dispone in sbieco e si incrocia. Asimmetria, asimmetria. La somma dà l’equilibrio. I pantaloni a spirale si rispecchiano in un collo a roulé, il vestito fa la ruota. Le cappe girano in tondo, ma il lato diventa sciarpa, o cappuccio.
I contrasti. Uno stesso colore declinato in quattro tessuti diversi, velluto, flanella, taffetà, pelle, per uno stesso capo. Il dorso morbido, movimentato da cappe e da pieghe, il davanti spoglio. Le maniche trasformiste: si aprono, ondeggiano. Perfino le toppe, i soliti classici salvagomiti, sono staccate per suggerire plasticità. I colletti, grandissimi, morbidi, spesso di pelo. Tagliati sulla schiena perché si possano alzare fino ad avvolgere il viso.
L’effetto sera. La giacca corta, un lato nero, uno colorato. La T-shirt di georgette. La camicia da Casanova di plissé diritto o incrociato.
I tessuti. Mouflon doppio, mouflon più pettinato, canvas, drapperia tradizionale, flanella, cover-coat, crêpe diagonale, nappa ultramorbida mista a suède e a cavallino, velluto, crêpon di seta, satin.
“Sono andato avanti nella ricerca, pensando a cose più dolci e morbide nelle forme, nei materiali, nei colori. Cose che si trasformassero intorno al corpo, fossero docili, e si prestassero a manipolazioni personali, senza imbottiture, fodere o rigidità. Ho voluto dare alla donna la possibilità di osare e di sfidare“.
Gianfranco Ferré