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Collezioni —Uomo / Prêt-à-Porter

Autunno / Inverno — 2000

Cartella Stampa

“Da bambino, tra fantasia e progettazione, ho sempre associato il concetto di futuro a un’immagine estrema e possente, con caschi, scarpe pesanti, tute che cancellano il corpo…

Di quelle visioni lontane, depurate e filtrate, mi è rimasta la convinzione che il futuro può fornire oggetti che salvaguardano e proteggono, ma che sono anche umani, plasmati cioè secondo la cultura del corpo e studiati per renderlo più potente e insieme più bello. Coscientemente e volutamente, l’uomo per cui nascono questi capi da anni passa sempre più tempo a coltivare il proprio corpo ed è capace di piacersi. Dunque scegli vestiti veri: per l’eccellenza, l’impianto sartoriale, la duttilità con cui si adattano a forma e movimento. E li attrezza per le proprie esigenze – spostarsi veloce, sfrecciare nel traffico, vivere nella città – con supporti anatomici che si tolgono con un colpo di velcro: paratorace, ginocchiere, copri braccia. Strumenti che carenano e irrobustiscono abiti che un tempo sarebbero stati definiti formali, ma che adesso sono soltanto la “pelle”, la divisa maschile. Sempre in tessuti di altissima qualità e comfort, perché a volte di stretch, a volte di crêpe.

Per comodità o per piacere, l’uomo può sostituire la camicia con un pullover a collo alto, che rende la figura ancora più compatta, meno didascalica. Con la stessa disinvoltura con cui s’infila l’abito, può decidere per la giacca di doppio nylon imbottito, con tasche che – volendo – si staccano e diventano guanti. Completandola con la maglia di lana termica e i pantaloni dal taglio anatomico. Secondo un proprio codice di libertà e di naturalezza, si copre in maniera intenzionale, con tessuti che paiono maglia e velluto di cashmere, duttile e aderente. Tra lo sportivo e il raffinato non esistono più confini. Così, il cappotto di mongolia a pelo rasato, cammello, va sopra il pullover come sopra il vestito. Il paltò di vicuña si associa al jeans, mentre la giacca stretta, che sembra quasi un cappotto austro-ungarico, si amalgama con il nuovo jeans, di lana doppia, molle e morbida.

Tutto appare sciolto, ma con un senso di educazione nel proporsi e nel vestire. Un equilibrio anche eccentrico, suggerito da una cintura, un pullover di velluto, una scarpa di velluto con la suola di gomma. Un’enfasi che non rischia mai di diventare ostentazione, neppure quando inventa interni in pelliccia autentica, sontuosa, fantasiosa, virile. I colori sono civili, urbani: blu mastice scuro, nero che diventa quasi verde, il color vicuña molto caldo. Toni decisamente profondi, sottolineati dal tocco – che appartiene a una mente amante dell’ordine – della camicia bianca. Con un intento preciso di piacersi, mai cedendo al disordine della casualità…”

Gianfranco Ferré