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Collezioni —Donna / Prêt-à-Porter

Autunno / Inverno — 2001

Cartella Stampa

Immagini come musica, ritmo di forme e colori …

“C’è il senso del classico, ma con il gusto dell’azzardo e di un tempo della vita accelerato. C’è la definizione di una nuova opulenza che non si esprime in ricami preziosi, ma nel contrasto dei materiali arditi e nella sublimazione di quelli tecnologici. C’è la mescolanza voluta tra maschile e iperfemminile: una miscela ribelle e splendente che, d’istinto, mi riporta agli anni d’oro del rock: David Bowie, Mick Jagger, Iggy Pop. Alla grande tradizione del vestire inglese, con marsine, dinner jacket, cappotti da postiglione, sconvolta da tessuti lucidi, materiali strani, stoffe contraddittorie …

Anche il mio nuovo tailleur – un termine in sé quasi in disuso – nasce da questa volontà di trasformare, diventando un bolero ridottissimo, quasi un coprispalla gessato, sopra tenere camicie e candide bluse, serrate da bustier come stringivita, fatti di preziosi intrecci di stringhe. Il pantalone è aderentissimo, oppure rivela una rinnovata dimensione alla zuava, con la coulisse alla caviglia. Le camicie sono simili a giacche da motobiker, i pullover riducono la lunghezza delle maniche, le giacche hanno spalle insellate e maniche a jambon per accentuare l’aspetto femminile. Il velluto a coste grosse, morbido come un tricot, costruisce un corsetto da motard: imbottito di lapin trapunto, dotato di carenature esterne che lo sostengono e ornato di sontuosissima lince …

Ho voluto la lince immacolata e picchiettata anche per adornare cappotti di cammello che dietro l’aplomb classico nascondono uno spirito selvaggio e ad ogni passo lasciano intravedere il pantalone borchiato. Ho foderato la redingote con nappa imbottita nera tagliata al vivo, oppure in cavallino rasato e stampato a zebra che richiama l’optical del pantalone. Ho strizzato intorno al corpo, come fosse un abito, il trench di finto leopardo e di pony artico trattato come scimmia…

Mentre disegnavo, mi sono accorto che certe forme, un certo andamento della linea, un aleggiare leggero di taffetà alludevano in qualche modo ad un’eleganza impeccabile e canonizzata, facendone proprie alcune regole che rimandano al classico. Così, sulla gonna a pieghe si porta la redingote a chiglie d’organza che si contrappone al pastrano ad “A” in double, con il bordo di paillettes nere. Un senso lussuoso di stravaganza affiora anche dove i capi sembrano avere l’origine più tradizionale. Per questo, ho trattato come denim la rigorosa flanella, contraddicendola con interni, bordi, tasche trompe-I’oeil in preziosa volpe argentata. Ho trasformato i jeans in magiche incrostazioni di broccato tartan e le gonne in soffici astucci di mohair. Sino ad esplodere nelle giacche di tweed plastificato spruzzate di cristalli iridescenti e nei cappotti con ricami metallici sui tessuti di broccato argenteo, alla Ziggy Stardust …

Per la sera – lieve, eterea, spumeggiante – ho creato abiti con code – come dire? – naturali. Miriadi di strati sovrapposti, senza peso; gonne a spicchi di chiffon; top a bouquet formati da piccoli fazzoletti di organza cuciti fitti; intarsi che sembrano in pelo di scimmia e invece nascono dall’incrocio del lapin con la kidassia. Giochi di nero e di grigio, tracce di fucsia, segno storico della nobiltà. Mix dinamizzanti con la pelle, con le borchie, con gli stivali cuissard in raso o fustagno stretch, quasi un tutt’uno con il vestito, che inguainano la gamba come una calza e la slanciano incredibilmente…”

Gianfranco Ferré