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Collezioni —Uomo / Prêt-à-Porter

Autunno / Inverno — 2004

Cartella Stampa

“Se devo tracciare un bilancio, mi sento di dire che le forme di snobismo narcisistico dell’uomo sono ormai superate e che le espressioni del vestire odierno raccontano invece modi di essere, di presentarsi e di atteggiarsi. Parlano di canoni e regole che per me è normale e interessante rileggere stagione dopo stagione. Per questo, ho ricalibrato le forme e le proporzioni di giacche e cappotti, destrutturandone le spalle, alzandone il punto vita, rendendoli più asciutti e anatomicamente vicini al corpo. Senza esagerare, ho abbassato il cavallo del pantalone per accentuare la scioltezza della figura. Nelle camicie ho accresciuto l’importanza del colletto, che risulta svettante, con i bottoni posizionati verso l’alto affinché, quando c’è, enfatizzino la cravatta. Nei pullover ho sottolineato il bisogno di aderenza e di elasticità. Con un’intenzione deliberata di soluzioni pratiche, ho evitato lunghezze eccessive, fermando l’orlo dei paltò al ginocchio.

Questi piccoli-grandi interventi di precisione e di comfort scandiscono per intero la collezione, lasciando spazio a un’essenzialità eclettica, a un’alchimia di materie, a una sorpresa continua di scelte. A partire da quelle che determinano il colore. Un rosso denso e solido rende uniche le giacche da portare sulla camicia aperta e sul jeans azzurro stinto, quasi grigio, come le acque di un lago di montagna. Rosso, azzurro e testa di moro si sommano nei blouson in cuoio, piccoli e sostenuti come i giustacuore degli spadaccini o le giubbe dei cavallerizzi. Abbinati al pantalone da equitazione, con tanto di toppe e rinforzi, anch’esso vivace e multicolore, in un richiamo immaginario alle gualdrappe dei cavalli delle giostre medioevali.

Nella sua corposità invernale, il marrone rivela sfumature inaspettate. E’ brinato e marezzato, polveroso oppure lucente, si avvicina al piombo, all’antracite, al grigio roccia. Proprio per questa sua versatilità, l’ho utilizzato per definire materiali tra loro diversissimi: velluti lavati e rilavati, loden, feltri ultra-pressati, lane cotte che costruiscono completi e paltò sfoderati. Negli abiti più classici e urbani – portati però sulla camicia senza cravatta – il marrone è acceso da gessature e check color rubino.

Anche per il nero ho cercato connotazioni inusuali. E’ un po’ stinto e opaco nelle textures rubate agli indumenti da lavoro. E’ satinato nel nylon, che, solcato e rinforzato da elementi in gomma e in metallo, inventa giubbotti e parka simili alle corazze di potenti cyber-draghi. Regalano invece una immediata sensazione di pacatezza e di ricchezza i toni naturali accostati nei tartan di mohair, che ho usato per capi soffici e caldissimi come le coperte con cui proteggersi dal gelo durante le escursioni in slitta…

Assonanze magiche e speciali guidano anche la scelta di pelli e pellicce. Ho voluto interni di visone bianco per riscaldare i blouson e i cappotti nero totale, fodere di castoro dorato per i cappotti tartan, colletti di tasso duttile come un tessuto perché lavorato a telaio per i giacconi color marrone. Ho privilegiato le pelli di squalo, di rospo, di elefante, di chiguire: squamate, rugose, robuste, conciate al naturale. Spesso opposte tra loro, come nelle scarpe, solide e massicce, con tomaia, punta e fibbia fatte in pellami diversi.

Per la sera, mi è sembrato intrigante giocare con le opposizioni: il neo-tuxedo – con il suo rigore assoluto – e la camicia ricamata – che non può non esserci – ma anche incredibili giacche “masquerade”, fatte di mille tessuti differenti: colorati, damascati, ricamati, giuntati gli uni agli altri in verticale da larghe fettucce in velluto cangiante. Un caleidoscopio, prorompente e aggraziato, riequilibrato dalla camicia candida, oppure dal dolcevita e dal pantalone neri. Giacche che paiono esemplari d’epoca, autentici pezzi unici, pensati per un dandy senza tempo, romantico e spregiudicato. Ardimentoso e puro come Ivanhoe. Ribelle e temerario come il Barone Von der Trenk, che osò sfidare Federico il Grande di Prussia. Scapestrato e irriverente come il Tom Jones di Henry Fielding…”

Gianfranco Ferré